Donna picchiata e costretta a prostituirsi, il Tribunale le toglie i figli
Il Tribunale le toglie i figli perché è una “poco di buono”. I ragazzi vivono in una comunità fatiscente: quando la madre ha protestato, le hanno sospeso le visite.
ROMA (18 Giugno 2020). Non bastava il compagno violento che la picchiava e la costringeva a prostituirsi: anche la tutrice, che il tribunale ha nominato perché si occupasse dei suoi due figli, ha infierito su di lei.
A una donna romana hanno tolto i figli e pure le visite, dopo che ha “osato” chiedere una verifica delle condizioni fatiscenti in cui versa la comunità che ospita i due ragazzi. «Incredibile l’accanimento della tutrice nei confronti di questa mamma, chiamata a vegliare sui ragazzi e sulla loro serenità, che non ha perso occasione, nei vari atti depositati in tribunale, di sottolineare che questa mamma non sia adatta ad occuparsi dei figli. Probabilmente, per questa tutrice e per il tribunale per i minorenni, una donna: picchiata, maltrattata, costretta a prostituirsi e che ha avuto il coraggio di denunciare tutto all’autorità giudiziaria per proteggere sé e i suoi bambini, non ha il diritto di essere mamma.
Più volte, questa mamma, si è dovuta recare al pronto soccorso per le botte prese dal compagno che, nel suo violento comportamento soggiogante, la obbligava a prostituirsi per pagare i suoi debiti di droga. All’ennesima violenza, la donna ha avuto la forza di ribellarsi, di denunciare tutto, rivolgendosi a un centro antiviolenza. Sperava nella ripresa di una vita normale, ma si è dovuta scontrare contro un tribunale, una tutrice e un servizio sociale.
Anche in questo caso non si può che parlare di un pregiudizio nei confronti di due bambini, dall’altro lato, sono state completamente ignorate le relazioni della comunità di accoglienza, i terapeuti e quanto sostenuto dal dipartimento di salute mentale di Roma che definiscono questa mamma una persona equilibrata, con un buon rapporto con i suoi due figli.
Com’è possibile che un Tribunale e una tutrice ignorino completamente quanto hanno subito questa mamma e questi bambini?
Com’è possibile colpevolizzare questa mamma per il fatto che questi due bambini non vogliano incontrare il padre?
Com’è possibile che nessuno si chieda il motivo per cui questi bambini hanno paura del papà?
Non è accettabile colpevolizzare questa mamma, ma ancora più incredibile è che la tutrice, che ha incontrato i bambini in due anni solo per quattro volte, ha ignorato completamente le precarie condizioni della comunità in cui si trovano i bambini, ha ignorato le foto che dimostrano un ambiente malsano e inadeguato, non solo per i figli della mia assistita, sostiene l’Avv. Miraglia, ma anche per tutti gli altri piccoli ospiti.
Qualcuno dovrebbe spiegarci e spiegare il perché la tutrice non si è sentita in dovere di rivolgersi all’autorità giudiziaria per controllare quanto succede in questa comunità.
Ancora, qualcuno dovrebbe spiegarci e spiegare se e quante ispezioni sono state fatte in questa comunità.
Temo che, anche in questo caso, nessuno abbia avuto il tempo di capire come vengono trattati e come vivono i bambini in queste comunità.
I ragazzi sono stati allontanati dalla loro vita abituale, il figlio più piccolo non è più stato mandato a frequentare le lezioni di catechismo, tanto che dovrà saltare i sacramenti. Guai per questi ragazzi lamentarsi di qualcosa o rifiutarsi di vedere il padre, che nonostante i reiterati comportamenti violenti, può vederli tranquillamente: ebbene, gli operatori della comunità li minacciano continuamente di mandarli in affidamento a un’altra famiglia.
Come ultimo sgarbo, nel momento in cui la donna, prove fotografiche alla mano, ha chiesto alla tutrice e al Tribunale di verificare le condizioni igieniche e strutturali della comunità in cui sono alloggiati i suoi due figli (sporcizia, disordine, ambienti malsani e cibi scaduti), questi non solo non hanno risposto, ma anzi, hanno comunicato la sospensione degli incontri tra la mamma e i suoi ragazzi.
Addirittura, la bambina che ha trovato il coraggio di chiamare la madre e chiedere aiuto con un telefono cellulare, ora è “segregata” in camera da maggio e solo ultimamente può uscire nel cortile guardata a vista da un operatore.
«Abbiamo presentato ricorso» conclude l’avvocato Miraglia «e siamo pronti a dare battaglia legale nel caso dovesse capitare qualcosa ai ragazzi, per l’incuria in cui vivono a causa delle scelte ingiustificate, a danno di questi ragazzi che chiedono solo di poter tornare a casa dalla madre.
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