Il Tribunale di Brescia affida un bambina al padre violento
Adduce come motivazione la controversa PAS (Sindrome da Alienazione Parentale)
BRESCIA (4 aprile 2019). Sindrome da Alienazione Parentale o Pas, una condizione secondo la quale un genitore scredita a tal punto l’altro, che i figli, quasi avessero subito un lavaggio del cervello, non vogliono più avere a che fare con esso, lo giudicano negativamente, non vogliono rapportarsi con lui né vederlo. Una presunta sindrome, ancora non riconosciuta sul piano scientifico. Eppure su questa si è basato il Tribunale di Brescia nello strappare una bambina di dieci anni alla madre cui è sempre stata affidata dopo la separazione dei genitori, per disporne l’affidamento al padre. Un uomo violento, già ricoverato in Psichiatria, e incapace di prendersi cura della bambina, che tra l’altro, terrorizzata da lui e dalla sua violenza, si rifiuta di vederlo fino a star male. Nulla di tutto questo è stato tenuto in considerazione dal tribunale di Brescia, che si è limitato soltanto ad etichettare la madre come “alienante” della figura paterna, a tal punto da vietare persino che mamma e figlia si parlino e abbraccino, sebbene si vedano tutti i giorni all’interno della scuola che entrambe, per studio e per lavoro, frequentano. Quando si incrociano lungo i corridoi e nel cortile devono fingere di non conoscersi: ma è possibile? «Eppure il comportamento alienante di questa madre è stato ampiamente smentito dalle perizie» sottolinea l’avvocato Francesco Miraglia, che tutela la madre e la sua bambina. «Anzi, la madre, come è stato provato anche dagli stessi assistenti sociali e dai periti, si è sempre adoperata perché la bambina continuasse a mantenere un rapporto con il papà. Per tutta risposta l’uomo l’ha accusata di manipolare la figlia contro di lui». Il padre è un convinto assertore della teoria della Pas, molto attivo su questo versante anche sui social. «L’abuso del termine alienazione parentale sta diventando un’arma nelle mani di quei genitori che vogliono sollevarsi dalle proprie responsabilità» prosegue l’avvocato Miraglia, «assumendo loro stessi comportamenti alienanti, pregiudizievoli e manipolatori, a discapito della stabilità emotiva dei figli». Bastava invece leggere le parole che la bambina ha pronunciato a uno psicologo per comprendere il reale motivo di tanto rifiuto a frequentare il padre: da piccola lui la picchiava senza motivo, le diceva che la mamma non le voleva bene e queste parole le hanno fatto tanto male. Anche adesso la sgrida con cattiveria e non si occupa di lei: nel corso delle vacanze, ad esempio, ne affida le cure totalmente a sua cugina. «L’imposizione della frequentazione del padre ha generato un profondo disagio emotivo e uno stato di ansia ogniqualvolta la bambina deve incontrarlo» conclude l’avvocato Miraglia. «Costringerla ora a lasciare la propria casa e la mamma, per vivere unicamente e costantemente con il padre, potrebbe arrecale un danno psicologico inimmaginabile. Lasciarle il tempo di affrontare gli incontri con il padre spontaneamente, senza imposizioni, sarebbe certamente più efficace per un loro graduale, progressivo riavvicinamento. Il tribunale di Brescia deve rivedere il suo pronunciamento prima che sia troppo tardi per la salute fisica e psicologica di questa bambina, tenendo ben in considerazione lo stato psichico di quell’uomo invece di far finta.
No Comments