“La Legge Mancino e il Linguaggio Inclusivo: Verso una Società di Uguaglianza e Rispetto”

“La Legge Mancino e il Linguaggio Inclusivo: Verso una Società di Uguaglianza e Rispetto”

La Legge del 25 giugno 1993, n. 205 detta anche legge Mancino, dal nome dell’allora ministro dell’Interno che ne fu proponente, Nicola Mancino, è un atto legislativo della Repubblica Italiana che sanziona e condanna frasi, gesti, azioni e slogan aventi per scopo l’incitamento all’odio, alla violenza, la discriminazione e la violenza per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali.

La legge Mancino non è la prima legge in materia di discriminazione in Italia: l’art. 3 della Costituzione, infatti, garantisce il diritto all’uguaglianza. Già nel 1975, con la legge n. 654, era stata recepita nell’ordinamento italiano la Convenzione di New York sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale del 1966. La legge puniva con una reclusione da uno a quattro anni chi diffondeva “in qualsiasi modo idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale” e “chi incita in qualsiasi modo alla discriminazione, o incita a commettere o commette atti di violenza o di provocazione alla violenza, nei confronti di persone perché appartenenti a un gruppo nazionale, etnico o razziale”.

Con la legge 101 del 1989, l’articolo della legge del 13 ottobre 1975 n.654 si estese anche alle “manifestazioni di intolleranza e di pregiudizio religioso”. Nel 1993, proprio con l’art. 1 della legge Mancino, l’articolo fu riformulato: “È punito con la reclusione da uno a quattro anni:

  1. a) chi diffonde in qualsiasi modo idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico;
  2. b) chi, in qualsiasi modo, incita alla discriminazione o all’odio, o incita a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza”.

La legge Mancino inoltre vieta “ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Chi partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro attività, è punito, per il solo fatto della partecipazione o dell’assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Coloro che promuovono o dirigono tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da uno a sei anni”.

L’obiettivo della norma è tutelare il rispetto della dignità umana e del principio di uguaglianza nazionale, etnica e religiosa. La norma punisce qualsiasi condotta di propaganda sulla superiorità nonché l’istigazione e la propaganda di fatti o attività atte a provocare violenza.

 

Nel contesto sociale in cui viviamo è sempre più importante adottare un linguaggio che non sottolinei le differenze, creando concetti di superiorità e inferiorità e quindi perpetuando cicli di ineguaglianza e gerarchia, ma che crei una forma di comunicazione ispirata ai principi di uguaglianza, che valorizzi l’unicità dei singoli individui e delle loro esperienze. È necessario, dunque, adottare un linguaggio inclusivo che non produca generalizzazioni che sono lesive dei principi di pari opportunità.

In aggiunta a questo, è necessario sottolineare la pericolosità dietro la diffusione di contenuti discriminatori su piattaforme televisive che amplificano ulteriormente queste generalizzazioni, normalizzando e diffondendo concetti che non fanno altro che semplificare e banalizzare la complessità della realtà. Occorre dunque offrire delle informazioni oggettive e rigorose affinché gli individui possano informarsi e conoscere un fenomeno o un aspetto della realtà senza che le loro opinioni vengano polarizzate.

 

A questo proposito, le affermazioni di Mauro Corona durante la trasmissione di Bianca Berlinguer riflettono una forma di comunicazione che sebbene possa essere stata concepita a fin di bene, finisce per creare una disparità. Di fatto, parlare di inferiorità implica che un gruppo di individui, in questo caso un genere, è inferiore rispetto a un altro.

Smettere di categorizzare la realtà in opposti ci permetterà di sradicare un sistema linguistico, e successivamente sociale e politico, che al momento non ci permettere di vedere oltre i limiti che noi stessi imponiamo alle cose etichettandole come migliori o peggiori, superiori e inferiori e non diverse, o semplicemente uniche.

 

Dal punto di visa legale, la natura discriminatoria delle affermazioni di Corona rientra nella normativa vigente, in particolare nella Legge Mancino (L. 205/1993) e nell’art. 604-bis del Codice Penale, che sanzionano comportamenti discriminatori e incitanti all’odio.

Tuttavia, ci sono delle parti di queste leggi che dovrebbero essere ulteriormente integrate e rafforzate affinché possano proteggere in maniera più efficace la comunicazione discriminatoria. A questo proposito si avanzano delle proposte di integrazione dell’Art. 604-bis che introducano:

 

  1. un nuovo articolo di legge che sancisca esplicitamente il divieto di comunicazione discriminatoria di genere nei mezzi di comunicazione di massa di qualsiasi natura, con particolare attenzione ai programmi televisivi e radiofonici;
  2. pene severe pecuniarie e detentive, inclusa la reclusione fino a 5 anni, per chiunque sia responsabile della produzione o diffusione di tali contenuti; l’obbligo di allontanamento immediato dal lavoro e l’esclusione permanente dall’albo di appartenenza per i professionisti coinvolti nella diffusione di tali contenuti;
  3. un meccanismo di controllo e monitoraggio dei contenuti trasmessi, con potere di intervento immediato da parte delle autorità competenti.

 

È fondamentale chiarire che le proposte avanzate non intendono limitare in alcun modo la libertà di espressione, ma piuttosto garantire che questa venga esercitata nel rispetto dei diritti e della dignità di ogni individuo affinché si possa costruire attivamente una società equa, giusta, che garantisca i diritti umani universali.

È inoltre fondamentale specificare che la chiave affinché cambi la cultura di una nazione è l’istruzione. Insegnare significa decidere di raccontare una storia che privilegi le differenze e le veda come fonte di crescita e di ricchezza piuttosto che come elemento di competizione e di avversità.

Una volta avvenuto un cambiamento strutturale nel linguaggio che adottiamo e quindi nella narrazione dei fenomeni che raccontiamo si potranno verificare cambiamenti sociali, e in seguito economici che valorizzino l’unicità di un individuo, non più legata al suo sesso. Ai cambiamenti linguistici, sociali ed economici si integrerà un nuovo modo di vedere e di intendere la politica come il complesso apparato che amministra e gestisce un popolo il cui fine ultimo è la difesa e tutela dei diritti di tutte le persone che lo compongono.

Francesco Miraglia