"Soffriva, ma hanno visto tardi il tumore: voglio la verità sulla morte di mia madre"
La replica di Usl e Policlinico: “Caso difficile, le aziende hanno agito in modo corretto”
di Valentina Reggiani
Modena, 18 marzo 2015 – «Com’è possibile che per mesi abbiano scambiato un tumore gravissimo per una patologia neurologica?». E’ quanto si chiedono la giovanissima figlia e le sorelle di Maria Tutuianu, 43 anni, morta l’11 giugno del 2013 nel reparto di chirurgia generale del Policlinico per un carcinoma nella parte terminale dell’intestino (ileo) e nel peritoneo, dopo una lunga agonia ed innumerevoli ricoveri.
La nefasta patologia, appunto, sarebbe stata riscontrata solo a pochi giorni dalla morte della donna, di origine rumena. Proprio per cercare una risposta a quanto accaduto e capire se si ravvisino reponsabilità nella diagnosi tardiva della neoplasia maligna, le quattro donne si sono rivolte allo studio dell’avvocato Francesco Miraglia che, lo scorso gennaio, ha depositato l’esposto in procura.
«Io voglio sapere se mia madre, individuando subito la malattia, avrebbe potuto ottenere maggiori chances di sopravvivenza e, soprattutto, se avrebbe potuto essere subito sottoposta a qualche terapia senza le tante tante, inutili, che l’hanno costretta a sofferenze indicibili», spiega la figlia 21enne Anca. «E’ arrivata alla fine della sua battaglia ridotta a una larva», affermano con la voce rotta dal pianto le sorelle della donna, Tita Pasnicu e Jenica Caraghiulea. Ripercorrendo la tragica vicenda, attraverso le parole dei familiari di Maria, ma anche scorrendo la perizia medico legale prodotta dal perito di parte Roberto Agosti, si evince come la 43enne fosse stata ricoverata all’ospedale di Baggiovara a settembre 2012, per forti dolori alle gambe. «Ci hanno subito parlato di problemi neurologici – spiega ancora la figlia – come la mielite trasversa emorragica, oppure la vasculite. Nessuno ha ipotizzato il tumore». Le sorelle della 43enne ricordano poi come la paziente, a novembre, sia stata trasportata a Montecatone, dopo un primo ricovero, sempre a Baggiovara, a medicina riabilitativa. «Cercavano di riattivarle gli arti inferiori – commentano ancora Tita e Jenica – mentre dentro un cancro la divorava».
Nella perizia si fa presente come, a fine 2013, la «paziente venisse ancora valutata come ‘portatrice di una mieloradicolite emorragica’, nonostante vi fossero i sintomi del tumore, emersi nel corso di accertamenti. La paziente finì su un tavolo operatorio solo a maggio 2013 e in quell’occasione emerse la situazione gravissima. Il medico legale conferma come la neoplasia fosse altamente maligna, ma chiede se il ritardo diagnostico della stessa abbia pregiuficato la sua prognosi, costringendo la donna ad una «penosa serie di ricoveri e terapie inutili se non dannose (come la somministrazione di immunosoppressori), che con molta probabilità avrebbero drasticamente abbreviato le sue chances di vita. Dalle direzioni degli ospedali di Baggiovara e Policlinico precisano che nei prossimi giorni si svolgerà la prima udienza e che, al momento, è solo possibile evidenziare come si tratti di un caso che dal punto di vista clinico particolarmente complesso. «Sul piano della continuità e qualità assistenziale e dell’impegno riteniamo che i professionisti di entrambe le aziende abbiano agito in modo corretto, sottoponendo la signora dapprima ad una serie, numerosa ed accurata, di esami diagnostici e quindi alle cure ritenute più adeguate».
L’udienza è fissata per il prossimo 30 aprile.
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