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Tredicenne effeminato allontanato da casa. I servizi sociali al Tribunale: “denunciate la madre, va in tv e sui giornali”

PADOVA. Ha raccontato la sua verità ai giornali e in televisione. Ha raccontato come i Servizi sociali le abbiano tolto la potestà genitoriale del figlio tredicenne perché troppo effeminato. Ha lottato per tenere con sé suo figlio, che rischia l’allontanamento da casa e di passare anni in comunità per gli atteggiamenti che terrebbe a scuola. Ebbene, questa donna padovana adesso rischia di venire denunciata. E chi chiede al tribunale di assumere tale provvedimento sono nientemeno che i Servizi sociali che stanno seguendo la sua vicenda. Le sue esternazioni pubbliche, sui giornali come in televisione, comprometterebbero il rapporto tra l’equipe che segue suo figlio e il ragazzino stesso, questa la motivazione. Che ha mandato su tutte le furie la madre, in primis, e il suo legale, l’avvocato Francesco Miraglia, che invoca l’intervento dell’assessore regionale ai Servizi sociali, Manuela Lanzarin.
«Trovo inammissibile che l’equipe dei Sevizi sociali pubblici, che sta seguendo questa delicata vicenda e che dovrebbe collaborare con la famiglia per il bene del ragazzino» sottolinea l’avvocato Miraglia, «chieda invece al tribunale di assumere provvedimenti giuridici contro la madre. Ma il mondo va a rovescio? Adesso un cittadino deve difendersi dalle istituzioni che sarebbero chiamate invece ad aiutarlo? Come potrà, questa madre, fidarsi ancora degli operatori dei Servizi sociali se questi vorrebbero vederla in un’aula di tribunale a difendersi dalle loro accuse di sovraesposizione mediatica, quando in realtà ha raccontato solo la propria verità, com’era nei suoi diritti?
La vicenda, alquanto delicata, vede un tredicenne, seguito dai Servizi sociali territoriali che fanno riferimento all’Ulss 6 Euganea, venire allontanato dalla famiglia (vive con la madre e due sorelle) per degli atteggiamenti effeminati che utilizzerebbe come provocazione nelle relazioni con gli adulti, anche in ambito scolastico. Il ragazzino non è stato ancora separato dai familiari soltanto perché finora nessuna comunità ha accettato di accoglierlo, a quanto direbbero i Servizi sociali. La madre, tramite il proprio legale, ha impugnato tale provvedimento e martedì scorso ha presentato una memoria difensiva. Il tribunale nel frattempo ha sentito anche il ragazzino, il quale ha ribadito che lui una famiglia ce l’ha e non vuole esserne separato.
«L’allontanamento da casa è l’estrema ratio» prosegue l’avvocato Miraglia «quando sussista una grave situazione di violenza e di abbandono oppure quando siano fallite tutte le possibilità di dialogo e trattativa. In questo caso non vediamo come sarà possibile per la madre tornare a colloquiare con questi Servizi sociali, dall’atteggiamento alquanto intimidatorio, e pertanto auspichiamo l’intervento dell’assessore regionale ai Servizi sociali, anche per scongiurare che questa situazione, ormai inasprita ed esacerbata, porti come estrema soluzione l’allontanamento del ragazzo da casa. E’ inconcepibile, poi, che un cittadino debba difendersi dalle istituzioni e soprattutto è inaccettabile che i Servizi sociali utilizzino l’intimidazione per far tacere la madre. Siamo arrivati al punto che un cittadino può soltanto dire che va tutto bene, che i Servizi sociali svolgono un ottimo lavoro, e se osa mettere in luce gli aspetti problematici, invece di venire ascoltato ed aiutato, rischia una denuncia».

Miraglia: «Indagini superficiali»

 

Strali dal legale di Valerio sul caso del teste morto e “resuscitato”

REGGIO EMILIA. Il caso del presunto ricattato Salvatore Soda dato per morto dai carabinieri e “resuscitato” a fine udienza per bocca del teste Domenico D’Urzo – che lo aveva incontrato poco tempo fa – tiene ancora banco ai margini del processo Aemilia. Un “giallo” innescato dal maresciallo dei carabinieri Emilio Veroni (del Nucleo investigativo di Modena) rispondendo nel controesame a una domanda dell’avvocato Pasqualino Miraglia, difensore di Antonio Valerio che con altri tre è nei guai per questa estorsione. Ora, a scagliarsi contro le ricostruzioni degli investigatori, è Francesco Miraglia, anch’egli legale di Valerio. «Non solo prove indiziarie, ma adesso pure le presunte persone offese che non vengono mai sentite perché date per morte, ma che invece potrebbero essere vive e vegete» scrive in un comunicato Miraglia. «L’ennesima riprova che il processo Aemilia, che si sta svolgendo su presunte estorsioni legate alla ’ndrangheta calabrese a Reggio Emilia, pare tanto basato su indagini superficiali e approssimative. Ne ha dato notizia anche la stampa, della presunta vittima, Salvatore Soda, che i carabinieri non avrebbero sentito come teste in quanto sarebbe morto, ma che un amico, all’udienza di sabato, dice di aver visto non più tardi di dieci giorni fa. Ma come si fa a non appurare se la vittima sia viva oppure no? Il presidente del collegio ha incaricato di verificare questa morte presunta, e ben vengano indagini supplementari: ma non sarebbe stato meglio farle prima? Chissà che adesso, almeno, riusciremo a sapere se le pesanti accuse rivolte al mio assistito, Antonio Valerio, siano o meno fondate su basi accertate. Come mi pare, invece, finora non sia stato. Senza contare che già il maresciallo sentito sabato ha smentito il capo di imputazione nel quale si parlava di un feroce pestaggio, da parte del mio assistito. È talmente grottesco che ci sarebbe da sorridere se non fosse che un processo sommario e indiziario come questo, oltre a costare tempo e denaro pubblico, si sta giocando sulla pelle delle persone accusate, tra cui appunto il mio

cliente. Il grande processo di mafia sbandierato anche mediaticamente come un grande evento, pare sgonfiarsi ad ogni udienza sempre di più. Se non si arriverà ad alcuna condanna – come mi auguro per il mio cliente – il processo Aemilia avrà forse il merito di aver fatto resuscitare trali dal legale di Valerio sul caso del teste morto e “resuscitato”

Aemilia, niente sequestro per l’imputato Valerio

La Corte d’Appello rigetta il ricorso della Direzione distrettuale antimafia che dopo aver ottenuto la sorveglianza speciale puntava alla confisca dei beni
REGGIO EMILIA. La Corte di Appello di Bologna ha rigettato il ricorso della Procura antimafia di Bologna riguardo alla richiesta di una misura di prevenzione patrimoniale a carico di Antonio Valerio, imputato nel processo Aemilia in corso a Reggio. A dare notizia dell’ordinanza è il difensore, l’avvocato Francesco Miraglia, il cui assistito è infatti considerato un associato alla consorteria criminale di matrice ’ndranghetistica attiva a Reggio. Valerio, noto alle cronache anche per essere sopravvissuto all’agguato del killer Paolo Bellini, ha già una misura personale che prevede la sorveglianza speciale per due anni. La Dda, ricorda però Miraglia, con richiesta del 28 luglio 2015 chiedeva l’applicazione – oltre che della misura di prevenzione personale- anche di quella patrimoniale, vale a dire di sequestro e confisca di beni riconducibili a Valerio e ai suoi familiari, residenti a Reggio Emilia.
Fin da subito il tribunale reggiano lo scorso aprile rigettò nel merito l’istanza di sequestro «ritenendo non provati i diversi presupposti dell’adozione stessa, ovvero quello dell’attribuibilità al preposto dei beni intestati ai suoi familiari, quella della provenienza da reato dei beni intestati a Valerio, quello della sproporzione tra i beni a lui intestati e ai suoi proventi leciti, quello, ancora, della pericolosità sociale del preposto all’epoca, i cui beni erano stati acquistati».
In altre parole, conclude l’avvocato – che bolla Aemilia come «un processo mediatico dove tutti sono ’ndranghetisti e tutti sono già “colpevoli” a prescindere» – tribunale e Corte d’Appello «non hanno fatto altro che confermare che nessuna attività illecita e proventi illeciti possono essere riferiti al mio assistito proprio negli anni in cui viene contestato a Valerio una supposta partecipazione ad un associazione criminale».
Antonio Valerio, 49 anni, imprenditore edile di origine cutrese, è uno dei tanti imputati che sono ora nel mirino della procura antmafia, decisa a chiedere le misure di prevenzione per gli imputati di più elevato profilo criminale. Valerio, come detto, ha diversi precedenti ma è soprattutto noto per l’agguato che subì la sera del primo maggio del 1999 nel quale rimase ferito davanti alla casa dove abitava, in via Samoggia. Ad autoaccusarsi, in seguito, fu il killer Paolo Bellini. Questione ritirata in ballo da Bellini stesso durante una delle udienze di Aemilia, in cui il killer ipotizzò una guerra di mafia a Reggio negli anni ’90. Una testimonianza a tutto campo che aveva provocato la reazione di Valerio. Diversi i punti della deposizione contestati dall’avvocato Miraglia, quando il killer ha specificato «che per Valerio

dovevo fare un servizio, l’uccisione di un signore che sarebbe stato responsabile della morte di suo padre». Invece per il difensore: «Come mandante dell’omicidio a cui fa riferimento Belllini, Valerio è stato assolto dal tribunale di Catanzaro per non aver commesso il fatto». (e.l.t.) 
http://gazzettadireggio.gelocal.it/reggio/cronaca/2017/01/24/news/aemilia-niente-sequestro-per-l-imputato-valerio-1.14769070?ref=search

Processo Aemilia: fatture false e ‘Summit’ con la cosca: l’imprenditore in affari col boss”.

Oggi, su alcuni quotidiani cittadini veniva pubblicato un articolo “Fatture false e ‘Summit’ con la cosca: l’imprenditore in affari col boss”.
Si parla del processo Aemilia che si sta celebrando a Reggio Emilia e che sto seguendo in qualità di avvocato di fiducia di alcuni imputati ma nello specifico per Vincenzo Mancuso, l’indagato nel processo Aemilia citato nell’articolo suddetto, sento il bisogno di rivolgermi all’opinione pubblica.
Nel citato articolo si fa riferimento a “summit” ed affari col boss.
Ancora una volta, mi corre l’obbligo di sottolineare che non si può e non si deve condannare chi che sia se non con sentenza passata in giudicato.
Infatti il processo è ancora in corso e c’è chi invece ha già condannato pubblicamente gli imputati.
Tengo a precisare che tutti gli episodi a cui si fa riferimento sono fatti “raccontati”e soprattutto interpretati da un ufficiale di Polizia Giudiziaria.
Pertanto, ancora devono essere sottoposti al contro esame e soprattutto giudicati da un Tribunale.
Non si può e non si deve strumentalizzare in alcun modo un incontro tra due persone che provengono dallo stesso posto.
Non si può e non si deve accomunare, come si sta facendo, essere calabresi all’essere ‘ndranghetisti.
Dalla deposizione dell’agente di Polizia Giudiziaria emergono solo racconti e valutazioni personali: definirsi “cristiano serio”, per l’agente di Polizia Giudiziaria, è la prova che tale è un ‘ndranghetista.
Come per tutti, anche per Mancuso vige il principio della presunzione d’innocenza fino al terzo grado di giudizio.

 
 

Processo Aemilia: in dibattimento solo prove indiziarie

Francesco Miraglia, legale di alcuni imputati: «Si sta Facendo un Processo sui” non so “»
 
In un Paese venire Il Nostro, in cui si vale per la presunzione di innocenza Fino al terzo Grado di Giudizio, STIAMO assistendo in QUESTE un minerale delle Nazioni Unite Processo mediatico che Dipinge Già venire colpevoli Gli imputati in un procedimento giunto soltanto alla fase dibattimentale, tutt’ora in corso, ben lontana da Una sentenza.
Parlo del Processo Aemilia, il Che si sta celebrando a Reggio Emilia e il Che sto seguendo in qualità di avvocato di Fiducia di ALCUNI imputati. Lungi da me Mettere in Discussione La Bontà delle Indagini, l’operato delle Forze dell’Ordine e del Pubblico Ministero titolare dell’inchiesta o dei Giudici, i Quali Stanno Facendo Notevoli Sforzi per garantire alle parti i propri Diritti. Ma Il processo E, appunto, Ancora in corso e C’è invece chi ha Già condannato Pubblicamente Gli imputati. Ed e pertanto per correttezza ed onestà Intellettuale Che mi sento in dovere di ricondurre a verità le informazioni Per do Quanto sta accadendo in aula.
In ABBIAMO sentito numerosi testi Mesi Quattro, Citati Dalla Procura, Rispondere con “Non so”, “ABBIAMO supposto”, “Non ABBIAMO Verificato, lo ABBIAMO desunto noi, lo ABBIAMO capito delle intercettazioni telefoniche, Sono calabresi, Sicuramente E così”.
Venite Ho Detto prima non è mia intenzione proporre Una Difesa d’ufficio per i miei assistiti o per gli Altri imputati, MA e fuori di Dubbio Che i testimoni dell’accusa, sentiti dal mese di maggio ad Oggi, Hanno Risposto all’incalzare delle Domande con Risposte impreciso, a tempo indeterminato e per sentito dire. Che si Tratti di Affiliati alla ‘ndrangheta e di operazioni legato alle Attività criminose E quindi tutto Ancora da dimostrare e mi pare pertanto il Che SI SIA Divisori da un presupposto di territorialità, il Che Faccia dei Calabresi dei delinquenti una Prescindere, senza giungere un Processo con dimostrare Certe che giustifichino i capi di imputazione. Un Pregiudizio Gravissimo.
I fatti distorti e non Completi, Che vengono riportati Dalle Cronache, Partono da un errato presupposto di colpevolezza a Prescindere: si rischia di Celebrare un Processo politico-sociale prima Ancora Che Si accertati se effettivamente esista un’organizzazione mafiosa, venire SOSTIENE l’accusa , radicata nel Nostro territorio.
Il mio invito pertanto Quello di riportare Pubblicamente la verità dibattimentale, in attesa della sentenza, qualunque ESSA Sarà.