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Verona: il piccolo Marco ancora in comunità

Servizi sociali e Tribunale dei minorenni stipulano un accordo “privato”.

VERONA (31 gennaio 2019). Il piccolo Marco è ancora in comunità, dove non è dato sapere se stia bene o se pianga invocando i genitori affidatari e i fratellini con cui è cresciuto nella sua breve vita. E’ ancora lì, vittima di un sistema e di accordi tra assistenti sociali e tribunale. Che stanno facendo di tutto per toglierlo alla famiglia che l’ha avuto finora in affidamento e che si è detta disposta ad adottarlo, per farlo adottare invece ad un’altra famiglia, la cui scelta sarebbe a discrezione del tribunale. Una famiglia di estranei. Perché? Che avrebbe in più questa famiglia rispetto a quella con cui è vissuto finora il piccino, sottratto alla madre dalla vita difficile, ma accudito poi amorevolmente da genitori affidatari e dai nonni materni, che lo crescevano sereno come una grande famiglia? E tutto sta avvenendo all’insaputa dei legali del piccolo e del suo tutore: un’udienza, infatti, è stata celebrata alla sola presenza dell’assistente sociale e del giudice onorario, senza che venissero convocate le parti. Tra l’altro a sentenza di adottabilità già emanata, pertanto a cose già stabilite. «Perché? A chi giova tutto questo?» si interroga l’avvocato dei nonni del bimbo, Francesco Miraglia. «Non certo alla serenità di Marco».

Una vicenda che poteva concludersi in un paio di settimane al massimo, si sta protraendo da due mesi e ingarbugliando sempre più. E Marco resta lontano da persone amorevoli, alloggiato in una comunità, lontano da quelli che ha sempre chiamato mamma e papà, che pur non essendo i suoi veri genitori, lo hanno cresciuto amorevolmente. E lontano dai fratellini, con i quali giocava, mangiava e dormiva.

«Ho interpellato il presidente del Tribunale dei minori di Venezia» aggiunge l’avvocato Miraglia, «che però non mi ha ancora risposto. Da lui vorrei sapere per quale motivo, nonostante il provvedimento di adottabilità fosse già stato pronunciato e la famiglia affidataria si fosse offerta di accompagnare il bimbo in un percorso di graduale distacco (idea per altro accettata dall’assistente sociale), ebbene all’insaputa di tutti proprio l’assistente sociale con il giudice onorario si sono incontrati in udienza decidendo che no, era meglio strapparlo subito da tutti, alloggiarlo in una comunità e farlo adottare poi da una famiglia scelta da loro. Vorrei sapere perché è stata convocata quell’udienza “carbonara”, da cui per altro è seguita una disposizione a mio avviso illegittima, in quanto manca persino della firma del presidente del tribunale. Dovesse accadere qualcosa a questo bambino, chi ne risponderebbe in questo marasma di provvedimenti non cristallini? Che partita si sta giocando sulla pelle di questo bambino?».

Il giudice toglie due figli ai genitori

EdizioneUdine

Il caso a Gorizia. Per il Tribunale dei minori c’è stato «eccesso di cure»: due ragazzini disabili affidati a una casa famiglia. Decisiva un’intercettazione di Christian Seu

21 aprile 2016

GORIZIA. Due bambini disabili di dodici e sette anni, che abitavano a Gorizia con la mamma e il papà, sono stati affidati a una casa famiglia di Vigevano, dopo un provvedimento di allontanamento emesso dal Tribunale dei minori di Trieste.
La decisione del tribunale giuliano è maturata lo scorso novembre, al culmine di una serie di schermaglie giudiziarie che hanno visto i genitori dei due ragazzini opposti all’Azienda sanitaria isontina e in particolare ai professionisti del servizio di neuropsichiatria infantile di Cormòns, che seguivano i piccoli.
L’accusa mossa nei confronti dei genitori – il papà è medico, la mamma casalinga – è di eccesso di cure, per una patologia che, secondo il legale della famiglia, «la Procura non riconosce».
Il provvedimento di allontanamento è arrivato dopo mesi di indagini da parte della magistratura isontina, che si è avvalsa anche di intercettazioni telefoniche per chiarire i contorni della vicenda. Proprio una telefonata ha innescato l’intervento del Tribunale: parlando col marito, la mamma dei due bimbi si diceva esasperata, pronta prima o poi a commettere una pazzia.
L’avvocato Francesco Miraglia, che assiste la coppia goriziana, ha presentato un’istanza di revoca del provvedimento di allontanamento, che sarà esaminato dai giudici nei prossimi giorni.
«La vicenda – spiega Miraglia – si dipana a partire dal 2012: sono stati riempiti cinque faldoni di documenti, con innumerevoli casi di sequestri di farmaci utilizzati per le cure dei bambini».
A scatenare la querelle sarebbe stato, secondo l’avvocato della famiglia, il mancato riscontro dei Servizi sociali, che per i genitori non avevano risposto in maniera efficace alle necessità dei due bimbi.
«Per eccesso di cure» sottolinea Miraglia esperto in Diritto minorile, «hanno tolto loro i figli per maltrattamento, che non significa percosse, ingiurie, abusi, ma per troppe cure, per una patologia che la Procura però non riconosce e che il Tribunale dei Minori ha deciso di accertare ora tramite una perizia tecnica. Cure prescritte dagli specialisti delle strutture pubbliche che li avevano in carico ed erogate direttamente dall’ospedale e che peraltro continuano ad essere somministrate ai due piccini nella stessa misura e con le medesime modalità di quando si trovavano nella tranquillità di casa propria».
La patologia genetica, secondo il legale, è stata certificata da strutture sanitarie di eccellenza come il Besta di Milano e il Centro regionale per le malattie rare di Udine.
«Raramente ho visto tanto dispendio di tempo e risorse per delle indagini», Miraglia, recentemente subentrato a seguire la vicenda, «persino con delle intercettazioni telefoniche.
Il neuropsichiatra dell’Aas Isontina che seguiva i bambini aveva trasmesso, dopo un dissidio con la famiglia, alla Procura le sue perplessità sulle reali condizioni di salute dei due bambini, la cui patologia è stata invece più volte certificata, anche dalla commissione medica per l’invalidità, sostenendo che fossero i genitori stessi a “causare” la patologia e che quindi non fosse di origine genetica. Ebbene, il Tribunale in prima analisi rigetta le istanze, considerando la coppia dei genitori affettuosi e premurosi».
Bocche cucite dall’Azienda sanitaria, che non ha inteso commentare la vicenda, nota in ogni caso tra gli operatori della struttura cormonese che seguiva i ragazzini. Il legale della famiglia ha presentato istanza
urgente al Tribunale dei minori di Trieste, chiedendo la revoca immediata del provvedimento di allontanamento dei due minori e di reintegro alla coppia la responsabilità genitoriale. «E ci appelleremo anche al Csm, se sarà necessario», conclude l’avvocato.
 
©RIPRODUZIONE RISERVATA
 

Da gennaio la giovane promessa della danza studierà a Milano

Lacrime di gioia e valigie in preparazione per inseguire il suo sogno

 

 

FERRARA. Quando i giudici sabato scorso le hanno annunciato che avrebbe potuto frequentare la scuola di danza Aida a Milano e un liceo linguistico nella medesima città, è scoppiata in un pianto liberatorio: la quattordicenne ferrarese, da mesi nell’angoscia a causa di un provvedimento di allontanamento da casa emesso dal Tribunale di Roma, ha accolto così la fine di un incubo. Il collegio dei giudici l’ha ascoltata, ha capito che per lei la danza è fondamentale e che il provvedimento di allontanamento dalla madre e la sua reclusione in una casa famiglia romana non fosse motivato e pertanto nemmeno necessario.

Nonostante la giovane età, la ragazzina ha dimostrato di possedere una grande determinazione a voler perseguire il suo sogno, tanto che al giudice, durante l’audizione, ha detto: «Le danzatrici sono come gli uccelli, hanno bisogno di volare». E ha annunciato l’intenzione di partecipare alle audizioni anche all’estero.

Adesso nella sua casa ferrarese sta preparando le valigie, perché il giudice le ha concesso di iniziare a frequentare la scuola di danza Aida e il liceo linguistico già a partire dal 7 gennaio.

«La vicenda si è concluso per il meglio e non potremmo essere più contenti» commenta l’avvocato cui si è affidata la madre della ballerina, Francesco Miraglia «ed è la dimostrazione che una giustizia più umana è possibile, se non passa l’automatismo nei Tribunali per il quale, alle prime avvisaglie di un problema, bambini e ragazzi vengono immediatamente allontanati da casa. Se i giudici, invece, ascoltassero anche loro direttamente, molto di quei 40 mila minori italiani che si trovano attualmente in affidamento, sarebbero a casa propria».

La vicenda porta  alla luce anche un altro aspetto positivo: la determinazione di una giovane a seguire il proprio sogno.

«Si dice spesso che i giovani d’oggi siano superficiali» prosegue l’avvocato Miraglia, «invece questa ragazzina ha dimostrato che con la grinta e la perseveranza nel voler seguire il proprio sogno, ha combattuto contro le istituzioni e ha vinto. Se questa storia deve insegnare qualcosa, potrebbe proprio essere l’invito ai giovani a non lasciarsi scoraggiare mai e di combattere sempre per ottenere quello che si desidera».