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Bimbo di Ferrara allontanata dalla madre per una telefonata: nuova denuncia per la psicologa e l’assistente sociale

Nuova denuncia per la psicologa e l’assistente sociale
Hanno mentito in tribunale
  
FERRARA, 7 aprile 2018. Non solo falso ideologico, bensì anche falsa testimonianza è la pesante accusa rivolta alla psicologa dei Servizi sociali in provincia di  Ferrara, responsabile dell’allontanamento da casa di un bimbo senza che vi siano motivazioni valide. Denunciata con lei anche l’assistente sociale: le due professioniste all’udienza fissata dal tribunale venerdì 6 aprile, oltre ad essersi presentate immotivatamente accompagnate da un avvocato, hanno anche rilasciato dichiarazioni non attinenti al vero. «Le loro dichiarazioni ci danno pure ragione, quando sosteniamo che la diagnosi su cui si basa l’allontanamento del bimbo dalla madre sia errata e palesemente viziata da pregiudizi» sottolinea l’avvocato Francesco Miraglia, cui la madre del piccolo si è affidata, «in quanto ammettono che il bimbo nemmeno l’hanno quasi mai visto (la madre l’hanno vista appena tre volte, una sola delle quali con il piccolo). Su cosa basano quindi il provvedimento? “Su quanto dichiarerebbero i genitori affidatari del bambino” hanno risposto. Ora, mi chiedo, quali competenze in materia di psicologia e neuropsichiatria infantile avranno mai questi signori, per fornire indicazioni sulle quali una psicologa e un’assistente sociale pronunciano una diagnosi?».
Oltre a questo, le due professioniste davanti al giudice hanno anche dichiarato il falso. I Servizi sociali hanno infatti affermato di non aver mai avviato un progetto di riavvicinamento tra madre e bambino, in quanto la signora avrebbe rifiutato di alloggiare, come prescrittole, in una casa famiglia insieme al figlio. «Ebbene, abbiamo prove documentali plurime che attestano il contrario» prosegue l’avvocato Miraglia, «in quanto la mia assistita fin da subito, pur di riavere con sé il bimbo, si era detta disposta ad accettare il provvedimento, a tal punto che abbiamo presentato il 19 dicembre un’istanza al tribunale chiedendo il collocamento di madre e bambino. Detto questo, a parte che i cittadini di Ferrara avrebbero il diritto di sapere chi abbia mai pagato gli avvocati con cui la psicologa e l’assistente sociale si sono presentante ieri in tribunale, pur non essendo necessario (noi lo ritentiamo piuttosto un’ammissione di colpa da parte loro), a parte l’ennesima denuncia presentata contro di loro da parte nostra, mi sono immediatamente rivolto sia al direttore generale dell’Asl di Ferrara che al Tribunale per i minorenni di Bologna, per chiedere la rimozione dal caso delle due professioniste. Ma soprattutto è lecito domandarsi quante persone ci siano a Ferrara che hanno subito un ingiusto allontanamento dei propri figli per diagnosi fatte alla leggera e sul “sentito dire”, che non emergono perché a differenza della mia assistita non possono permettersi a vario titolo di “lottare” contro un ingiusto provvedimento».
 

Milano: malato psichiatrico costretto in prigione, soffre a tal punto da autolesionarsi

Nonostante la dichiarazione di inidoneità al carcere, la Regione Lombardia lo “scarica” e non cerca una struttura alternativa
 
MILANO. Cosa può esserci di peggio per un paziente psichiatrico conclamato che trovarsi costretto alla forzata convivenza con estranei, dietro le sbarre di una cella del carcere? Senza avere la capacità di comprendere il motivo della forzata detenzione, senza vedere la possibilità di uscire e di ritrovarsi in un ambiente familiare, la soluzione è quella estrema di lesionarsi per “evadere” a suo modo.
Accade a un uomo di 39 anni, attualmente detenuto alla Casa circondariale di San Vittore, a Milano: ci è finito alcuni mesi fa, a causa delle reiterate liti con un vicino, determinate dal suo conclamato e certificato stato psichiatrico patologico. Dopo la condanna venne ricoverato e si scagliò contro un medico, per cui dagli arresti domiciliati passò diretto in carcere. Dove, è assodato ormai dalle istituzioni, non può stare, per il benessere suo e di chi gli sta intorno. Ma dove andare? Qui inizia un balletto di responsabilità senza soluzioni concrete, dove sia la richiesta della Procura generale che le ingiunzioni della Corte di Appello di Milano vengono disattese e nessuno provvede a trovargli una sistemazione alternativa idonea. E lui continua a soffrire in carcere.
In seguito all’istanza di poter usufruire degli arresti domiciliari, letta la relazione psichiatrica del San Vittore, il Procuratore generale ne ha richiesto il ricovero in una struttura dei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura, mentre come atto d’urgenza la Corte di Appello di Milano ha chiesto intanto di trovargli ospitalità temporanea in un ospedale lombardo e al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria di individuare quanto prima una struttura idonea ad ospitarlo. E’ chiaro a tutti che è un paziente psichiatrico, incompatibile con la vita carceraria.
 
 
«Peccato, però, che la Direzione medica dell’Unità operativa di Sanità penitenziaria della Regione Lombardia abbia risposto “picche” ad entrambe le disposizioni» dichiara l’avvocato Francesco Miraglia, che lo assiste «in quanto, a suo dire, il mio assistito risulta “ben monitorato ed adeguatamente assistito presso il Servizio Assistenza Intensificata del Centro di osservazione neuropsichiatrica del carcere di San Vittore. Pertanto l’Ufficio detenuti della Regione non ha ritenuto di adottare alcun provvedimento e lui si trova tutt’ora in carcere. Questo nonostante la Direzione psichiatrica della casa circondariale ritenga il suo quadro psicopatologico incompatibile con il regime detentivo e nonostante l’ordinanza della Corte di appello di Milano, che invitava un ospedale lombardo ad accoglierlo ai domiciliari».
La risposta dell’ospedale è sconcertante: non ha posti a sufficienza. «Ora, ammesso che davvero questa struttura sia priva di posti per ospitarlo» prosegue l’avvocato Miraglia «e che, come invece ritengo, non gravino dei forti pregiudizi nei confronti del mio assistito che conoscono ben per precedenti ricoveri, mi domando come sia possibile che nell’intera Lombardia non ci sia un’altra struttura idonea in grado di accoglierlo. Né i familiari e nemmeno il Difensore regionale garante dei detenuti, che si è speso per trovare una soluzione, non sono stati in grado di trovare un posto adeguato in cui possa scontare il residuo di pena che gli manca. E’ lecito quindi chiedersi ancora: ma i politici che si stracciano le vesti e che scioperano per le condizioni delle carceri italiane, dove sono? E quelli che inneggiano al modello perfetto del sistema sanitario lombardo, perché non intervengono?  E quelli che promettono di migliorare il welfare, perché tacciono? Facile riempirsi la bocca di slogan e di promesse elettorali, ma la realtà è che

Figli tolti ai genitori denunciati tre medici

Famiglia all’attacco. Nel mirino i dirigenti Bernardi, Calucci e il dottor Reali L’avvocato Miraglia: «Troppi punti oscuri e dichiarazioni contradditorie» di Francesco Fain
Figli tolti ai genitori: la famiglia passa al contrattacco. E denuncia due dirigenti e un neuropsichiatra dell’Azienda sanitaria Bassa Friulana-Isontina. Si tratta, nella fattispecie, di Marcella Bernardi, Fulvio Calucci e Serafino Reali (quest’ultimo non più in servizio nella nostra Aas). Si ipotizzano false informazioni al pubblico ministero (articolo 371 bis del Codice penale); false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’autorità giudiziaria (articolo 374 bis) e diffamazione (art.595).
Ad annunciare quest’ultimo, clamoroso sviluppo è Francesco Miraglia, il legale del Foro di Roma che tutela i genitori dei due bimbi goriziani, oggi affidati a una casa-famiglia di Vigevano.
L’altra mattina, l’avvocato era a Gorizia proprio per depositare alla Procura della Repubblica la denuncia-querela, corredata da una decina di allegati. «Cosa imputiamo ai tre dirigenti? La faccio semplice in maniera da essere comprensibile a tutti. In sostanza, quando vennero convocati dal Tribunale dei minori sostennero che i bambini erano “ben curati” da mamma e papà. Quando sono stati chiamati a deporre alla Procura della Repubblica, hanno cambiato totalmente versione», spiega Miraglia.
Che aggiunge: «Su questa vicenda registro una spaccatura netta all’interno dell’Azienda sanitaria. Le affermazioni che hanno determinato l’allontanamento dei bambini dai propri genitori, peraltro, vanno contro le relazioni dell’attuale direttore sanitario facente funzioni Cavallini che certificò la disabilità dei due minori. Proprio per questo, chiediamo con forza che il direttore generale Giovanni Pilati ci convochi: vogliamo capire i motivi per cui ci sono parecchi punti che giudichiamo oscuri, poco chiari».
Peraltro, nel testo della querela, si evidenzia anche come «Reali e Calucci sono stati gli unici a paventare ipercura, medical shopping, chemical abuse (Reali) o sindrome di Munchehausen per procura (Calucci): invece, si tratta di patologie diverse. Insomma, non c’è identità di vedute neppure fra loro», sottolinea ancora Miraglia.
«La vicenda – aggiunge ancora l’avvocato – si dipana a partire dal 2012: sono stati riempiti cinque faldoni di documenti, con innumerevoli casi di sequestri di farmaci utilizzati per le cure dei bambini».
A scatenare la querelle sarebbe stato, secondo l’avvocato della famiglia, il mancato riscontro dei Servizi sociali, che per i genitori non avevano risposto in maniera efficace alle necessità dei due bimbi. «Per eccesso di cure – torna a ripetere Miraglia, esperto in Diritto minorile – hanno tolto loro i figli per “maltrattamento”, che non significa percosse, ingiurie, abusi, ma per troppe cure, per una patologia che la Procura però non riconosce e che il Tribunale dei Minori ha deciso di accertare ora tramite una perizia tecnica. Cure prescritte dagli specialisti delle strutture pubbliche che li avevano in carico ed erogate direttamente dall’ospedale e che peraltro continuano ad essere somministrate ai due piccini nella stessa misura e con le medesime modalità
di quando si trovavano nella tranquillità di casa propria».
Miraglia ha evidenziato più volte che la patologia genetica è stata certificata da strutture sanitarie di eccellenza come il Besta di Milano e il Centro regionale per le malattie rare di Udine.