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La sorellina affidata ai nonni, il fratellino per Tribunale per i Minorenni di Venezia deve andare in adozione  

VENEZIA (5 Ottobre 2019). Una giovane madre che cerca di rimettersi in carreggiata dopo alcuni errori commessi in gioventù. La donna va aiutata ed è giusto che i suoi bambini, nel loro interesse, vengano affidati a chi possa occuparsi di loro in maniera adeguata. Nulla da eccepire. Però perché la figlia maggiore può stare con i nonni materni, mentre il figlioletto più piccolo è stato dato in affidamento ad estranei e ora addirittura dichiarato adottabile? Sulla base di una consulenza redatta da un perito che invita addirittura a troncare i rapporti del piccolo con la famiglia di origine, quasi a volergli “resettare” la memoria, cancellandone l’identità. Perché? «Ce lo domandiamo pure noi e infatti con i genitori, i nonni materni e paterni e le zie siamo ricorsi alla Corte d’Appello di Venezia» spiega l’avvocato Francesco Miraglia, cui l’intero nucleo familiare si è rivolto, per contrastare la decisione assunta dal Tribunale dei minorenni veneziano. «Perché nonostante il bambino abbia una vasta e affidabile famiglia, viene affidato ad estranei che, pare, ricevano mille euro al mese per prendersene cura? I provvedimenti dei Tribunali dei minorenni devono tenere in considerazione il benessere dei bambini, salvaguardando per quanto possibile i loro rapporti con la famiglia di origine, affidandoli in primis ai parenti. E questo bambino ha nonni sia materni che paterni e zie amorevoli cui poteva venire affidato. A maggior ragione per il fatto che già la sorella maggiore vive con i nonni  materni , che lui stesso frequenta e con i quali ha istaurato un ottimo e affettuoso rapporto. A tal punto che la famiglia affidataria quando è andata in vacanza lo ha lasciato ai nonni. Perché allora devono essere buoni per una nipotina e per l’altro no? Ma ancora più insensato è il suggerimento del consulente tecnico della Corte di appello, noto professionista padovanoc,  secondo il quale il bambino deve essere dato in  adozione, addirittura tagliando totalmente i ponti con la famiglia, invece di garantirgli un supporto nell’ottica di farlo rientrare poi in senso al proprio nucleo familiare. A parte l’assurdità del provvedimento suggerito dal consulente, ci domandiamo perché dei nonni possano essere buoni per allevare una nipotina e non il suo fratellino, togliendo a quest’ultimo il diritto di vivere nella propria famiglia, come previsto, peraltro, dalla legge».

Caro Ministro Di Maio, la commissione sigli affidi deve valutare anche i Tribunali per i Minorenni

Lettera aperta dell’avvocato Francesco Miraglia, che da oltre dieci anni denuncia casi eclatanti di adozioni mascherate, affidamenti “facili”, servizi sociali incompetenti, case famiglia degli orrori

 

«Continua a inorridire, man mano si conoscono le storie agghiaccianti, quanto emerso dall’inchiesta sugli affidi denominata Angeli e demoni a Reggio Emilia: ed è giusto che si sappia cosa accade e si provino orrore e sgomento, perché queste cose succedono e anche troppo spesso e non soltanto in Emilia. Solo che chi come me le denuncia da anni rimane inascoltato». L’avvocato modenese Francesco Miraglia, esperto in Diritto minorile, negli ultimi quindici anni ha affrontato casi simili in tutta Italia: ecco perché chiede che la commissione che dovrà far luce sugli affidi, annunciata dal vicepremier Luigi Di Maio, sia estesa a livello nazionale, certo, ma coinvolga oltre ai Servizi sociali anche i Tribunali dei minorenni.

«Caro vicepremier Luigi Di Maio» prosegue Miraglia, «ben venga la commissione che lei ha annunciato, coinvolgendo il ministero della Famiglia, cui io stesso mi sono rivolto anche di recente per casi che sto seguendo. Ben venga che si faccia chiarezza sulla facilità con cui i bambini vengono strappati ai genitori e dati in affido o collocati in case famiglie, dove insieme ad ogni bambino entrano anche 150 euro al giorno. Perché di questo stiamo parlando: di un business fatto sulla pelle dei bambini e su quella di genitori fragili e in difficoltà, cui vengono tolti i figli senza motivi reali, facendoli passare per inetti o squilibrati perché qualcuno deve guadagnare per ogni affidamento, ogni ingresso in comunità. Ed è proprio qui il nocciolo della questione che deve venire affrontata seriamente, anche dopo che l’ondata emotiva sui casi di Reggio Emilia si sarà attenuata. Se è vero che questo sistema si regge sulle relazioni redatte dagli assistenti sociali, che mettono in moto il meccanismo, è però un giudice di un tribunale a emanare una sentenza. Ecco dove bisogna andare a controllare, a mettere il naso, a spulciare caso per caso. Perché troppo spesso i giudici si limitano a “copincollare” le relazioni dei Servizi sociali, senza entrare nel merito della vicenda, senza predisporre ulteriori perizie. E molto, anzi troppo spesso, persino senza ascoltare i bambini o il loro genitori. Che si trovano quindi doppiamente vittime di un sistema che da un lato lucra su di loro, dall’altro dimostra assoluta inerzia e noncuranza. Un’ultima cosa, caro ministro Di Maio, vorrei portare alla sua attenzione: adesso che, mi auguro come da lei annunciato, si farà chiarezza su decine di casi di allontanamenti ingiustificati, chi risarcirà questi genitori? Chi restituirà loro i figli? Ma soprattutto, a questi bambini, alcuni ancora piccoli, in altri casi adolescenti, chi dirà la verità? Chi dirà loro che vivono da anni insieme ad estranei, lontani dai genitori, dai nonni, dagli amichetti di scuola perché qualcuno ha voluto guadagnare sulla loro pelle? Chi lo farà? E con che metodo, poi? Possiamo solo immaginare quanto devastante potrà essere per un ragazzo apprendere di essere vittima di un sistema. Si essere stato allontanato da casa per mero lucro, per mero guadagno. Ecco, ministro, mi permetta allora di suggerire anche di predisporre, nella commissione che immagino e spero lei vorrà portare avanti, anche di un pool di psicologi e psicoterapeuti in grado di sostenere le decine, chissà forse pure centinaia, di casi che credo emergeranno in tutta Italia. Perché, caro ministro, io non sono incappato in situazioni di allontanamenti “dubbi” o quantomeno “facili” soltanto con il Tribunale dei minorenni di Bologna, ma anche con quello di Venezia e di Torino, tanto per citarne alcuni. Dai genitori fatti passare per pazzi a quelli accusati di essere spacciatori, fino ai bambini allontanati dalle madri dopo che queste hanno denunciato abusi da parte degli ex compagni contro di loro o i loro figli. Esiste un numero enorme di genitori che sta piangendo per i figli strappati dalle loro amorevoli braccia, esiste un numero enorme di bambini che piange per non avere più l’abbraccio della propria mamma. E non solo per colpa di assistenti sociali inette o, peggio, criminali, ma anche per i provvedimenti finali emanati dai Tribunali dei minori, perché per ogni relazione e richiesta di allontanamento presentata da un’assistente sociale, c’è comunque un giudice a pronunciare la parola “affido”».

 

 

Il Tribunale di Brescia affida un bambina al padre violento

Adduce come motivazione la controversa PAS (Sindrome da Alienazione Parentale)

BRESCIA (4 aprile 2019). Sindrome da Alienazione Parentale o Pas, una condizione secondo la quale un genitore scredita a tal punto l’altro, che i figli, quasi avessero subito un lavaggio del cervello, non vogliono più avere a che fare con esso, lo giudicano negativamente, non vogliono rapportarsi con lui né vederlo.  Una presunta sindrome, ancora non riconosciuta sul piano scientifico. Eppure su questa si è basato il Tribunale di Brescia nello strappare una bambina di dieci anni alla madre cui è sempre stata affidata dopo la separazione dei genitori, per disporne l’affidamento al padre. Un uomo violento, già ricoverato in Psichiatria, e incapace di prendersi cura della bambina, che tra l’altro, terrorizzata da lui e dalla sua violenza, si rifiuta di vederlo fino a star male. Nulla di tutto questo è stato tenuto in considerazione dal tribunale di Brescia, che si è limitato soltanto ad etichettare la madre come “alienante” della figura paterna, a tal punto da vietare persino che mamma e figlia si parlino e abbraccino, sebbene si vedano tutti i giorni all’interno della scuola che entrambe, per studio e per lavoro, frequentano. Quando si incrociano lungo i corridoi e nel cortile devono fingere di non conoscersi: ma è possibile? «Eppure il comportamento alienante di questa madre è stato ampiamente smentito dalle perizie» sottolinea l’avvocato Francesco Miraglia, che tutela la madre e la sua bambina. «Anzi, la madre, come è stato provato anche dagli stessi assistenti sociali e dai periti, si è sempre adoperata perché la bambina continuasse a mantenere un rapporto con il papà. Per tutta risposta l’uomo l’ha accusata di manipolare la figlia contro di lui». Il padre è un convinto assertore della teoria della Pas, molto attivo su questo versante anche sui social. «L’abuso del termine alienazione parentale sta diventando un’arma nelle mani di quei genitori che vogliono sollevarsi dalle proprie responsabilità» prosegue l’avvocato Miraglia, «assumendo loro stessi comportamenti alienanti, pregiudizievoli e manipolatori, a discapito della stabilità emotiva dei figli». Bastava invece leggere le parole che la bambina ha pronunciato a uno psicologo per comprendere il reale motivo di tanto rifiuto a frequentare il padre: da piccola lui la picchiava senza motivo, le diceva che la mamma non le voleva bene e queste parole le hanno fatto tanto male. Anche adesso la sgrida con cattiveria e non si occupa di lei: nel corso delle vacanze, ad esempio, ne affida le cure totalmente a sua cugina. «L’imposizione della frequentazione del padre ha generato un profondo disagio emotivo e uno stato di ansia ogniqualvolta la bambina deve incontrarlo» conclude l’avvocato Miraglia. «Costringerla ora a lasciare la propria casa e la mamma, per vivere unicamente e costantemente con il padre, potrebbe arrecale un danno psicologico inimmaginabile. Lasciarle il tempo di affrontare gli incontri con il padre spontaneamente, senza imposizioni, sarebbe certamente più efficace per un loro graduale, progressivo riavvicinamento. Il tribunale di Brescia deve rivedere il suo pronunciamento prima che sia troppo tardi per la salute fisica e psicologica di questa bambina, tenendo ben in considerazione lo stato psichico di quell’uomo invece di far finta.

Verona: il Governo salvi il piccolo Marco

L’avvocato Miraglia «Da mesi chiediamo un intervento delle istituzioni. Il bambino sta male»
 
VERONA (20  febbraio 2019). «Non mi piace dire “Ve l’avevo detto”, ma sono mesi che denunciamo la strana partita che si sta giocando sulla pelle del piccolo Marco» tuona l’avvocato Francesco Miraglia, che segue la vicenda del piccino veronese, strappato ai genitori affidatari e rinchiuso da mesi in una comunità nonostante quella che è sempre stata la sua famiglia sia disposta ad adottarlo. Il Tribunale dei minori di Venezia vorrebbe invece farlo adottare da genitori diversi, che lui non ha mai visto in vita sua. «Abbiamo denunciato pubblicamente lo strano, inspiegabile comportamento del Tribunale dei minori di Venezia, già noto per provvedimenti controversi, dal forte e negativo impatto sui bambini» prosegue l’avvocato Miraglia, «segnalando che all’insaputa dei legali del piccolo e del suo tutore era stata convocata un’udienza “carbonara”, alla sola presenza dell’assistente sociale e del giudice onorario, per farlo adottare da estranei che, non si capisce perché, debbano essere migliori di quelli che il bambino chiama mamma e papà praticamente da sempre». Paradossalmente la vicenda si è ulteriormente ingarbugliata: mentre il Tribunale dei minori, con un ennesimo colpo di scena, blocca ogni visita della famiglia affidataria al piccolo in comunità, la Corte d’Appello chiede invece che questi incontri si intensifichino, anche perché il piccino comincia a manifestare palesi segni di grave sofferenza. «Se le istituzioni fossero intervenute mesi fa, quando abbiamo cominciato a denunciare a gran voce che tutto si stava facendo per questo piccino, tranne il suo bene» conclude l’avvocato Miraglia, «avremmo risparmiato a lui settimane di sofferenza e un corto circuito istituzionale da cui non si riesce ad uscire. Invochiamo pertanto l’intervento dei ministri alla Famiglia, Lorenzo Fontana, e Alfonso Bonafede della Giustizia, perché agiscano immediatamente nell’interesse di Marco. Dovesse accadere qualcosa a questo bambino, chi ne risponderebbe in questo marasma di provvedimenti non cristallini? Che partita si sta giocando sulla pelle di questo bambino?».
 

Obbligato a vedere il padre violento, pena il trasferimento in comunità

 
Incomprensibile provvedimento emanato dal Tribunale dei Minori di Bolzano
Il ragazzino sarebbe persino disposto ad allontanarsi da casa piuttosto che vedere suo padre
 
BOLZANO – 28 febbraio 2018. «Dopo tutto quello che mi ha fatto, non voglio più avere a che fare con lui»: è perentorio un ragazzino che abita a Bolzano, quando gli chiedono di rivedere il padre, separato da alcuni anni da sua madre. Il ragazzo è stato ripetutamente picchiato da questo padre violento ed ora che ha ritrovato un po’ di serenità con il nuovo compagno della mamma e la sorellina appena nata, è nuovamente vittima; questa volta però di un incomprensibile decisione del Tribunale dei Minori, che lo obbliga a tutti i costi a vedere il genitore. Il giudice è arrivato persino a minacciarlo: se si ostinerà a non voler vedere suo padre, sarà strappato dalla mamma e finirà in una comunità. «Il ragazzino piuttosto che vedere il padre accetterebbe pure di venire allontanato, ma a questo punto è lecito chiedersi: perché assumere una decisione tanto crudele contro un ragazzo che ha già sofferto tanto?» si interroga l’avvocato Francesco Miraglia, che sta seguendo il caso. «Dopo quello che mi ha fatto, dopo che mi ha picchiato più di una volta, reso un inferno tutto il tempo che passavo da lui, non ci voglio andare. Io vorrei soltanto vivere in pace con la mia famiglia». Queste sono le parole pronunciate solo pochi giorni fa da questo ragazzino alla psicologa del centro presso cui il giudice l’ha obbligato ad andare per sottoporsi all’ennesimo percorso, col fine di tentare di riavvicinarlo al padre. Questo nonostante un precedente percorso sia già stato compiuto senza tuttavia alcun esito positivo. «Perché allora continuare e sempre nello stesso centro» prosegue l’avvocato Miraglia «e soprattutto perché nel verbale dell’udienza dell’8 gennaio scorso lo stesso giudice sottolinea e rimarca che la madre non abbia pagato le fatture al centro del primo percorso di sostegno intrapreso? Ammesso che non si capisce come mai uno debba pagare il conto degli psicologi da cui è stato obbligato ad andare non certo per sua scelta e volontà, che c’entra l’insolvenza delle fatture con il recupero del ragazzino? Ma soprattutto vorrei una risposta: le minacce di venire trasportato in comunità se non si deciderà a vedere il padre (ovvero da una situazione orrenda a un’altra che lo è altrettanto), fanno forse parte del percorso terapeutico ed è stato questo autorizzato proprio dal giudice? Attendiamo che qualcuno ci illumini e faccia chiarezza in merito».
Incomprensibile resta il fatto che invece di propendere a far sottoporre il padre a un percorso psicologico per riavvicinarlo al figlio, si minaccia un ragazzino di finire in una comunità, lontano quindi dalla mamma e dalla sorellina, dal nucleo familiare rassicurante in cui vive ora, nonostante abbia ripetuto continuamente, allo sfinimento, a qualsivoglia dottore, psicologo, assistente sociale o autorità giudiziaria che lui, quel padre, non lo vuole vedere mai più.
 
 

Intervista all'avvocato Francesco Miraglia sul decreto di allontanamento del ragazzo dipendente da videogiochi

Il ragazzo rimane con sua madre’
Allontanamento firmato, ma l’avvocato «Per portarlo via devono arrestarlo»
CREMA – «O lo arrestano o se lo portano via attraverso la procedura del trattamento sanitario obbligatorio, altrimenti il ragazzo rimane qui, a casa con sua madre». L’avvocato Francesco Miraglia ne è certo. Il legale si occupa del ‘caso’ del ragazzino quindicenne che il tribunale dei minori vuole allontanare dalla madre in quanto dipendente dai videogiochi. Tanto che non riusciva nemmeno ad andare a scuola.
Il decreto di allontanamento è stato emesso il 28 dicembre scorso ed è stato notificato all’avvocato lunedì 5 febbraio 2018. «Chiediamo — prosegue l’avvocato — di sospendere il decreto. Si tratta dell’ennesimo provvedimento superficiale, che non tiene conto del fatto che il ragazzo non gioca più e va regolarmente a scuola»
 
 
https://t.co/F5mwCKQ8MW
(https://twitter.com/MiragliaInfo/status/960949467271843841?s=03

Case Famiglie: tutela o bussines?


Doveva essere un’occasione per approfondire una realtà dove troppo spesso dei bambini vengono strappati alle proprie famiglie per essere affidati a strutture educative che non sempre risultano adeguate al compito. E’ sembrato invece per gran parte un processo alla Comunità Educativa per minori “Don Giuseppe Barbizzi”. E, forse, non poteva essere altrimenti, date le premesse. Il convegno che si è tenuto ieri a Montalto su “Case Famiglia: tutela o business?” , ha infatti visto la partecipazione di Antonella Flati, presidente dell’Associazione Pronto Soccorso Famiglia, e dell’avvocato Francesco Miraglia, coloro che, attraverso un esposto alla Procura per presunte gravi irregolarità nella gestione delle strutture educative montaltesi e dopo la partecipazione ad un programma di Canale 5, avevano scatenato un vespaio di polemiche. In sala c’erano anche alcuni educatori della struttura, che fin da subito hanno contestato il tono accusatorio del convegno. In particolare, a scatenare le loro proteste è stato un documento letto dall’avvocato Miraglia, un decreto di allontanamento del Tribunale dei Minori di Ancona di appena due giorni fa che, rifacendosi ad una relazione della psicologa referente dei servizi sociali, sanciva l’allontanamento dalla struttura di una ragazzina di dodici anni perché, secondo la psicologa, determinati comportamenti della minorenne farebbero intravedere “il rischio di rimanere incinta” entro breve tempo. Una conclusione che gli educatori della struttura hanno bollato come “mostruosità”, minacciando azioni legali nei confronti della
psicologa. Al di là delle imputazioni mosse a chi gestisce e lavora in tali strutture educative (su quella montaltese sarà la Procura ad esprimersi), il quadro emerso è di un sistema che non funziona. Alcuni casi, illustrati dall’avvocato Rossella Monti, hanno evidenziato come troppo spesso le decisioni riguardanti casi di difficoltà familiari vengono gestiti con superficialità dagli organismi competenti, senza tenere conto delle possibili drammatiche conseguenze sui soggetti interessati. Per questo, l’onorevole Antonio Guidi ha lanciato un accorato appello: “Nella stragrande maggioranza dei casi i bambini non devono essere tolti alle famiglie. Dobbiamo tirare le orecchie al Tribunale dei minori, perché procedono con troppa facilità all’allontanamento di bambini dai loro genitori”.
Marco Ripani