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Aeci Verona 3 e Studio legale Miraglia insieme contro i soprusi

Nasce una collaborazione in difesa dei consumatori veneti e emiliani-romagnoli
Verona (10 agosto  2018). La sede veronese dell’Aeci, Associazione Europea Consumatori Indipendenti, ha avviato una collaborazione con lo studio legale Miraglia di Modena. Gli associati avranno quindi la possibilità di ottenere tutela legale in eventuali controversie che abbiano come soluzione una causa civilistica, oltre alle controversie e conflitti con gli enti gestori di servizi. «I nostri oltre mille associati avranno quindi l’opportunità di veder ascoltate e risolte anche problematiche che comportino conflittualità con altri cittadini» illustra Daniele Barbieri, presidente Aeci Verona 3 «oppure con i vicini, con i coniugi per la causa di separazione e per l’affidamento dei figli, con le banche, per risarcimenti danni e infortuni. Un servizio in più, che offriamo ai nostri associati per dirimere tutte le problematiche in cui possano incorrere nel corso della loro vita». L’Aeci è presente a Verona dal 2011 ed è un’associazione indipendente, che opera per tutelare, difendere e informare i consumatori.
Lo studio Miraglia ha sede a Modena, ma opera in tutta Italia: pur occupandosi principalmente di diritto penale, ama confrontarsi con qualunque situazione legale e con qualunque causa giudiziaria permetta di soddisfare l’innato senso di giustizia che caratterizza i legali che lo compongono. «Nel corso degli anni mi sono occupato spesso di diritti dei minori» spiega l’avvocato Francesco Miraglia, «seguendo casi difficili ed eclatanti, che hanno avuto risonanza mediatica in tutta Italia. Offriamo quindi la nostra esperienza e capacità anche agli associati Aeci che fossero coinvolti e vittime, loro malgrado, di situazioni di ingiustizia sociale».

Appassionate arringa: processo Aemilia

È anche l’ultimo giorno delle arringhe non sono mancate le controaccuse: «Se questa fosse stata un’indagine seria, gli oltre 100 imputati sono pochi. Dove sono gli amministratori che hanno permesso loro di lavorare? Che hanno fatto un gemellaggio con Cutro? Perché si sono sentiti in dovere di intitolare una strada a Cutro a Reggio? E i sindacati che hanno avuto a che fare con la ‘ndrangheta?». Interrogativi sollevati dall’avvocato modenese Francesco Miraglia. Nell’arringa in difesa degli imputati Luigi Silipo e del ravarinese Vincenzo Mancuso, il legale ha preso di mira anche i pentiti. In particolare «Giuseppe Giglio si è pentito dopo 13 mesi dagli arresti e una condanna a 18 anni», mentre Salvatore Muto lo ha fatto «dopo che i verbali di Antonio Valerio (terzo collaboratore di giustizia) erano già stati depositati».
Per Miraglia «in questo processo, se fosse di mafia, dovremmo parlare di droga, estorsione e armi». Invece si parla «solo di lavoro, di gente che comunque si alzava alle 5 di mattina per andare sul cantiere». Inoltre, «la ’ndrangheta e’ fatta di regole e subordinazione assoluta, mentre qui ognuno faceva il suo interesse alle spalle degli altri».
Silipo «è stato indagato solo perché fratello di Antonio Silipo, con cui

https://www.facebook.com/cgilreggioemilia/videos/2158097061071053/?hc_ref=ARSdOMlGg9wzVIGEe4shUQb6iXhtieDiCZ2szXvFqQeG-Wr4fKc3ehPFzhsUJqgL0Mk

Bari: coppia minacciata dai servizi sociali

Potranno riavere finalmente il loro bimbo
BARI (20 luglio 2018). Non è mai stato con la sua mamma e il suo papà, perché il Tribunale dei minorenni di Bari lo ha sottratto ai genitori quando aveva appena quindici giorni di vita. E’ vissuto in comunità e con una famiglia affidataria, ma adesso finalmente un bimbo di 4 anni potrà vivere con i suoi genitori. Questo nonostante la famiglia avesse avuto contro gli stessi Servizi sociali che dovevano invece sostenerla. Anzi, gli operatori sociali avevano persino intimato alla coppia di cambiare avvocato e di sceglierne uno di concerto con loro. Questo perché il legale, l’avvocato Francesco Miraglia, aveva denunciato alcune irregolarità e pregiudizi commessi da alcuni operatori sociali baresi nella gestione di questa vicenda. Altrimenti – avevano detto ai genitori – se non avessero cambiato avvocato, il giudice, che faceva quanto loro suggerivano, non avrebbe fatto più rivedere e riavere il loro piccino. Affermazioni gravissime. «Alla fine abbiamo ottenuto una perizia imparziale» commenta l’avvocato Miraglia, «che ha dimostrato come i genitori di questo bambino siano ormai in grado di prendersi cura di lui, con responsabilità e affetto. Sulla base di questa perizia il tribunale ha stabilito che il bambino possa finalmente abitare con i suoi genitori, che finora ha visto solo in maniera saltuaria. Certo, i genitori dovranno seguire un percorso, ma questo – ha stabilito sempre il tribunale – non dovrà essere invasivo o punitivo, ma di accompagnamento e sostegno. Nulla a che vedere con le vergognose minacce e intimidazioni ricevute dagli operatori sociali. Il tribunale dei minorenni di Bari ha operato sulla base di prove certe e valutazioni verificate, senza lasciarsi influenzare dalle opinioni e dagli umori di qualche operatore. E le prove hanno dimostrato senza alcun dubbio che i miei assistiti, questi due genitori, erano adatti ad occuparsi del loro figlio e hanno atteso fin troppi anni per poter essere una famiglia».
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Rimini: mamma disperata, cerca di salvare i figli: un primo passo

Ordinanza Tribunale di Rimi notificata in data 23 marzo 2018 ore 17.30

  • Anticipa l’udienza già fissata in data 16.05.2018 ore 13.00 alla data del 04.04.2018 ore 11.30 davanti al Giudice relatore
  • Incarica il Servizio Sociale, cui i minori sono affidati, di relazionare, entro la data dell’udienza sopra indicata, in ordine alle attuali condizioni di vita dei minori, con particolare riferimento ai fatti di cui all’istanza depositata.
  • Dispone la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica in sede per le determinazioni di competenza;
  • Manda alla Cancelleria per la comunicazione del presente decreto alle parti e al S.S. Territoriale.

16enne arrestato per furto comincia a fumare e spacciare da quando sta in comunità

I ragazzi ospiti delle comunità vengono davvero aiutati?
Sedicenne milanese arrestato per furto: ha iniziato a fumare e spacciare da quando sta in comunità

MILANO. Recentemente il fenomeno delle baby gang è tornato alla ribalta: i quartieri “bene” di Napoli da due mesi sono sotto assedio da parte di bande di adolescenti, che aggrediscono senza motivo i coetanei, derubandoli e accoltellandoli. Un’escalation di violenza.

Qualche giorno fa un’altra adolescente romana, appena diciottenne, Pamela Mastropietro, è stata uccisa e fatta a pezzi: il suo corpo è stato trovato dentro due valigie nelle campagne marchigiane. Prima di sparire era scappata dalla comunità di recupero in cui era entrata per l’ennesima volta per cercare di risolvere i suoi problemi. Alla famiglia sono rimasti il dolore e tante domande: perché si è allontanata dalla comunità e perché nessuno si sia accorto della sua fuga.
A Milano invece un sedicenne è stato arrestato alcuni giorni fa per spaccio di droga: era ospite anche lui di una comunità: sono anni che entra ed esce da queste strutture e prima di frequentarle non fumava né spacciava.
«Ma nel nostro Paese chi aiuta davvero gli adolescenti ?» si interroga il suo avvocato, Francesco Miraglia. Da anni il legale, esperto in Diritto minorile, si batte contro gli inutili allontanamenti di bambini e ragazzi dalle famiglie di origine qualora non vi siano gravi motivazioni. Si è trovato spesso a scontrarsi contro i Servizi sociali e le comunità di alloggio, non sempre di specchiata onorabilità e che sovente sembrano non avere a cuore e come priorità il benessere dei ragazzi.
«Il mio cliente ha solo sedici anni» prosegue l’avvocato Miraglia «e venerdì è stato sottoposto all’udienza di convalida dell’arresto. Ha ammesso l’errore, ma ha raccontato anche tutte le traversie subite negli anni. Lo conosco fin da piccolissimo, come conosco la sua famiglia, che si è affidata ai Servizi sociali e al Tribunale dei Minorenni per cercare di risolvere i problemi del ragazzo: è stato adottato da un’ottima famiglia, ma i traumi legati all’abbandono in tenerissima età gli hanno lasciato dentro dei segni profondissimi da cui scaturiscono i suoi disagi». Il ragazzo ha una storia di abbandono alle spalle, che lo ha profondamente segnato: aveva bisogno di aiuto e come soluzione ai suoi disagi, invece, si è proceduto ad allontanarlo dai genitori adottivi. Una situazione che lo ha fatto soffrire ancora di più, come dimostrano le ripetute fughe dalle comunità per tornare a casa. All’udienza ieri il giovane ha accettato di scontare la pena in una comunità di lavoro. «Ma ha anche avuto la possibilità finalmente di raccontare cosa ha passato in questi anni» continua il legale. «E’ stato costretto ad andare in tre comunità diverse: in una era l’unico ragazzino in mezzo a degli adulti, nell’altro era l’unico italiano, la terza era una comunità psichiatrica. In luoghi simili si è trovato costretto ad affrontare problemi ulteriori a quelli che aveva già: logico che scappasse. E adesso ha imboccato una strada sbagliata: tra l’altro è stato proprio in comunità che ha iniziato a fumare e a frequentare compagnie poco raccomandabili. Ma allora mi domando: davvero le comunità operano per il bene dei ragazzi che vengono loro affidati? Dove sono i progetti educativi e di recupero? Con questo ragazzino – che fortunatamente ha compreso di avere sbagliato – si rischiava di perdere un’occasione, di perdere un ragazzo e di ritrovarsi un delinquente. Siamo sicuri che siano solo le famiglie ad avere la responsabilità con i ragazzi “difficili” oppure anche le istituzioni? Dobbiamo interrogarci tutti e soprattutto gli enti che si occupano di minori: cosa si fa davvero per loro? Si fa abbastanza, si fa il meglio per questi adolescenti oppure vengono solo considerati un numero e un introito economico?».

Milano: malato psichiatrico costretto in prigione, soffre a tal punto da autolesionarsi

Nonostante la dichiarazione di inidoneità al carcere, la Regione Lombardia lo “scarica” e non cerca una struttura alternativa
 
MILANO. Cosa può esserci di peggio per un paziente psichiatrico conclamato che trovarsi costretto alla forzata convivenza con estranei, dietro le sbarre di una cella del carcere? Senza avere la capacità di comprendere il motivo della forzata detenzione, senza vedere la possibilità di uscire e di ritrovarsi in un ambiente familiare, la soluzione è quella estrema di lesionarsi per “evadere” a suo modo.
Accade a un uomo di 39 anni, attualmente detenuto alla Casa circondariale di San Vittore, a Milano: ci è finito alcuni mesi fa, a causa delle reiterate liti con un vicino, determinate dal suo conclamato e certificato stato psichiatrico patologico. Dopo la condanna venne ricoverato e si scagliò contro un medico, per cui dagli arresti domiciliati passò diretto in carcere. Dove, è assodato ormai dalle istituzioni, non può stare, per il benessere suo e di chi gli sta intorno. Ma dove andare? Qui inizia un balletto di responsabilità senza soluzioni concrete, dove sia la richiesta della Procura generale che le ingiunzioni della Corte di Appello di Milano vengono disattese e nessuno provvede a trovargli una sistemazione alternativa idonea. E lui continua a soffrire in carcere.
In seguito all’istanza di poter usufruire degli arresti domiciliari, letta la relazione psichiatrica del San Vittore, il Procuratore generale ne ha richiesto il ricovero in una struttura dei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura, mentre come atto d’urgenza la Corte di Appello di Milano ha chiesto intanto di trovargli ospitalità temporanea in un ospedale lombardo e al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria di individuare quanto prima una struttura idonea ad ospitarlo. E’ chiaro a tutti che è un paziente psichiatrico, incompatibile con la vita carceraria.
 
 
«Peccato, però, che la Direzione medica dell’Unità operativa di Sanità penitenziaria della Regione Lombardia abbia risposto “picche” ad entrambe le disposizioni» dichiara l’avvocato Francesco Miraglia, che lo assiste «in quanto, a suo dire, il mio assistito risulta “ben monitorato ed adeguatamente assistito presso il Servizio Assistenza Intensificata del Centro di osservazione neuropsichiatrica del carcere di San Vittore. Pertanto l’Ufficio detenuti della Regione non ha ritenuto di adottare alcun provvedimento e lui si trova tutt’ora in carcere. Questo nonostante la Direzione psichiatrica della casa circondariale ritenga il suo quadro psicopatologico incompatibile con il regime detentivo e nonostante l’ordinanza della Corte di appello di Milano, che invitava un ospedale lombardo ad accoglierlo ai domiciliari».
La risposta dell’ospedale è sconcertante: non ha posti a sufficienza. «Ora, ammesso che davvero questa struttura sia priva di posti per ospitarlo» prosegue l’avvocato Miraglia «e che, come invece ritengo, non gravino dei forti pregiudizi nei confronti del mio assistito che conoscono ben per precedenti ricoveri, mi domando come sia possibile che nell’intera Lombardia non ci sia un’altra struttura idonea in grado di accoglierlo. Né i familiari e nemmeno il Difensore regionale garante dei detenuti, che si è speso per trovare una soluzione, non sono stati in grado di trovare un posto adeguato in cui possa scontare il residuo di pena che gli manca. E’ lecito quindi chiedersi ancora: ma i politici che si stracciano le vesti e che scioperano per le condizioni delle carceri italiane, dove sono? E quelli che inneggiano al modello perfetto del sistema sanitario lombardo, perché non intervengono?  E quelli che promettono di migliorare il welfare, perché tacciono? Facile riempirsi la bocca di slogan e di promesse elettorali, ma la realtà è che

Vi prego, salvate mia figlia e mia nipote!»

Disperato l’appello di una giovanissima nonna di Pisa: la figlia si trova in balia di uno spacciatore che la imbottisce di droga, mentre la nipotina, che lei adora, le è stata strappata dal Tribunale dei Minori con la scusa di dare un taglio a questa famiglia considerata “sbagliata”, ma che è soltanto vittima di violenze inaudite
 
La storia di Maria (nome di fantasia) non è facile e non lo è mai stata, tutt’altro. Ha dovuto fin da giovanissima convivere con la violenza di un orco, che prima si è approfittato della sua giovanissima età e poi anche della loro figlioletta. Una ragazzina che ha reagito alla violenza e al trauma psicologico in maniera autodistruttiva, sprofondando in una spirale di degrado in cui l’hanno coinvolta uomini sbagliati, più grandi lei, criminali farabutti che l’hanno fatta uno prostituire in un night club, mentre l’altro l’ha trasformata in una tossicodipendente. L’unica gioia era la sua bimba, nata da queste relazioni sbagliate, che aveva sempre vissuto con la nonna materna, con la quale ha instaurato uno splendido legame.
«Il Tribunale dei minori però mi ha portato via la bimba» prosegue Maria «e adesso sono in attesa che si esprima sulla sua adottabilità. Pur ammettendo che mi prendo cura della piccolina e avendo costatato che lei sta bene e mi adora, la scusa con cui me la vogliono portare via qual è? Spezzare la catena familiare, perché siamo sbagliate. Invece di aiutarci, me la portano via».
A prendersi cura della piccina è sempre stata la nonna: la madre della bimba in questo momento vive segregata dal nuovo compagno, che le impedisce di avere contatti con la madre e la tiene soggiogata con la droga. Un legame distruttivo, che venti giorni fa ha portato la ragazza, appena diciottenne, in ospedale in overdose da metadone, che lui l’avrebbe costretta ad assumere.
«Mi sono quindi recata dai carabinieri a presentare un esposto» continua Maria nel suo drammatico racconto, «perché quello va a finire che me l’ammazza. Lo conoscono anche i carabinieri che è uno spacciatore e ho chiesto allora che intervengano a salvarla. La risposta? Mia figlia è maggiorenne ed è lei che deve denunciarlo. Loro si limiteranno a presentare l’esposto in Procura, che poi deciderà se e come intervenire. Io intanto che faccio? Vivo nell’angoscia che mi chiamino dall’obitorio per andare a riconoscere il cadavere di mia figlia?».
La donna si è rivolta anche all’avvocato Francesco Miraglia.
«Trovo inaudito e ai limiti della condotta nazista togliere la bambina alla nonna per questi motivi» dichiara il legale. «Sa quasi di atto di epurazione. E’ giusto salvaguardare la piccola, ma con interventi nella sua famiglia di origine, non certo strappandola alla sua vita e all’affetto della nonna. Ma soprattutto, a pochi giorni dalla Giornata contro la violenza sulle donne, in cui si è dibattuto tanto e si sono riempiti giornali e talk show di tante belle parole, per una volta che una madre denuncia l’aguzzino della figlia, che la sta mettendo chiaramente  in pericolo di vita, perché non si interviene? A che servono allora quelle belle parole, se poi restano limitate alle giornate di commemorazione? Chiunque debba intervenire, lo faccia al più presto. O temo che altrimenti dovremo aggiungere un altro nome all’elenco già lunghissimo delle vittime di femminicidio in questo triste 2017».
 

"Presidente Boldrini, rivoglio i miei figli"

Madre di Pordenone, vittima di un marito violento, si vede portare via i figli
 
PORDENONE. Che Stato di giustizia è quello in cui una donna, vittima di indicibili violenze da parte di un marito che non ha esitato a picchiarla a tal punto da romperle un timpano e la mandibola, si veda pure togliere i figli da un giudice che ravvisa nella vicenda una “conflittualità” tra la coppia? Si parla tanto di femminicidi, di violenza domestica in cui le vittime sono le donne: ma quando alcune di loro trovano la forza e il coraggio di denunciare gli abusi, si ritrovano a dover lottare contro le istituzioni, che le privano dei figli. Doppiamente vittime, quando mai riusciranno a rasserenarsi e a vivere la vita felice che meriterebbero? Ecco perché una di loro ha preso carta e penna e ha scritto direttamente alla presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, invocando un suo intervento, come rappresentante dello Stato in primis, ma anche come donna.
«A questo punto le donne perché dovrebbero continuare a denunciare i loro aguzzini» dichiara l’avocato Francesco Miraglia, cui la signora si è rivolta, disperata, per avere tutela legale, «se poi trovano giudici come Gaetano Appierto, che a questa madre, che porta addosso i segni della violenza di un marito già condannato, in virtù della “conflittualità” insorta con il coniuge, allontana i figli da lei e li confina in una casa famiglia, da cui non è dato sapere se e quando usciranno mai, né quando potrà rivederli».
Lo stesso magistrato si è reso protagonista di fatti alquanto discussi: a marzo, mentre discuteva di una causa di separazione, avendo disposto che la figlia della coppia dovesse frequentare la scuola scelta dal padre, la madre angosciata si è allontanata e si è tagliata i polsi in bagno. Mentre a settembre ha deliberato in favore di una ventiseienne, da anni fuori corso all’università, che pretendeva la “paghetta” di mantenimento da parte del padre.
«Si parla tanto di tutela delle donne» prosegue l’avvocato Miraglia, «ma tutto si traduce in mere chiacchiere, venendosi purtroppo ad innescare un circuito vizioso in cui alla denuncia contro un partner violento si applica il concetto di conflittualità in famiglia, cui consegue l’allontanamento dei figli da casa. Potrei raccontarne a decine di casi simili. E’ necessario un cambio di tendenza, un’inversione di rotta e che le istituzioni preposte diano un segnale e vigilino su casi come questi, che si profilano come abusi».
 
Di seguito la lettera scritta dalla madre di Pordenone alla Presidente della Camera.
 
 
«Gentile Presidente Laura Boldrini,
sento il bisogno di rivolgermi direttamente a Lei in quanto spesso si è presentata come paladina dei diritti fondamentali delle persone ma soprattutto dei diritti della donna di essere rispettata nella dignità di donna e di madre.
Mi dispiace che spesso e volentieri quando si parla di violenza sulla donna si predichi bene e si razzoli male.
Si preparano convegni, cerimonie, si consegnano premi e riconoscimenti, ma ogni giorno donne come me sono costrette a subire violenze, maltrattamenti e angherie dai propri compagni e per quanto mi riguarda da mio marito.
Devo constatare, purtroppo, che la più grande violenza che ho subito è proprio da quelle istituzioni preposte a far valere i propri diritti, fare giustizia ed a dare dignità.
Sono una dirigente sposata con un imprenditore, madre di due bambini di 11 e 2 anni.
Da più di tre anni subisco violenze fatte da schiaffi, pugni, calci, timpano rotto e mandibola fratturata e soprattutto violenza psicologica e stalking.
Lo stesso destino, purtroppo, è stato riservato da mio marito anche ai due nostri figli.
Ho cercato di poter difendere me stessa e difendere i miei figli prima personalmente e poi denunciando alle forze dell’ordine prima, alla Procura della Repubblica dopo, ma ancora una volta, come accade sempre più spesso nel nostro paese le istituzioni sono forti con i deboli e deboli con i forti.
Mi sono rivolta al Giudice dott. Appierto del Tribunale di Pordenone per essere tutelata e il risultato è stato che non sono state prese in considerazione né le mie denunce fatte, né la condanna subita da mio marito.
 In altre parole, lo stesso Giudice, ha giustificato le botte di mio marito come se fosse normale che un marito possa mandare in ospedale la propria moglie.
Ancora più grave è che quel Giudice ha disposto anche l’allontanamento da me dei miei bambini che da due giorni si trovano in una Comunità e che ad oggi non so quando potrò vederli e abbracciarli.
Io sicuramente arriverò a farmene una ragione di questo stato, ma quando un giorno i miei figli mi chiederanno spiegazioni sul perché sono stati allontanati dalla propria casa e dalla propria mamma, cosa gli risponderò?
Chiedo a Lei Presidentessa, sempre in prima linea, di essere aiutata nel rispondere ai miei figli.
Con osservanza» 

Anna Giulia adottata: il suo calvario inizia ora

L’avvocato Miraglia: “I genitori li ha, è il Tribunale dei Minori di Bologna che l’ha resa orfana”
 
REGGIO EMILIA. «Non c’è da cantare vittoria, non c’è nulla da festeggiare: l’adottabilità di Anna Giulia Camparini è la sconfitta per la giustizia». L’avvocato Francesco Miraglia interviene sulla vicenda legata alla piccola di Reggio Emilia, ormai quasi dodicenne, da dieci anni allontanata dai genitori per una serie di errori e sentenze emesse non certamente per garantire il benessere della piccola. Il legale si è sempre battuto a fianco dei genitori per riportare Anna Giulia a casa propria, tra le loro braccia. «La sentenza di adottabilità ha soltanto una valenza politica» sostiene Miraglia, «emessa dal Tribunale dei Minori di Bologna solo per salvare se stesso e la propria faccia, in un caso in cui chiaramente si è fatto gli interessi di tutti tranne quelli di Anna Giulia». La piccola era stata allontanata da casa dopo una perquisizione, dall’esito tra l’altro negativo, alla ricerca di droga a casa dei genitori. Dopo un primo allontanamento, i Servizi sociali non riscontrarono motivi ostativi al suo rientro a casa, e la Procura della Repubblica era ugualmente  d’accordo. Ma Anna Giulia a casa da  mamma Gilda e papà Massimiliano non è tornata più. Collocata in un istituto prima, presso una famiglia affidataria poi. Tanto che i genitori, disperati, arrivarono a rapirla in ben due occasioni e conobbero il carcere pur di averla con sé. «Dichiarando adottabile Anna Giulia» prosegue l’avvocato Miraglia «il Tribunale dei Minori di Bologna ha voluto salvare solo se sesso, non potendo ammettere di aver commesso un clamoroso errore giudiziario, che ha suscitato grande clamore, anche mediatico. Senza minimamente  pensare al benessere della ragazzina, che adesso ormai è adolescente e come tutti i giovani che sono stati adottati sicuramente se non oggi, tra qualche anno, si porrà delle domande sulla sua famiglia di origine, cercherà in internet e scoprirà cosa hanno fatto i genitori per lei, arrivando pure ad assaggiare il carcere pur di riabbracciarla, ascoltando il suo grido di dolore: fu la piccola, ricordiamolo bene, a chiedere ai genitori di tornare a casa. Con loro stava bene, erano la sua mamma e il suo papà. Con loro era felice. Perché dunque strappargliela? Il lavoro del tribunale non fu certo egregio, il presidente poco dopo venne allontanato e mai si fece chiarezza sul sistema degli allontanamenti e dei successivi affidamenti familiari che avvenivano a quel tempo. Per una volta che Procura della Repubblica e Servizi sociali erano d’accordo e in linea con la famiglia e chiedevano quindi il reintegro della piccola, non si è voluto ascoltarli e si è andati dritti per una strada completamente errata. No, il calvario di Anna Giulia non finisce con la sua adozione, semmai comincia proprio ora  e quando scoprirà che è stata una pedina in un intreccio di interessi che nulla hanno a che vedere con il benessere suo e degli altri bambini,  a chi andrà a chiedere conto se non al tribunale che l’ha resa orfana, pur avendo lei due genitori amorevoli?».

Dodicenne sottrae il telefono alla madre e scrive ai fratelli maggiori«non ce la faccio più. Voglio stare con voi»

Ma il Tribunale di minori di Cagliari insiste «Sta bene nella nuova famiglia»
La sorella, quando viveva nel medesimo ambiente familiare, si tagliuzzava la pelle dalla disperazione
CAGLIARI. «Mi mancate troppo. Non ce la faccio più. Non vedo l’ora di avere 18 anni per venire da voi». Ma li compirà tra sei, lunghissimi, interminabili anni, durante i quali sarà costretto a vivere con una famiglia estranea. Ha dovuto prendere di soppiatto il telefonino della madre affidataria per scrivere alla sorella maggiore questi messaggi. Sms che denotano uno stato di disagio, che però non viene ascoltato da nessuno e così lui, un dodicenne originario della Sardegna, spedito dal Tribunale dei minori di Cagliari fino in Emilia Romagna, resta suo malgrado in una casa non sua, con una famiglia non sua, strappato all’affetto dei fratelli maggiori, che vorrebbero poterlo tenere con sé. Il tribunale lo lascia in quella casa perché così avrebbe deciso lui. Ma per sua stessa ammissione, in uno scambio di messaggi con la sorella maggiore, rivela invece «Ho detto che stavo bene con quella famiglia perché sennò mi mettevano in una comunità diversa da quella di nostra sorella». Messaggi di cui il tribunale è pienamente al corrente, essendo stati prodotti all’udienza svoltasi lo scorso 23 marzo. Quanto dovrà soffrire ancora questo ragazzino prima di poter essere felice con chi ama e con chi lo ama? Il suo grido di dolore è rimato finora inascoltato, tanto quanto quelli della sorella di un anno più grande, la quale, l’anno scorso, aveva riferito maltrattamenti subiti nella famiglia affidataria (la medesima del fratellino appunto): invece di indagare a fondo sul suo malessere, quasi fosse una punizione i Servizi sociali l’hanno tolta alla famiglia e l’hanno spedita da sola in una casa famiglia. Dove hanno scoperto che nel corso dei mesi precedenti era arrivata al punto di provocarsi delle ferite autolesioniste a causa della repressione dello stato di malessere e disperazione in cui viveva. Malessere che adesso vive anche il fratellino minore, sofferente per la mancanza dei fratelli da cui è stato allontanato.
La sorella maggiore sta cercando di riavere con sé i due fratelli più piccoli: lavora ed è inserita in un contesto positivo, che le consentirebbe di accudirli amorevolmente e di provvedere alle loro necessità senza problemi. Ma non glieli danno, anzi, addirittura il tribunale sostiene che il maschietto sarebbe già stato adottato.
«Non ci dicono però quando sarebbe avvenuto» rivela l’avvocato Francesco Miraglia, cui la ragazza si è rivolta, nel disperato tentativo di avere i due più piccoli con sé, togliendone una a una comunità e l’altro alla famiglia che l’avrebbe appunto adottato a sua insaputa. «Nei documenti in nostro possesso risulta solo in affidamento e non è ancora trascorso l’anno di abbinamento minore/famiglia, che precede l’emissione del decreto di adozione vera e propria, nel corso del quale è possibile in qualunque momento revocare l’adottabilità di un bambino. Mi domando che comportamento stiano tenendo i giudici e perché non si prendano la briga di ascoltare direttamente questi due ragazzini, riportandoli come prima cosa in Sardegna, dove sarebbero dovuto sempre rimanere. E soprattutto che sta facendo la Procura, che per legge è obbligata a prendersi “cura” dei diritti e della tutela di questi due ragazzini? A mio avviso si configura come l’ennesimo caso in cui tutto si fa tranne che l’interesse dei minori. Se non otterremo giustizia, se le voci di questi ragazzini rimarranno ancora inascoltate, non ci resterà che rivolgerci al ministero chiedendo che invii degli ispettori a verificare la correttezza dell’operato del tribunale dei minori di Cagliari».