La mamma ha cercato di convincerlo ma lui è stato irremovibile. Ora la questione torna al Tribunale di Brescia.
Bergamo (6 marzo 2024). Oggi Massimo (nome di fantasia) rischiava di essere collocato in una comunità, lontano dalla sua famiglia e dai suoi amici e conoscenti; probabilmente, infatti, gli avrebbero anche cambiato scuola. Una decisione che Massimo non capiva e riteneva profondamente sbagliata.
Sebbene non comprendesse il provvedimento – dato che suo figlio era migliorato moltissimo, come confermato dalla relazione redatta dall’Istituto scolastico che frequenta – la mamma ha comunque cercato invano di convincerlo.
A quel punto, ha chiamato l’assistente sociale che ha parlato più volte con Massimo. Infine, l’assistente e una collega sono venute a casa e hanno avuto un colloquio riservato con lui, da sole, senza nessuna interferenza della mamma o della famiglia. Dopo aver constatato che Massimo si era informato leggendo le convenzioni internazionali sui diritti dei fanciulli, la Costituzione, le leggi italiane e le ultime sentenze della Corte di cassazione hanno probabilmente capito che la sua scelta era frutto di una decisione matura e meditata e lo hanno lasciato a casa.
Ora ci auguriamo che il Tribunale faccia chiarezza.
Secondo l’avvocato Miraglia, legale della mamma: “In qualità di avvocato di fiducia della famiglia di Massimo, intendo esprimere profondo disappunto e preoccupazione per le modalità con cui sono state gestite le questioni relative al collocamento coatto di Massimo.
Siamo particolarmente allarmati dalle modalità di interazione tra l’assistente sociale e Massimo, incluse le minacce inappropriatamente rivolte al ragazzo, riportate dallo stesso, e le implicazioni negative paventate nei confronti della genitorialità della madre. Tali azioni, insieme alla denigrazione subita dalla madre in presenza di altri operatori, non solo sono eticamente discutibili ma potrebbero configurare violazioni deontologiche e legali.
Riteniamo che la situazione meriti una revisione critica e approfondita da parte dell’autorità giudiziaria competente.”
In merito alla vicenda ci sono infatti alcuni aspetti questionabili che sollevano dei dubbi di incompetenza (o peggio?) che a nostro avviso meriterebbero di essere presi seriamente in considerazione.
In primis, come mai nonostante i grandi miglioramenti ottenuti da Massimo, i Servizi sociali hanno optato comunque per una decisione tanto grave come la sottrazione forzata dalla famiglia e l’istituzionalizzazione in comunità? Inoltre, ci risulta che l’assistente sociale che si occupa della famiglia sia una ragazzina senza esperienza; forse in un caso del genere sarebbe stato preferibile un professionista più esperto.
Ma non è tutto. La famiglia ha riferito dei fatti molto gravi.
Quando l’assistente sociale ha saputo che Massimo non voleva andare in comunità lo ha minacciato di chiamare i Carabinieri. Poi, avrebbe anche detto al ragazzo che se non andava in comunità la mamma avrebbe potuto avere delle ripercussioni e le avrebbero potuto sospendere la genitorialità. Quando Massimo le ha chiesto perché lo stesse minacciando, l’assistente non ha saputo replicare.
Un altro fatto gravissimo è stata la denigrazione della mamma da parte dell’assistente sociale in presenza della collega che non è intervenuta per correggerla. Mentre le due operatrici parlavano da sole con Massimo, l’assistente sociale ha affermato che doveva andare in comunità per “colpa” della mamma.
Ci auguriamo che Massimo possa trovare la giustizia e la serenità che merita.
FamiglieUnite.it
L’avvocato Miraglia: «Ma il tribunale con quali criteri gestisce gli affidi?»
BERGAMO (10 dicembre 2019). E’ stato condannato a un anno e quattro mesi di reclusione l’uomo di Bergamo al quale il tribunale aveva affidato il figlioletto, nonostante il piccino fosse terrorizzato dai sui sfoghi violenti e la madre, considerata “psichiatrica”, sia invece del tutto sana. Il tribunale di Bergamo lunedì ha condannato l’uomo per maltrattamenti in famiglia, comprovati da testimonianze e da prove schiaccianti. In numerose occasioni, anche davanti al bambino, aveva inveito violentemente contro la donna, invitandola persino ad ammazzarsi lanciandosi dal balcone, sbattendo con i pugni contro porte e muri, infrangendo gli oggetti in casa. Eppure, nonostante già si sapesse che le accuse erano queste, nella causa di separazione tra i genitori il tribunale ha affidato il piccolo al padre, lasciandolo a lui anche dopo un gravissimo episodio avvenuto esattamente un anno fa: le urla strazianti del piccolo che chiedeva di smettere e le grida minacciose del padre erano state segnalate dai vicini alle forze dell’ordine. Quanto alla madre, per le assistenti sociali non sarebbe adeguata al ruolo di genitore e per il tecnico che ha svolto la perizia per il tribunale sarebbe addirittura affetta dalla Sindrome di Münchhausen per Procura, una patologia che rappresenterebbe una forma di maltrattamento per il figlio in quanto, allo scopo di attirare l’attenzione su di sé e godere del supporto dei medici, sarebbe portata simulare o esagerare i sintomi di una malattia fisica o psicologica nel figlio che, ad un esame accurato, appare inesistente. Diagnosi smentita da successive perizie.
E per di più, il bambino continua ad avere problemi di salute, segno che la madre non è “malata”, ma solo un genitore attento e preoccupato della salute del proprio bambino.
«Ma il tribunale a Bergamo con quali criteri gestisce gli affidi?» dichiara l’avvocato Francesco Miraglia, che tutela la mamma del piccolo. «Affida un bambino a un padre violento, mentre la madre può vederlo solo una volta alla settimana per un’ora, nel corso di incontri protetti. In questo caso se l’assistente sociale ha gestito e stabilito tutto e il consulente tecnico ha emanato già da solo e in anticipo la sentenza, il tribunale che ci sta a fare? Alla luce della condanna del padre, temiamo per l’incolumità del bambino e chiediamo di rivedere il procedimento di affidamento e di disporre l’immediato collocamento del minore presso la madre».
Il tribunale lo ha affidato al genitore violento, nonostante un procedimento per maltrattamento verso l’ex moglie
Agghiaccianti le urla e le suppliche del piccino che invoca il padre di smettere, registrate dai vicini di casa
BERGAMO (14 dicembre 2018). «Papà basta, papà smettila» urla un piccino di quattro anni, tra singhiozzi disperati e rumori di sedie che si spostano. Ecco cosa è costretto a subire un bambino così piccolo e indifeso, figlio di genitori separati, che il tribunale ha affidato al padre, nonostante su di lui penda un procedimento penale per violenza domestica e maltrattamenti verso la madre. La quale non è potuta intervenire in auto del figlio, sebbene avvertita dai vicini di casa, perché sempre il tribunale le ha vietato di avvicinarsi al bimbo, se non un’ora sola a settimana in un ambiente protetto, in presenza delle assistenti sociali. Mercoledì sera il piccino era lì in casa, con il padre orco e i vicini che impotenti sentivano le sue urla strazianti. Nemmeno due telefonate al 112 lo hanno sottratto alla furia paterna: alla porta di quel padre violento non si è presentato nessuno. La madre ha sporto immediatamente querela presso la questura di Bergamo e ha presentato un esposto alla Procura della Repubblica. «Chiederemo una nuova perizia e che il tribunale riveda le sue decisioni e affidi il bambino alla madre» annuncia l’avvocato della donna, Francesco Miraglia. «Incredibile poi la motivazione che ha spinto i Servizi sociali e il tribunale a togliere il bambino a sua madre: secondo la perizia tecnica del tribunale, la donna soffrirebbe della Sindrome di Münchhausen, per cui inventerebbe traumi psicologici e malattie per attirare l’attenzione. Quadro smentito dai Servizi psichiatrici che l’hanno successivamente vista e valutata, secondo i quali la signora è perfettamente sana, certo provata dallo stress che questa situazione le causa». Ancora più incredibile è l’aver affidato il bambino al papà, indagato appunto per maltrattamenti e violenza verso l’ex moglie. Sono stati almeno due i casi in cui anche il piccino, la scorsa primavera, aveva raccontato di essere stato picchiato dal padre (una volta presentava addirittura vistosissimi lividi). Ma non gli hanno creduto: troppo piccolo, non sa cosa dice, si inventa tutto.
«Per fortuna c’è la registrazione dei vicini di casa, che lo hanno sentito urlare disperato e angosciato: urla che spezzano il cuore» prosegue l’avvocato Miraglia. «Ci auguriamo che alla luce di queste prove qualcuno intervenga con celerità a porre fine al calvario che sta vivendo questo bambino e che gli sarebbe stato risparmiato se non fosse stato per quella perizia, campata per aria, di cui nessuno finora ha voluto presentarci gli elementi sulla base dei quali è stata emessa».