Modena, lì 15 Dicembre 2023
Egregio Sig.
Presidente del Consiglio
Onorevole Giorgia Meloni
Sua sede
p.c. Preg.mo Sig.
Direttore
Sua sede
LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO ONOREVOLE GIORGIA MELONI.
Signor Presidente del Consiglio,
le cronache di questi giorni ci hanno raccontato di fatti gravissimi che purtroppo, ancora una volta, hanno visto il triste coinvolgimento delle donne in quanto tali.
Tanti, anzi, tantissimi, sono stati gli interventi pubblici ad opera di politici, giornalisti e cittadini, fino a potersi delineare una sorta di smania a chi avrebbe detto di più.
Ad onor del vero, in tema, tanto si è fatto – basti pensare alle ultime modifiche apportate al Codice Rosso – ma ancora molto resta da fare.
Mi rivolgo a Lei, personalmente, perché un detto mi ha accompagnato fino ad ora e spero mi accompagnerà ancora per molti anni: “non bisogna predicare bene e razzolare male”, e a tal proposito sono a riportarLe la circostanza per cui una settimana fa, veniva pubblicato un articolo dal titolo “Sorpreso a fare sesso con la Prof. in carcere. Accusato di aver organizzato due pestaggi” su un noto quotidiano del territorio padovano.
In altre parole, il quotidiano in questione, al fine di dare la notizia del pestaggio, faceva riferimento ad una vicenda riguardante una Professoressa che ad oggi rimane ancora tutta da chiarire. L’articolo in questione, inoltre, non solo faceva riferimento ad un rapporto sessuale mai avvenuto, ma ancor più gravemente, riportava il nome ed il cognome della Professoressa suo malgrado coinvolta nella vicenda.
La medesima notizia è stata poi riportata dal Fatto Quotidiano, il quale – mi preme sottolineare per onestà – ha avuto la decenza di non fare esplicito riferimento alla ragazza quasi trentenne coinvolta, pur facendo esplicito riferimento ad una vicenda “connotata da tratti scabrosi”. A tal proposito, preme evidenziare, in primo luogo, che la mia Assistita non è ad oggi destinataria di alcuna condanna in relazione a qualsivoglia accadimento; in ogni caso, preme altresì evidenziare la necessità di muoversi alla luce del sacrosanto principio in forza del quale ogni persona è da ritenersi innocente fino a prova contraria.
Non rientra tra le intenzioni dello scrivente addentrarsi nel merito della vicenda processuale riguardante la mia Assistita, vicenda che sarà oggetto di argomentazione in altre e più opportune sedi, tuttavia, ciò che preme sottolineare è la circostanza per cui ad oggi, nessuno fra i più illustri politici, giornalisti o qualsivoglia altra figura, ha manifestato aperta indignazione dinanzi al tentativo di dare risalto ad un fatto di cronaca mediante il coinvolgimento di una ragazza, riportando il suo nome e cognome.
Colgo l’occasione al fine di esprimere una mia umile e personale opinione: anche dinanzi ad una morte psicologica della persona può parlarsi di femminicidio, e questo perché essere vittima di un omicidio e perdere la vita è un fatto connotato da una gravità eccezionale, ma essere costretti ad una condizione per cui si è impossibilitati ad allontanarsi dalla propria dimora, o ancora, di essere oggetto di scherno e derisione da parte di soggetti sconosciuti, rappresenta una circostanza grave.
Mi sarebbe piaciuto, non certo come professionista, ma in quanto cittadino di questo Paese, sapere che qualcuno fosse intervenuto in maniera aperta e pubblica al fine di richiamare l’attenzione in relazione a determinati comportamenti. A tal proposito, sento di poter pacificamente affermare che è proprio vero che il vero scandalo è che nulla ormai fa scandalo.
Gentile Presidente, ho sentito il forte bisogno di rivolgermi a Lei in maniera diretta e pubblica, non certo al fine di ottenere un “eventuale procedimento favorevole”, ma perché mosso dal desiderio di poter assistere ad un pronto e tempestivo intervento da parte Sua, mosso dall’ancora più grande desiderio di una Sua presa di posizione ove il rispetto dell’individuo è garantito in ogni momento, e a tal proposito, sono a chiederLe: se il protagonista di questa vicenda fosse stato un uomo, sarebbe stata pubblicata una notizia dal medesimo tenore?
L’auspicio dello scrivente è che il Ministro Roccella – a cui esprimo i miei più sinceri e modesti complimenti per il lavoro compiuto ai fini della Riforma del Codice Rosso – nel contesto di prossimi lavori di modifica, possa prevedere una pena esemplare da riservare a chi, al fine di vendere il maggior numero possibile di copie di un giornale, monetizzi sulla pelle di una donna, o come in questo caso, di una giovane ragazza, in sfregio a qualsivoglia rispetto per la persona in quanto singolo individuo, o della sua sofferenza.
Come previamente riportato, l’articolo pubblicato sul quotidiano padovano è stato ripreso e pubblicato anche da altre note testate giornalistiche, tra cui appunto, il Fatto Quotidiano, fornendo di fatto un giudizio non richiesto sulle persone protagoniste della vicenda, e dunque, anche sulla Professoressa.
Dalla data in cui l’articolo è stato pubblicato e poi tristemente riportato in più occasioni e in diversi quotidiani, la mia Assistita è costretta ad una vita connotata da uno stato di grande stress fisico e psicologico, senza considerare che la stessa, quale diretta conseguenza della pubblicazione dell’articolo sopramenzionato, non abbandona più la sua dimora per la gogna mediatica a cui è sottoposta; gogna mediatica la quale rischia di sortire i medesimi effetti di una violenza di genere, quale il femminicidio. Infatti, si discute tanto ed in profondità, al fine di delineare un sistema utile a porre fine ai fenomeni di violenza ai danni delle donne, un sistema che possa porsi a salvaguardia del rispetto nei confronti delle donne, le quali – come dimostrato nella vicenda in esame – possono perire per mano di un’offesa sferrata sul piano morale, psicologico, sociale.
Certo del fatto che quando questa comunicazione perverrà alla Sua attenzione, saprà esprimere al meglio la Sua vicinanza come persona, ma soprattutto come donna, alla mia Assistita, sono a chiudere questa lettera evidenziando come i veri cambiamenti avvengano a seguito di nuove leggi, nuove norme, ma soprattutto, i veri cambiamenti sono figli di sforzi culturali, sforzi governati da sentimenti di vicinanza e da forti e decise prese di posizione.
È proprio da tale presa di posizione che scaturisce l’obiettivo principale da tenere bene a mente: il rispetto reciproco, ad ogni livello, che sia destinato ad un uomo o ad una donna, indifferentemente.
In attesa di un Suo riscontro, cordiali saluti.
Sempre più spesso i cittadini non sano come difendersi adeguatamente dai soprusi e dalle ingiustizie di cui sono vittime, per questo motivo ci teniamo a dare notizia di questa nuova realtà a tutela dei cittadini, riportando qui il comunicato stampa del Sindacato Europeo dei Lavoratori e dello Studio Miraglia Associato : “Disgustati e con un forte senso di rivalsa, abbiamo deciso di creare un connubio collaborativo vincente, volto a combattere e svelare ogni tipo d’ingiustizia, per portare alla luce la verità, di ogni caso che ci viene sottoposto.”
E’ da questa necessità che nasce la collaborazione tra il Sindacato Europeo dei Lavoratori, e lo Studio Legale Miraglia Associato.
Un’unione che garantirà consulenze giuridiche interdisciplinari di alto livello, in grado di affrontare, in un’ottica integrata e strategica, qualsiasi controversia in ambito giudiziale.
“Noi non vogliamo restare a guardare, o semplicemente leggere i casi di cronaca che imperversano le notizie del nostro paese, ma vogliamo adoperarci per difendere i più deboli, e tutelarli, con professionalità, onestà, e competenza”.
“Vogliamo aiutare quante più persone possibili, metterle in condizioni di permettersi una difesa adeguata, perché crediamo in quello che facciamo, e lo vogliamo fare egregiamente”.
“Troppo spesso le vittime di sopruso, tacciono e subiscono ogni tipo di abuso, spesso cadendo nelle mani di gente che non solo le danneggia ulteriormente approfittando della situazione, causandogli una condizione ancora più disastrosa della precedente, fattori che abbiamo avuto modo di appurare, e che vogliamo prevenire in ogni modo”.
“Ed è per questo motivo che ci mettiamo a disposizione, di chi ci permetterà di aiutarlo adeguatamente”.
Pertanto iscrivendosi al Sindacato Europeo dei Lavoratori, ci si potrà avvalere di una difesa legale risolutiva, dello Studio Legale Miraglia Associato, che darà la possibilità ad ogni cittadino di tutelare i propri diritti.
Il Segretario Generale del Sindacato Europeo dei Lavoratori Giuseppe Criseo ci tiene ad aggiungere : “la scelta di questa collaborazione, è dettata da una imprescindibile peculiarità riscontrata solo nello Studio Miraglia Associato, che oltre a dare l’opportunità di una gestione legale di alto livello, si differenzia da ogni altra realtà, in quanto si è sempre occupato di seguire ogni caso approfondendone anche l’aspetto umano, al fine di poter supportare con le opportune proposte, anche un percorso volto alla riappropriazione della propria identità genitoriale ed umana, caratteristica che rende questa scelta radicale sotto tutti i punti di vista”.
“Noi come Sindacato Europeo dei Lavoratori, ci teniamo a combattere al fianco dello Studio Miraglia Associato, per evitare che le istituzioni continuino a sovvenzionare enti o associazioni, che non si adoperano per restituire indipendenza ed identità familiare alle donne, che si trovano in situazioni di forte disagio”.
Inoltre abbiamo scelto di collaborare con lo Studio Miraglia per il forte impegno emerso in tutti questi anni, a la tutela della famiglia, e delle donne, Studio Legale che si è reso promotore, denunciandone per primo le irregolarità degli affidi illeciti, vedi i casi di Bibbiano, e quelli che continuano ad emergere, e che coinvolgono tutta l’Italia”.
Per noi nessuna donna dovrebbe essere depredata dei figli, e defenestrata dal ruolo genitoriale, bensì siamo fermamente convinti che i soldi pubblici vadano impiegati per dei reali percorsi, messi a disposizione di queste donne, che hanno il diritto di essere rispettate nonostante le vicissitudini”.
Questa nostra considerazione nasce dal latente fallimento dell’attuale “modus operandi” messo in atto da certi Servizi Sociali, che come dimostrato dagli scandalosi e raccapriccianti fatti di cronaca, non hanno aiutato la familiarità, che spesso è stata disgregata, e messa in condizione di non coesistere”.
A tal proposito ci teniamo a riportare alcuni casi seguiti dallo Studio Miraglia Associato, a dimostrazione che tale collaborazione è dettata da un fine esclusivo :
https://ilquotidianoditalia.it/verona-3-anni-di-calvario-per-marco-sono-finiti-finalmente-a-casahttps://ilquotidianoditalia.it/cassino-fratto-gravissimo-commesso-dal-sindaco-enzo-salera
TRENTO (21 maggio 2018). «C’è qualcosa che non funziona al Tribunale dei minorenni di Trento, perché non è la prima volta che assisto donne le quali, rivoltesi ai Servizi sociali per chiedere aiuto, si trovano private ingiustamente dei loro figli». A parlare è l’avvocato Francesco Miraglia, esperto in Diritto minorile, cui una donna di Trento si è rivolta chiedendo assistenza: da quattro anni non vede sua figlia e non perché la maltrattasse o trascurasse o l’avesse in qualche modo messa in pericolo. Niente di tutto questo. La donna si era soltanto rivolta ai Servizi sociali e alle forze dell’ordine visti i numerosi episodi di percosse subite da parte del marito, che a un certo punto lui sì, aveva messo a rischio l’incolumità della piccina. Tutti episodi nei quali la donna, rivoltasi alle cure del pronto soccorso, è uscita con ferite e contusioni giudicate guaribili tra i dieci e i quaranta giorni. Non solo non sono stati considerati maltrattamenti in famiglia e lesioni, bensì considerati soltanto “liti familiari”; ma in più – fatto gravissimo – la piccola le è stata sottratta ed è stata affidata a un’altra famiglia. La donna non vede più la figlia da quattro anni, rischia di perdere la potestà genitoriale, la bimba soffre perché i genitori cui l’hanno mandata a vivere si sono separati e lei vive ora con il padre affidatario.
«E’ chiaro che qualcosa nel Tribunale dei minorenni di Trento non funzioni» aggiunge l’avvocato Miraglia, «poiché non si spiega come a una donna venga sottratta la figlia, per affidarla addirittura a un’altra famiglia, senza che vi sia un motivo grave. Cos’è? Si basano sulla simpatia o antipatia che suscitano le persone? Ritengono a prescindere che le donne abbaino torto e che la ragione sia sempre degli uomini? Qui non si tratta di salvaguardare il benessere della bambina – che stava benissimo con la mamma – ma si prefigura un’adozione mascherata. La coppia infatti non aveva figli. Tra l’altro mi domando poi come vengano selezionate le coppie affidatarie, se in così pochi anni questa sia addirittura giunta a separarsi, con un ulteriore trauma per una bimba che già soffriva per l’allontanamento dalla sua mamma. E’ urgente che gli organi preposti indaghino innanzitutto sulla condotta dei Servizi sociali e su quella in generale del Tribunale dei minorenni di Trento».
Modena, lì 23 marzo 2018
Oggetto: Richiesta di appuntamento urgente
Preg.mo Presidente,
prima in qualità di avvocato e poi in qualità di cittadino italiano, sento il bisogno di rivolgermi direttamente alla Preg.ma S.V.
Nella giornata del 21 marzo u.s., al Quirinale sono state convocate le attrici meritevoli di riconoscenze ma anche portatrici di un messaggio: “Nuove sfide, grazie alle donne che hanno denunciato”, “il monologo di Paola Cortellesi in difesa delle donne ai David 2018 dovrebbero ascoltarlo tutti contro ogni discriminazione”.
Ebbene, caro Presidente, occorre far sì che questi messaggi riguardino anche la povera gente, spesso senza difesa, spesso senza voce, spesso oggetto di vere e proprie discriminazioni; non vorrei che anche per Lei valesse quel detto “si predica bene e si razzola male”.
La realtà, purtroppo, è ben diversa dai salotti de Quirinale, dalle cerimonie e dai convegni.
Tanti, troppi, sono i casi in cui le donne subiscono le discriminazioni proprio da quelle istituzioni a cui si rivolgono per essere tutelate.
Com’è possibile che una mamma si rivolga all’autorità giudiziaria per i reati p.e.p dagli artt.61 n.11 quinquies, 572 c.p, n. 582 I comma, 585 in relazione all’art 576 n.5.1, N.582 I comma, 585 in relazione all’art. 576 n.5.1 c.p., N. 628 comma 2 e 3 N. 3 bis, c.p., N.. 628 comma 2 e 3 n.3 bis c.p., N. 582 commi 1 e 2 in relazione all’art. 585 comma I, 576 comma 1 n. 1 in relazione all’art. 61 n. 2 c.p., art. N. 574 c.p., N. 572 c.p., e come risultato si ottiene l’allontanamento dei figli e addirittura la disposizione degli incontri protetti.
Certo che non sarà questa mia comunicazione a far cambiare le cose, ma sono certo che la Sua sensibilità avrà il sopravvento sulle carte e sulle relazioni.
Occorre che i Magistrati, nel caso specifico, prima di prendere delle decisioni, siano preparati a prenderle, prima di decidere, abbiano la conoscenza e la preparazione di affrontare e di prendere determinate decisioni.
Non vorrei che questa mia comunicazione passasse come una sorta di difesa d’ufficio di tanti miei assistiti.
Questa vuole essere una sorta di invito a una presa di coscienza di un problema serio; è troppo facile, a disgrazia accaduta, commentare: “si poteva evitare”, “potevamo intervenire prima”, “non abbiamo ascoltato”.
Caro Presidente, sarebbe importante capire la realtà e invitare al Quirinale non solo chi ha la possibilità economica di difendersi e di far valere i propri diritti, ma anche quelle povere mamme che oltre a subire le umiliazioni e le botte dei propri uomini, subiscono anche l’umiliazione delle istituzioni che come primo atto di aiuto decidono, incredibilmente, di allontanarle i figli collocandoli presso il proprio carnefice.
Sicuramente non avrà bisogno dei miei consigli, ma sono certo che la realtà che Le spesso raccontano sia completamente diversa.
Basterebbe poco affinché molte di queste tragedie potessero essere evitate.
La preparazione, il buonsenso, la sensibilità, sono questi i pregi che devono appartenere in primis a chi raccoglie le denunce e in secondo luogo a chi le deve valutare per prendere delle giuste decisioni.
Le chiedo, non certo come cittadino, ma come avvocato, di essere convocato da Lei il prima possibile, per rappresentarLe, “carte alla mano”, che “nuove sfide, realmente possono essere affrontate grazie alle donne che hanno denunciato”.
Per puro tuziorismo voglio riprendere le Sue parole:
“Attrice, registe, operatrici del mondo del cinema hanno, con forza, denunciato mancanza di parità nei diritti, nelle opportunità, nelle condizioni di lavoro; una inaccettabile pretesa di considerarle in condizione di inferiorità. pretesa che non di rado sfocia anche in pressioni indebite e in violenze, morali e fisiche. Desidero ringraziare per la lettera che ho ricevuto da donne del cinema. Questa distorta concezione nei confronti delle donne, presente in tanti ambiti della società, è insopportabile per persone libere, che concepiscono la parità come premessa irrinunciabile di ogni comunità umana. Nessuno, in alcun ambiente, deve sottrarsi a questo dovere di civiltà ed è sorprendente che vi sia ancora bisogno di richiamarlo”
Auguro a tutti voi e a coloro che lavorano nel cinema una nuova primavera. Abbiamo le risorse intellettuali, le energie umane, le forse organizzative per affrontare la nuova stagione con fiducia”.
Mi sembra superficiale ricordarLe che i nostri concittadini non sono tutte attrici con possibilità economiche per far valere i propri diritti.
Le chiedo quindi, di considerare quanto le ho riportato, considerato che Lei è anche il Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura.
Rimanendo a disposizione per l’appuntamento da concordare, porgo cordiali saluti.
Avv. Francesco Miraglia
Il tribunale di Rimini affida i due bambini al padre che li picchia«Inammissibile»
RIMINI, 22 marzo 2018. Se c’è un pessimo padre, questo è proprio lui: violento, dipendente da alcol e droga, insofferente ad ogni forma di autorità e di regola. Eppure il tribunale di Rimini ha affidato a lui i due bambini, sebbene loro continuino a ripetere che li picchia e a supplicare di tornare con la mamma. Sebbene lui li porti a scuola spesso in ritardo di ore oppure non li accompagni affatto, tanto che la bimba rischia la bocciatura. E frequenta solo la scuola elementare.
«Ne ho visti di provvedimenti ingiusti e immotivati emessi dai tribunali» commenta l’avvocato Francesco Miraglia, cui la madre dei bimbi si è rivolta, «ma temo che la decisione assunta dal tribunale di Rimini sia una delle peggiori in assoluto. Ha affidato, infatti, due bambini in tenera età a un padre violento e – per sua stessa ammissione – dipendente da alcol e droghe, su cui è pendente un procedimento penale per maltrattamenti, atti persecutori, plurime lesioni aggravate, rapina e minacce. Alcuni giorni fa il piccolo è giunto a scuola con un occhio nero e la madre lo ha saputo soltanto perché avvertita dalla mamma di un compagno. La figlia è arrivata a telefonarle venti volte in una sera, piangendo ed urlando, supplicandola di andarla a prendere, perché il padre la picchiava. E in tutto questo, il tribunale non si è preso minimamente la briga di ascoltare i due ragazzini e di toglierli da una situazione potenzialmente pericolosa per il loro benessere fisico e psicologico».
Inizialmente i bambini erano stati affidati alla madre, che si era successivamente trasferita nella sua città d’origine appunto per allontanare i figli da violenze e vessazioni. Si era rivolta per questo a un centro anti violenza. Ma il tribunale di Rimini, in maniera del tutto incomprensibile, “punendola” per aver sottratto i bambini al padre, li ha affidati a lui, nonostante i tecnici del tribunale stesso avessero delineato già la figura del padre come inadatta.
«Preoccupati per quanto sta accadendo, abbiamo chiesto al tribunale di rivedere la sua decisione e di intervenire tempestivamente» conclude l’avvocato Miraglia, «ascoltando il prima possibile i bambini ».
Nonostante tutto è stato documentato il Tribunale o meglio il Giudice istruttore non ha ritenuto l’urgenza di intervenire.
Tutta la vicenda, naturalmente è stata portata a conoscenza del servizio sociale di Rimini che addirittura hanno considerato le continue richieste di aiuto come atti intimidatori.
Penso che chiunque parli di violenza sulle donne, parli di bambini maltrattati, parli di giustizia, organizza manifestazioni o convegni si dovrebbe vergognare quanto fatti così gravi vengono completamente ignorati dalle nostre istituzioni.
L’unico dato positivo di quanta vicenda è non si avrà difficoltà ad individuare i responsabili di quanto stanno subendo questi bambini…
Madre di Pordenone, vittima di un marito violento, si vede portare via i figli
PORDENONE. Che Stato di giustizia è quello in cui una donna, vittima di indicibili violenze da parte di un marito che non ha esitato a picchiarla a tal punto da romperle un timpano e la mandibola, si veda pure togliere i figli da un giudice che ravvisa nella vicenda una “conflittualità” tra la coppia? Si parla tanto di femminicidi, di violenza domestica in cui le vittime sono le donne: ma quando alcune di loro trovano la forza e il coraggio di denunciare gli abusi, si ritrovano a dover lottare contro le istituzioni, che le privano dei figli. Doppiamente vittime, quando mai riusciranno a rasserenarsi e a vivere la vita felice che meriterebbero? Ecco perché una di loro ha preso carta e penna e ha scritto direttamente alla presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, invocando un suo intervento, come rappresentante dello Stato in primis, ma anche come donna.
«A questo punto le donne perché dovrebbero continuare a denunciare i loro aguzzini» dichiara l’avocato Francesco Miraglia, cui la signora si è rivolta, disperata, per avere tutela legale, «se poi trovano giudici come Gaetano Appierto, che a questa madre, che porta addosso i segni della violenza di un marito già condannato, in virtù della “conflittualità” insorta con il coniuge, allontana i figli da lei e li confina in una casa famiglia, da cui non è dato sapere se e quando usciranno mai, né quando potrà rivederli».
Lo stesso magistrato si è reso protagonista di fatti alquanto discussi: a marzo, mentre discuteva di una causa di separazione, avendo disposto che la figlia della coppia dovesse frequentare la scuola scelta dal padre, la madre angosciata si è allontanata e si è tagliata i polsi in bagno. Mentre a settembre ha deliberato in favore di una ventiseienne, da anni fuori corso all’università, che pretendeva la “paghetta” di mantenimento da parte del padre.
«Si parla tanto di tutela delle donne» prosegue l’avvocato Miraglia, «ma tutto si traduce in mere chiacchiere, venendosi purtroppo ad innescare un circuito vizioso in cui alla denuncia contro un partner violento si applica il concetto di conflittualità in famiglia, cui consegue l’allontanamento dei figli da casa. Potrei raccontarne a decine di casi simili. E’ necessario un cambio di tendenza, un’inversione di rotta e che le istituzioni preposte diano un segnale e vigilino su casi come questi, che si profilano come abusi».
Di seguito la lettera scritta dalla madre di Pordenone alla Presidente della Camera.
«Gentile Presidente Laura Boldrini,
sento il bisogno di rivolgermi direttamente a Lei in quanto spesso si è presentata come paladina dei diritti fondamentali delle persone ma soprattutto dei diritti della donna di essere rispettata nella dignità di donna e di madre.
Mi dispiace che spesso e volentieri quando si parla di violenza sulla donna si predichi bene e si razzoli male.
Si preparano convegni, cerimonie, si consegnano premi e riconoscimenti, ma ogni giorno donne come me sono costrette a subire violenze, maltrattamenti e angherie dai propri compagni e per quanto mi riguarda da mio marito.
Devo constatare, purtroppo, che la più grande violenza che ho subito è proprio da quelle istituzioni preposte a far valere i propri diritti, fare giustizia ed a dare dignità.
Sono una dirigente sposata con un imprenditore, madre di due bambini di 11 e 2 anni.
Da più di tre anni subisco violenze fatte da schiaffi, pugni, calci, timpano rotto e mandibola fratturata e soprattutto violenza psicologica e stalking.
Lo stesso destino, purtroppo, è stato riservato da mio marito anche ai due nostri figli.
Ho cercato di poter difendere me stessa e difendere i miei figli prima personalmente e poi denunciando alle forze dell’ordine prima, alla Procura della Repubblica dopo, ma ancora una volta, come accade sempre più spesso nel nostro paese le istituzioni sono forti con i deboli e deboli con i forti.
Mi sono rivolta al Giudice dott. Appierto del Tribunale di Pordenone per essere tutelata e il risultato è stato che non sono state prese in considerazione né le mie denunce fatte, né la condanna subita da mio marito.
In altre parole, lo stesso Giudice, ha giustificato le botte di mio marito come se fosse normale che un marito possa mandare in ospedale la propria moglie.
Ancora più grave è che quel Giudice ha disposto anche l’allontanamento da me dei miei bambini che da due giorni si trovano in una Comunità e che ad oggi non so quando potrò vederli e abbracciarli.
Io sicuramente arriverò a farmene una ragione di questo stato, ma quando un giorno i miei figli mi chiederanno spiegazioni sul perché sono stati allontanati dalla propria casa e dalla propria mamma, cosa gli risponderò?
Chiedo a Lei Presidentessa, sempre in prima linea, di essere aiutata nel rispondere ai miei figli.
Con osservanza»
L’avvocato Miraglia: giustizia per un caso di “femminicidio dolce”, senza vittima ma con continue, gravi e pesanti vessazioni e percosse
TRENTO. C’è il terribile crimine cosiddetto femminicidio, che ha causato 120 vittime nel 2016, venti dall’inizio di quest’anno. Donne uccise dalla mano dei loro uomini. Ma c’è una violenza più subdola, sebbene altrettanto devastante: la violenza psicologica e fisica, una sorta di “femminicidio dolce”, quando un marito si trasforma in un orco e anziché carezze distribuisce pugni e schiaffi, anziché complimenti la sua bocca pronuncia offese e minacce. Un marito padrone venerdì è stato condannato in primo grado dal tribunale di Trento a due anni e otto mesi di reclusione, con il pagamento provvisionale di 15 mila euro e delle spese processuali. Aveva reso succube la moglie, madre dei suoi due figli, che il tribunale civile ha incredibilmente affidato a lui al momento della separazione. La donna ora teme per la loro incolumità e per la loro salute psicofisica: i piccoli vivono in una situazione di continua pressione cui il padre li sottopone e stanno manifestando segni inequivocabili del loro disagio.
«E’ inconcepibile come il medesimo tribunale abbia agito in maniera contraria nella stessa vicenda» commenta l’avvocato Francesco Miraglia, cui la donna si è rivolta alla ricerca di giustizia «e se dal punto di vista penale ha riconosciuto i fatti come li ha denunciati la mia cliente, la sezione civile ha dato a quest’uomo la custodia dei figli, senza che siano stati sentiti dei testimoni, sulla base delle sue esclusive dichiarazioni, che, in realtà, la sentenza di condanna emanata venerdì scorso contro di lui dimostra come fossero fuorvianti e prive di fondamento».
L’uomo è stato condannato in primo grado per maltrattamenti in famiglia, la cui vittima era la moglie, totalmente sottomessa e resa succube attraverso la costrizione a subire continue minacce, ingiurie e percosse. Anche dopo la separazione, cui la donna era ricorsa, non riuscendo più a sopportare la situazione. “Devi crepare”, “Sei grassa” (al momento la signora era incinta) erano frasi che la donna si sentiva rivolgere costantemente da un marito che la costringeva a subire la sua volontà e le impediva di avere contatti con chiunque, persino con i propri familiari, e le vietava pure di andare a fare la spesa da sola ossessionato dall’idea di spendere il denaro.
«Ma l’uomo è riuscito a convincere il tribunale civile che era l’ex moglie ad essere disturbata emotivamente» prosegue l’avvocato Miraglia, «giungendo ad ottenere la custodia dei due bambini, che mostrano adesso segni di sofferenza per la continua tensione conflittuale cui sono sottoposti. Adesso chiedere la revisione dell’affidamento. Il tribunale, in ogni caso, venerdì ha mostrato di riconoscere la sofferenza della mia assistita: la legge punisce il femminicidio, ma esiste anche una forma di “morte” non fisica cui sono sottoposte quotidianamente centinaia di donne. Un femminicidio “dolce”, dai contorni meno violenti di quelli che portano all’omicidio e alla perdita della vita da parte della vittima, ma ugualmente devastanti. Di questo devono tenere conto i tribunali, per impedire di arrivare ai casi estremi».
La condanna subita dall’uomo è pesante, due anni e otto mesi, più del doppio di quanto aveva richiesto come pena minima il pubblico ministero, che riteneva congruo almeno un anno e tre mesi. Questo perché il giudice ha riconosciuto le violenze fisiche e psicologiche subite dalla donna. Che adesso, però, vuole ottenere giustizia per i suoi figli.
«Temo per loro, perché sono ancora affidati a lui» dice, infatti, la signora, che invita le altre donne ad avere comunque fiducia nella giustizia e a denunciare i soprusi subiti dai mariti-padroni, prima che sia troppo tardi, prima di arrivare ad allungare il già lungo elenco delle vittime della furia cieca di consorti e compagni.