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Napoli: minore in comunità da tre anni, senza famiglia nè futuro. Ma a chi conviene che resti li?

Una ragazza collocata in comunità da oltre tre anni, senza un progetto educativo né contatti con la famiglia. Servizi Sociali assenti, un rapporto ambiguo con la tutrice, e una madre lasciata nel silenzio. Dopo il ricorso, il Tribunale rimuove la tutrice e convoca le parti. Ma il dubbio resta: perché nessuno vuole cambiare le cose?

 

NAPOLI e provincia  28 marzo 2025 –  È la storia di una minore originaria dell’hinterland di Napoli, collocata in comunità da oltre tre anni, senza alcun progetto educativo individualizzato, senza valutazioni psicologiche recenti, e soprattutto senza alcun contatto reale con i genitori. Una storia fatta di silenzi istituzionali, omissioni documentate e di una gestione che solleva più interrogativi che certezze.

La madre, da anni esclusa da ogni informazione, è assistita dall’Avv. Miraglia, che ha più volte denunciato l’inattività dei Servizi Sociali territoriali. Nessun aggiornamento sullo stato della minore, nessuna apertura a una progettualità di reinserimento, nessuna risposta alle richieste formali. Nulla.

A destare particolare preoccupazione è stato inoltre il rapporto ambiguo e sbilanciato instaurato tra la minore e la tutrice nominata, che – secondo quanto riferito dalla madre – avrebbe assunto un ruolo personale e centralizzato, diventando di fatto l’unico riferimento della ragazza e escludendo completamente la figura genitoriale.

Nessuna vigilanza, nessuna verifica da parte del servizio pubblico, che ha permesso per anni che tale assetto si consolidasse. È stato solo a seguito di un ricorso presentato dall’Avv. Miraglia che il Tribunale per i Minorenni di Napoli ha disposto la sostituzione della tutrice, ritenendo fondate le preoccupazioni sollevate.

Non solo: per il prossimo mese di maggio è stata disposta la comparizione delle parti da parte del Tribunale, proprio in seguito al ricorso promosso dalla madre. Per la prima volta, dopo anni, si apre uno spazio di confronto in sede giudiziaria.

«È un primo passo – spiega l’Avv. Miraglia – ma arriva dopo troppo tempo. E mentre la macchina istituzionale resta ferma, questa ragazza continua a crescere in una struttura, priva di affetti, riferimenti, relazioni. In una condizione che non è temporanea ma ormai cronicizzata.»

E aggiunge:

«Abbiamo trasformato la comunità in un parcheggio esistenziale. Questa ragazza non è assistita: è dimenticata. E chi tace oggi, ne sarà responsabile domani.»

Nel frattempo, la ragazza continua a vivere in comunità, con un costo pubblico importante a carico della collettività. Eppure nessuno sembra interrogarsi realmente su quale sia il suo interesse, su quale futuro si stia costruendo per lei. La madre è tagliata fuori, i Servizi Sociali tacciono, e le istituzioni si limitano a difendere il proprio operato con dichiarazioni generiche.

Emblematica la risposta del Sindaco del Comune coinvolto, che ha parlato di “un servizio che ha operato correttamente” e di una vicenda “attenzionata dal Tribunale”. Nessun approfondimento, nessuna spiegazione, nessuna assunzione di responsabilità. Solo una difesa autoreferenziale che lascia tutto com’era.

La vicenda è ora sotto esame del Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza della Regione Campania, cui è stata inoltrata una segnalazione formale. Si chiede un intervento concreto per verificare ciò che fino ad oggi è stato ignorato o nascosto sotto il tappeto.

Ma intanto una domanda rimane, sospesa come un macigno: a chi giova davvero che questa ragazza resti in comunità, sola, senza legami e lontana dalla sua famiglia?

 

 

Napoli, violenza e giovani, un grido di allarme che non possiamo inorare

di Francesco Miraglia,

La morte di Arcangelo Correra, diciottenne ucciso per un colpo di pistola esploso dal cugino, rappresenta una nuova e tragica ferita per Napoli. Non è il primo giovane che, in pochi giorni, perde la vita per un’escalation di violenza, e temo che non sarà l’ultimo, a meno che non decidiamo finalmente di guardare in faccia questa emergenza e di prendere provvedimenti seri e risolutivi. Questa tragedia segue di poche settimane la morte di Emanuele Tufano, un ragazzo di appena 15 anni, colpito durante una sparatoria tra adolescenti, e di Santo Romano, diciannovenne ucciso in una lite esplosa per un motivo banale. Sono tre giovani vite spezzate, in appena diciassette giorni, una sequenza di eventi tragici che interroga la nostra coscienza collettiva e impone una riflessione profonda sul nostro fallimento come società.

In qualità di esperto in diritto penale e minorile, e autore di libri dedicati al disagio giovanile e alla tutela dei minori, tra cui “Bambini prigionieri”, “I malamente” e “Avvocato dei bambini”, sento la necessità di portare alla luce le storie di tanti ragazzi e famiglie che vivono nel silenzio e nell’invisibilità. Lavorando da anni a stretto contatto con situazioni di degrado e di emarginazione, ho visto troppi ragazzi abbandonati a sé stessi, privi di un sistema di supporto, lasciati a convivere con un vuoto educativo e sociale che li rende vulnerabili alla rabbia e alla violenza. Questo vuoto non è altro che il fallimento della nostra società, incapace di ascoltare e di intervenire per offrire alternative reali.

La violenza tra i giovani è un problema che va ben oltre la sicurezza pubblica. Si tratta di un disagio profondo, di una sofferenza che spesso nasce in famiglia, cresce nel degrado sociale e si alimenta della mancanza di opportunità e di speranza. Molti ragazzi vedono nella violenza una risposta naturale, quasi inevitabile, ai propri problemi e frustrazioni. In troppe realtà manca tutto: l’educazione, il supporto psicologico, il senso di appartenenza a una comunità che possa aiutarli a trovare la loro strada.

Mi chiedo se, come comunità, stiamo facendo abbastanza per i nostri giovani. La risposta, purtroppo, è no. Certo, il controllo delle armi è fondamentale: non possiamo ignorare quanto sia semplice per un adolescente mettere le mani su una pistola modificabile, come dimostrato recentemente dal presidente di Asso.gio.ca durante una manifestazione a Napoli, mostrando una pistola scacciacani acquistabile con pochi euro online. Ma la questione delle armi, seppur centrale, è solo una parte del problema. Non possiamo pensare di risolvere tutto con una sorveglianza più intensa o con l’inasprimento delle pene. Si tratta di risposte superficiali, che non arrivano alle radici del problema.

Napoli è una città splendida, viva, piena di potenziale, e vedere i giovani perdersi nella violenza mi spezza il cuore. Ogni volta che un ragazzo muore, perdiamo una parte della nostra comunità, e con lui un futuro che non potrà mai realizzarsi. Ho seguito da vicino realtà difficili e so quanto sia importante investire sulle persone e sui giovani per costruire una comunità solida e sana. I miei libri sono stati un tentativo di far emergere queste storie, di mettere in evidenza quanto siano radicati i problemi e quanto sia necessario un intervento strutturale per spezzare questo circolo vizioso.

L’approccio dev’essere a tutto campo. In primo luogo, occorre investire risorse reali nell’educazione e nel sostegno sociale. Non possiamo pensare che sia solo compito della polizia intervenire su questa crisi: abbiamo bisogno di assistenti sociali, psicologi, educatori e di ambienti protetti per i nostri giovani, dove possano sentirsi ascoltati e sostenuti. È indispensabile che ci sia una volontà politica decisa, perché senza impegno concreto da parte delle istituzioni, i nostri ragazzi continueranno a rimanere invisibili, intrappolati in un mondo di solitudine e di abbandono.

Come ha sottolineato il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, ciò che si sta facendo non è sufficiente. L’intervento deve essere su più livelli, dalla famiglia alla scuola, dai quartieri fino ai centri di aggregazione giovanile. Non è una questione che si possa risolvere dall’oggi al domani, ma servono iniziative a lungo termine che restituiscano ai giovani la speranza e un senso di appartenenza. Devono poter vedere una prospettiva concreta, un’alternativa alla strada e alla violenza.

Il futuro dei nostri ragazzi è anche il futuro di Napoli. Se continuiamo a perdere giovani a causa della violenza, impoveriamo la nostra città e rischiamo di perdere il suo patrimonio più prezioso. Come esperto e come cittadino, mi sento in dovere di fare tutto il possibile per creare un contesto in cui la violenza non sia più una risposta, in cui i giovani possano crescere in un ambiente sicuro, rispettati e valorizzati. Napoli ha bisogno di loro, ha bisogno della loro energia e della loro creatività, ma dobbiamo fare la nostra parte per proteggerli.

Non possiamo più permettere che i nomi di questi ragazzi diventino solo un elenco di cronaca nera. Le loro storie devono servire a costruire un cambiamento, a scuotere le coscienze e a spingere le istituzioni a fare di più. Per Arcangelo, per Emanuele, per Santo e per tutti gli altri giovani che non ci sono più, impegniamoci finalmente a dare loro una risposta e a costruire una città che sappia ascoltare, proteggere e valorizzare le nuove generazioni.