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Io sto con la piccola Violetta

Mobilitazione nel Torinese per una bimba di dieci anni picchiata dalla mamma, ma inspiegabilmente allontanata dal padre e dalle sorelle e costretta in una comunità.
TORINO (13 agosto 2020).  È nato un gruppo Facebook “Io sto con la piccola Violetta” per aiutare una bambina torinese di dieci anni, che lo scorso febbraio è stata strappata al papà con cui viveva, portata via mentre la piccola si trovava a scuola. E senza un motivo valido, anzi: la piccola veniva picchiata dalla mamma (in attesa di processo per maltrattamenti) e non voleva stare con lei: viveva quindi con il padre e le due sorelle, ma la consulente del tribunale, nello redigere la relazione sulla base del quale il Tribunale dei minorenni del Piemonte e Valle d’Aosta ha assunto la sua decisione, ha ritenuto che la piccola provasse risentimento verso la madre solo perché manipolata dal padre, per la presunta Sindrome di Alienazione Parentale. «La bambina è stata quindi allontanata da casa» racconta l’avvocato Francesco Miraglia, al quale il padre di Violetta (nome di fantasia) si è rivolto, «ma non sta affatto meglio. Vive in uno stato di “infelicità cronica”, sentendosi la figlia “sbagliata” in quanto l’unica ad essere stata allontanata dal papà e dalle sorelle, alle quali è molto legata.
È stata poi costretta ad interrompere i corsi di danza che seguiva, il tutto senza alcuna plausibile spiegazione. Ha subito un netto calo nel rendimento scolastico dal momento in cui ha fatto il suo ingresso nella comunità, dove non è seguita a dovere dal punto di vista medico e sanitario».
Tutto è iniziato quando il padre di Violetta ha chiesto aiuto agli assistenti sociali, a causa dei problemi della figlia e della sua separazione. E i servizi sociali, invece di supportarlo, di punto in bianco sono andati a prelevare la bambina dalla scuola elementare, l’hanno tolta dall’affidamento paterno e costretta a vivere in una comunità, lontana da tutto ciò che le era familiare, dai suoi cari, dalle sue amicizie, dalla scuola e dalle sue abitudini. Da febbraio il papà ha potuto contattarla soltanto due volte e solo tramite messaggi.  «La decisione del tribunale» prosegue l’avvocato Miraglia «si basa, tra le altre cose, su fondamenti del tutto errati: innanzitutto la consulente tecnica di Ufficio, fiduciaria del Giudice, ha stilato la relazione fondando il tutto sull’accusa mossa al padre di essere un genitore alienante nei confronti della figura materna, ma è ormai scientificamente appurato, ed anche sconfessata dal Ministro della Salute e da numerose sentenze, che la Sindrome di Alienazione Parentale non esiste.  La metodologia utilizzata dal perito si pone quindi come una carenza e negligenza ingiustificabile, che altera qualsivoglia conclusione».
Il nuovo Consulente Tecnico Forense della Famiglia, la prof.ssa Vincenza Palmieri, subentrata, dopo lo studio degli Atti,  ha appurato “come drammaticamente la bambina sia stata allontanata mentre erano ancora in corso i lavori della CTU perchè proprio la stessa CTU aveva evidenziato un grave rischio e pregiudizio per la bambina se fosse rimasto nella famiglia paterna, senza avere mai incontrato padre e bambina insieme o la bambina con il suo nucleo familiare, in assenza oggettiva di alcun malessere o alcun disagio manifestato dalla bambina che invece stava benissimo: danzava, suonava, praticava ogni tipo di sport, era felice e brava a scuola. Quindi strappata dalla sua vita esclusivamente per un IPOTETICO FALSO PREGIUDIZIO della CTU, per essere invece scaraventata nel DOLORE REALE della solitudine, della somatizzazione e della regressione. ORA SI’ CHE C’E’ un danno valutato concretamente sulle risultanze: la bimba è seriamente “infelice”, adultizzata, ammalata e bisognosa di costanti cure, i voti a scuola sono peggiorati.  La sua situazione è urgente e preoccupante. La bambina deve essere salvata: curata, accudita ed amata da chi non le ha mai fatto del male, prima che sia troppo tardi.”
Pertanto l’uomo ha chiesto al tribunale dei minorenni di disporre la revoca del collocamento etero–familiare, per mancanza dei presupposti di legge e stante il grave pregiudizio arrecatole con l’allontanamento dalla casa paterna. E di disporre l’affidamento a lui e costanti incontri tra Violetta e le sorelle, in ottemperanza al diritto di fratellanza ora violato.
Nel frattempo è nata una mobilitazione sui social, con la creazione di un gruppo Facebook e tanti cartelli appesi ai negozi del Torinese che riportano la scritta “Io sto con la piccola Violetta”.

Il Tribunale di Monza ritiene una madre inadeguata solo perché suo padre anni addietro si è suicidato

L’avvocato Miraglia: «Pregiudizio di gravità inaudita. Intervenga il ministero»
MILANO (24 Luglio 2020). Da un anno una mamma lombarda non vede i suoi figli: la decisione, sofferta, l’ha assunta nel tentativo di ridare serenità ai suoi bambini, manipolati a tal punto dal padre, suo ex marito, che rifiutano di vederla, considerandola causa di tutti i loro guai. Ma dopo più di un anno i ragazzi non hanno mutato i loro sentimenti, perché il padre, lungi dal collaborare a far tornare la serenità, perdura nel dipingere la donna come potenzialmente pericolosa per i bambini. Il continuo stato d’ansia li ha molto provati: necessiterebbe quindi un intervento mirato ad allontanare i ragazzi da questa situazione per far ritrovare loro la serenità e per riavvicinarli progressivamente alla mamma. Ma una decisione così importante e urgente per il  loro benessere non viene assunta  dal competente  tribunale ordinario di Monza, che anzi li affida proprio al padre e si affretta a etichettare la madre come inadeguata solo ed esclusivamente sulla base del fatto che il padre della donna si è suicidato alcuni anni fa e che lei potrebbe pertanto comportarsi nel medesimo modo e commettere il medesimo insano gesto.
«Si tratta di un pregiudizio gravissimo» dichiara l’avvocato Francesco Miraglia, «non supportato e persino smentito dalle Consulenze techiche d’ufficio, che valutano la mia assistita come una persona equilibrata e amorevole. Più che adatta, quindi, a svolgere il suo ruolo di genitrice. Non si capisce quindi perché il tribunale, ignorando totalmente le Ctu elaborate dagli esperti da lui stesso incaricati, non decida di salvare questi bambini dalla pessima influenza paterna, affidandoli alla mamma o per lo meno collocandoli temporaneamente in una struttura eterofamiliare. finché non si ristabilisca un clima sereno».
Tanto per comprendere quali condizionamenti psicologici subiscano i due bambini da parte del padre, che costantemente dipinge la madre come persona potenzialmente pericolosa per la loro incolumità, basti sapere che  in un’occasione si presentò a casa della ex consorte a riprendere i figli scortato da una guardia armata di pistola.
«Riterremo responsabile chi ha assunto questa decisione per quanto potrà capitare a questi due bambini» prosegue l’avvocato Miraglia «e mentre da parte nostra abbiamo presentato ricorso alla Corte d’Appello e depositato degli esposti in Procura, chiediamo un intervento urgente da parte degli ispettori del ministero: non si amministra la giustizia sulla base di immotivati, ingiustificati pregiudizi».

Donna picchiata e costretta a prostituirsi, il Tribunale le toglie i figli

Il Tribunale le toglie i figli perché è una “poco di buono”. I ragazzi vivono in una comunità fatiscente: quando la madre ha protestato, le hanno sospeso le visite.

ROMA (18 Giugno 2020). Non bastava il compagno violento che la picchiava e la costringeva a prostituirsi: anche la tutrice, che il tribunale ha nominato perché si occupasse dei suoi due figli,  ha infierito su di lei.
A una donna romana hanno tolto i figli e pure le visite, dopo che ha “osato” chiedere una verifica delle condizioni fatiscenti in cui versa la comunità che ospita i due ragazzi. «Incredibile l’accanimento della tutrice nei confronti di questa mamma, chiamata a vegliare sui ragazzi e sulla loro serenità, che non ha perso occasione, nei vari atti depositati in tribunale, di sottolineare che questa mamma non sia adatta ad occuparsi dei figli. Probabilmente, per questa tutrice e per il tribunale per i minorenni, una donna: picchiata, maltrattata, costretta a prostituirsi e che ha avuto il coraggio di denunciare tutto all’autorità giudiziaria per proteggere sé e i suoi bambini, non ha il diritto di essere mamma.
Più volte, questa mamma, si è dovuta recare al pronto soccorso per le botte prese dal compagno che, nel suo violento comportamento soggiogante, la obbligava a prostituirsi per pagare i suoi debiti di droga. All’ennesima violenza, la donna ha avuto la forza di ribellarsi, di denunciare tutto, rivolgendosi a un centro antiviolenza. Sperava nella ripresa di una vita normale, ma si è dovuta scontrare contro un tribunale, una tutrice e un servizio sociale.
Anche in questo caso non si può che parlare di un pregiudizio nei confronti di due bambini, dall’altro lato, sono state completamente ignorate le relazioni della comunità di accoglienza, i terapeuti e quanto sostenuto dal dipartimento di salute mentale di Roma che definiscono questa mamma una persona equilibrata, con un buon rapporto con i suoi due figli.
Com’è possibile che un Tribunale e una tutrice ignorino completamente quanto hanno subito questa mamma e questi bambini?
Com’è possibile colpevolizzare questa mamma per il fatto che questi due bambini non vogliano incontrare il padre?
Com’è possibile che nessuno si chieda il motivo per cui questi bambini hanno paura del papà?
Non è accettabile colpevolizzare questa mamma, ma ancora più incredibile è che la tutrice, che ha incontrato i bambini in due anni solo per quattro volte, ha ignorato completamente le precarie condizioni della comunità in cui si trovano i bambini, ha ignorato le foto che dimostrano un ambiente malsano e inadeguato, non solo per i figli della mia assistita, sostiene l’Avv. Miraglia, ma anche per tutti gli altri piccoli ospiti.
Qualcuno dovrebbe spiegarci e spiegare il perché la tutrice non si è sentita in dovere di rivolgersi all’autorità giudiziaria per controllare quanto succede in questa comunità.
Ancora, qualcuno dovrebbe spiegarci e spiegare se e quante ispezioni sono state fatte in questa comunità.
Temo che, anche in questo caso, nessuno abbia avuto il tempo di capire come vengono trattati e come vivono i bambini in queste comunità.
I ragazzi sono stati allontanati dalla loro vita abituale, il figlio più piccolo non è più stato mandato a frequentare le lezioni di catechismo, tanto che dovrà saltare i sacramenti. Guai per questi ragazzi lamentarsi di qualcosa o rifiutarsi di vedere il padre, che nonostante i reiterati comportamenti violenti, può vederli tranquillamente: ebbene, gli operatori della comunità li minacciano continuamente di mandarli in affidamento a un’altra famiglia.
Come ultimo sgarbo, nel momento in cui la donna, prove fotografiche alla mano, ha chiesto alla tutrice  e al Tribunale di verificare le condizioni igieniche e strutturali della comunità in cui sono alloggiati i suoi due figli (sporcizia, disordine, ambienti malsani e cibi scaduti), questi non solo non hanno risposto, ma anzi, hanno comunicato la sospensione degli incontri tra la mamma e i suoi ragazzi.
Addirittura, la bambina che ha trovato il coraggio di chiamare la madre e chiedere aiuto con un telefono cellulare, ora è “segregata” in camera da maggio e solo ultimamente può uscire nel cortile guardata a vista da un operatore.
«Abbiamo presentato ricorso» conclude l’avvocato Miraglia «e siamo pronti a dare battaglia legale nel caso dovesse capitare qualcosa ai ragazzi, per l’incuria in cui vivono a causa delle scelte ingiustificate, a danno di questi ragazzi che chiedono solo di poter tornare a casa dalla madre.

Monza: Bimbo in coma per incuria. Accolta la richiesta di ricusazione

Accolta la richiesta di  ricusazione del giudice che non ha tolto il bimbo al padre che lo trascurava

 

MONZA (8 Maggio 2020). Il tribunale di Monza ha accolto il ricorso con procedimento d’urgenza presentato dalla madre del bambino di 5 anni, semiparalizzato e cieco a causa dell’incuria paterna. Attraverso il suo legale, l’avvocato Francesco Miraglia, la donna ha chiesto la ricusazione del giudice, che in maniera superficiale non ha mai tenuto conto delle prove della trascuratezza e non ha mai voluto toglierlo dalla custodia paterna, nonostante fosse evidente che il padre fosse inadeguato e che la salute del bambino fosse a repentaglio. L‘udienza si svolgerà il 28 maggio.

«Delle sofferenze e delle gravissime condizioni in cui versa ormai questo bambino di soli cinque anni consideriamo responsabile il giudice del tribunale dei Minorenni di Monza, che si è occupato del caso» dichiara l’avvocato Miraglia. «Ringraziamo il tribunale che ha preso in considerazione la nostra istanza e ha fissato l’udienza di ricusazione. Non vorremmo però che questa nostra insistenza nel chiedere la rimozione del magistrato fosse ritenuta una questione personale, perché si tratta invece di correttezza. Comprendiamo che una persona possa sbagliare: nessuno è infallibile. Una volta capito l’errore ci saremmo aspettati un passo indietro da parte del giudice: invece con superficialità non ha tenuto conto delle nostre richieste, pur suffragate da prove concrete e gravi. E le ripercussioni, purtroppo, hanno reso invalido un bambino di soli 5 anni».

Il tribunale dei Minori di Monza aveva tolto il bambino alla madre per «rischio psico-evolutivo» e lo aveva affidato al padre, dimostratosi, però, inadeguato: il bambino era sporco e dimagriva vistosamente.

Con numerose prove fotografiche, a fine gennaio la madre aveva chiesto al giudice di riavere in affidamento il suo bambino: il piccolo versava in uno stato di incuria e malnutrizione da fare pena. Da quanto era sporco aveva le croste sul collo e aveva sviluppato infezioni da funghi alle mani e ai piedini; un vistoso eritema ai glutei era dovuto invece all’assenza di igiene anche della biancheria. Il bambino continuava, poi, a perdere peso per la malnutrizione. Il giudice sapeva tutto e non ha mosso un dito.

Il medico legale ha confermato il rapido deperimento del bambino «evidentissimo dalle immagini presenti agli atti» si legge nella sua relazione, «che presentano come il bambino, che appare in ottima salute, curato nella persona e di ottimo umore nelle immagini di maggio, luglio e ottobre 2019, sia invece dimagrito in modo ingravescente, triste e pallido in modo a dir poco preoccupante. Lo stato di denutrizione, la scarsa igiene non possono che aver favorito come concausa la diffusione dell’infezione che ha causato l’Encefalomielite acuta disseminata da cui è stato colpito il piccolo».

Le condizioni del bambino sono disperate: il piccolo ha lasciato l’ospedale di Bergamo, in cui era stato ricoverato il 10 febbraio con la febbre a 40 gradi. E’ stato trasferito in una clinica in cui lo sottopongono a riabilitazione agli arti, che non riesce a muovere. Nei giorni scorsi, inoltre, i medici hanno fornito alla madre una diagnosi drammatica: il piccolo è cieco ed è probabile che non tornerà a vedere mai più.

 

Cambia sesso e diventa donna: non le fanno più vedere il figlio

L’avvocato Miraglia: «Gravissimo atto di discriminazione a Milano»
MILANO (30  Aprile 2020). Sta pagando a caro prezzo la decisione assunta di cambiare sesso, una donna che per il Tribunale dei Minorenni di Milano è il padre di un ragazzino di otto anni: da otto mesi gli viene negato di vedere e sentire il proprio figlio. Non sa nemmeno dove stia né come stia, non ha sue notizie nemmeno via mail, non può neppure telefonargli. Senza una motivazione plausibile se non quella, sottintesa, di avere nel frattempo cambiato sesso ed essere diventato una donna. Una transizione che il bambino ha accettato, ma a quanto pare molto meno l’assistente sociale che segue il caso, la quale ha interrotto ogni tipo di rapporto tra i due da quando il padre, ormai donna, si sarebbe presentato agli incontri abbigliato con vestiti femminili.
Il bambino è nato otto anni fa da una coppia di genitori, che nel frattempo si è separata in maniera conflittuale: motivo degli inconciliabili dissapori tra gli ex coniugi anche la decisione assunta dal marito di sottoporsi al cambio del sesso. Il tribunale ordinario, nel corso della separazione, aveva ordinato che il bambino continuasse a vedere entrambi i genitori, affidando il piccolo alla madre e stabilendo che il padre potesse vederlo all’interno di uno spazio neutro. Passò quindi la competenza della regolamentazione dei rapporti tra padre e figlio al Tribunale dei Minorenni, il quale però, con pregiudizio inspiegabile, improvvisamente ha bloccato gli incontri e persino le telefonate tra i due.
«Un atteggiamento discriminatorio, negligente ed altamente pregiudizievole, quello attuato dal Servizio sociale nei confronti della signora» commenta l’avvocato Francesco Miraglia, al quale il padre, ormai donna, si è rivolto. «La mia assistita non sa nemmeno dove si trovi il figlio né conosce le sue condizioni di salute (il piccolo è affetto da una forma di autismo), con gravissimo pregiudizio per il bambino e violazione di ogni legge nazionale ed internazionale a tutela dei diritti fondamentali di genitori e minori! I dati attualmente disponibili non suffragano i timori circa il fatto che le problematiche identitarie di un genitore influiscano in termini negativi sullo sviluppo del figlio. Per contro, sono ampiamente documentabili gli effetti perturbanti ingenerati dell’interruzione dei contatti tra un bambino e il proprio genitore, di qualunque sesso esso sia. Ci siamo quindi appellati con un’istanza urgente al Tribunale dei Minorenni affinché questa donna continui a vedere e a sentire il proprio figlio. E vogliamo vedere chi si prenderà a cuore questo caso, anche dal punto di vista politico: se con indosso i pantaloni come genitore andava bene, con la gonna improvvisamente è diventato pessimo? Vogliamo affermare davvero questo principio, che si basa su stereotipi di genere? E’ urgente che si attivi un dibattito che regolamenti in maniera chiara i diritti dei genitori separati transessuali, che hanno pari dignità e diritti di essere trattati e riconosciuti al pari di chiunque altro».

Lettera aperta: a causa del coronavirus, negati i diritti umani e fondamentali a centinaia di genitori e figli. Intervenga il premier Conte»

A causa del coronavirus sospese le visite tra genitori e i loro figli ospiti delle comunità
 
L’avvocato Miraglia: «Negati i diritti umani e fondamentali a centinaia di genitori e figli. Intervenga il premier Conte»

«Sono centinaia i genitori di bambini allontanati da casa e ospiti delle comunità che in questi giorni stanno vivendo un dramma: oltre alle generali imitazioni imposte dalle norme contro la diffusione del Coronavirus, a migliaia di essi sono stati sospesi gli incontri con i propri figli. Non sanno nemmeno come stiano i loro bambini, perché i Servizi sociali, come tutti gli uffici di pubblica amministrazione, sono chiusi o a ridotta operatività. Una tragedia di cui il Governo deve farsi carico». A rivolgere questo accorato appello al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, è l’avvocato Francesco Miraglia, esperto di Diritto minorile, che quotidianamente segue decine di casi legati all’allontanamento dei bambini dai propri genitori.
«Ogni giorno sono subissato da decine di telefonate di genitori, da tutta Italia, che non possono più vedere i bambini perché i Servizi sociali – che non rispondono perché non sono in servizio visto, che la maggior parte dei dipendenti pubblici è a casa per limitare il contagio – hanno cancellato le visite protette ai loro bambini. Che dovrebbero fare, visto che, oltre a non vederli, non sanno nemmeno come stiano perché nemmeno le comunità rispondono più? Si parla di detenuti, si parla di supermercati, ma a questi bambini, che già vivono in condizioni difficili, chi dà voce? Sarebbe forse il momento di incrementare, non di sospendere, gli incontri oppure di far ritornare questi bambini e ragazzi nelle loro case. Con quale criterio, poi, gli incontri tra genitori e bambini chiusi in casa famiglia sono stati sospesi? Se questa emergenza dovesse durare ancora per diversi mesi, che dovrebbe fare queste famiglie? In un momento così delicato, in cui la quarantena riduce i contatti tra le persone e i loro cari, in un momento di così grande difficoltà e incertezza, nel quale i Servizi sociali faticano a rispondere, ebbene impedire alle persone di vedere i loro bambini, già lontani da casa, non è ammissibile. Il premier Conte si è tanto preoccupato dei carcerati, mettendo in atto le misure adeguate per garantire le visite da parte dei loro famigliari. Ma ai bambini chiusi nelle comunità, invece, non ci pensa mai nessuno? Possibile che non siamo in grado di mettere in atto delle misure e delle precauzioni che consentano ai genitori di incontrare i figli senza diffondere un eventuale contagio? Comprendo l’emergenza sanitaria del momento, ma qui vengono negati i diritti umani e fondamentali a centinaia di genitori e bambini».

Perugia: assistente sociale denunciata per lesioni da una madre

Aveva chiesto che il padre fosse più presente con la figlia: l’hanno tolta a lei per affidarla totalmente a lui, con danni psicologici evidenti per la povera bambina
PERUGIA (18 Marzo 2020). Una relazione che finisce, un rapporto che si interrompe e gli inevitabili conflittualità tra genitori per la gestione della bambina: ma mai una donna si sarebbe aspettata di venire etichettata come pazza e di vedersi togliere completamente la figlia, affidata ora al padre. La bambina risente dello stress e della lontananza dalla mamma, ma l’assistente sociale la dipinge come allegra e felice e, in barba al codice deontologico, descrive il padre come l’unica persona adatta ad occuparsi della piccola. Dallo scorso maggio a questa donna non è consentito avvicinarsi alla figlia, né avere notizie di lei, perché, tornata al suo Comune d’origine con l’assenso iniziale dell’assistente sociale, questa, cambiando le carte in tavola, l’ha denunciata alla Procura minorile, asserendo che il suo allontanamento avrebbe pregiudicato le viste al padre.
La donna ha quindi denunciato l’assistente sociale di Todi per lesioni personali, abuso d’ufficio e falso ideologico commesso da pubblico ufficiale.
«La settimana scorsa abbiamo incontrato l’assistente sociale perché chiarisse la propria decisione» dichiara l’avvocato Francesco Miraglia, legale della donna, «ma non è stata nemmeno in grado di motivare le sue scelte. La sua relazione, che ha stravolto la vita della mia assistita e soprattutto della bambina, è totalmente falsa e chissà su quali basi l’ha fondata, se non è stata nemmeno in grado di motivarcela».
La mamma della bambina era già stata sottoposta a due perizie, che l’avevano entrambe reputata idonea, affettuosa, competente come mamma. La figlia era serena, affettuosa, autonoma, anche per le insegnanti della scuola che allora frequentava. L’ unica cosa emersa, entrambe le volte, era l’intensa conflittualità tra i genitori, che faticavano a trovare punti di convergenza relativamente alla gestione ordinaria e straordinaria della figlia. «Non si comprende allora il motivo per il quale l’assistente sociale incaricata, anziché lavorare in modo da tutelare la minore dalla conflittualità genitoriale, pare quasi abbia alimentato le contese tra padre e madre, esprimendo opinioni personali, orientate a sostenere maggiormente la paternità piuttosto che entrambe le genitorialità, sbilanciandosi a esprimere un giudizio personale nell’indicare il padre come “il genitore più funzionante, che sta facendo un grosso sforzo per garantire alla bambina un adeguato equilibrio”. Peccato che non collimi con la valutazione psicologica redatta dal Servizio Riabilitazione Età Evolutiva e Psicologia Clinica della Usl Umbria 1 di Marsciano, che descrive nella bimba bassa autostima ed alti livelli di ansia e difficoltà nelle relazioni sociali».
Da qui la decisione di denunciare l’assistente sociale alla Procura delle Repubblica di Perugia: nel frattempo l’avvocato Miraglia ha presentato ricorso per la reintegra della responsabilità genitoriale a questa mamma.

Coppia finita tra le maglie del sistema "Bibbiano"

Il giudice ha ravvisato la necessità di una valutazione attenta dei genitori e del contesto familiare, mettendo quindi in discussione la relazione degli assistenti sociali, arrestati nell’operazione “Angeli e demoni”

Avvocato Miraglia: «Si apre la speranza per tutti gli altri casi riconducibili alla medesima inchiesta di Bibbiano»
BIBBIANO (14 Marzo 2020). Vittime del presunto “sistema Bibbiano”, una coppia di giovani genitori sta lottando per riavere con sé la propria bambina: era stata loro strappata e dichiarata adottabile sulla base dalla relazione presentata dall’assistente sociale Francesco Monopoli e dalla dirigente dei Servizi sociali dell’Unione val d’Enza, Federica Anghinolfi, agli arresti domiciliari perché coinvolti e ritenuti, anzi, figure chiave nell’inchiesta denominata “Angeli e Demoni” avviata dalla procura della Repubblica al Tribunale di Reggio Emilia sui presunti affidi illeciti. La coppia si era rivolta all’avvocato Francesco Miraglia, che aveva presentato istanza alla Corte d’Appello di Bologna.
«La Corte ha accolto le nostre istanze» dichiara l’avvocato Miraglia, «ordinando una Consulenza tecnica d’Ufficio che valuti la coppia, le personalità e capacità genitoriali di entrambi e se il contesto familiare sia potenzialmente idoneo ad accogliere la bambina».
La giovane coppia aveva avuto in passato problemi di tossicodipendenza, ma al momento della nascita della loro figlioletta, nel 2016, aveva cambiato vita: la mamma aveva seguito un percorso psicologico e sociale, il padre, totalmente disintossicato da anni, lavora stabilmente. Attorno alla coppia c’è una solida rete familiare: invece la piccola è stata loro strappata e dichiarata adottabile. All’udienza lo scorso 27 febbraio l’avvocato che rappresentava il tutore, e quindi il Comune di Bibbiano, ha rivelato come la decisione sia stata motivata dal fatto che la bimba fosse nata con dei seri problemi di salute, che i genitori non sarebbero stati in grado di affrontare.
«Questo significa che a tutte le coppie cui nasce un figlio con dei problemi di salute, debba venire loro tolto?» prosegue l’avvocato Miraglia. «Ma che nuovo principio si vuole affermare? Finalmente, invece, questa decisione della Corte d’Appello apre uno spiraglio di luce e riaccende la speranza per le tante famiglie incappate in questi Servizi sociali. Non so se esiste un “sistema Bibbiano”, però sicuramente questo è un caso che rappresenta bene il disegno criminale che è stato posto all’attenzione della Procura di Reggio Emilia».
 

Bimbo seguito dai servizi sociali giace in coma e semiparalizzato per incuria

Un’infezione non curata dal padre, cui era affidato, l’ha portato quasi allo stato vegetativo
L’avvocato Miraglia: «Tutti sapevano, giudice in primis, che veniva trascurato, ma nessuno ha mosso un dito»

MONZA (12 Febbraio 2020). Si trova in coma, all’ospedale di Bergamo, il corpo semiparalizzato, nessuna capacità di esprimersi se non con dei versi. I medici non sanno nemmeno se riprenderà mai a parlare e a camminare e se riporterà danni neurologici permanenti. Ha solo quattro anni, il giudice lo ha tolto alla madre perché “lo curava troppo”, affidandolo a un padre che non se ne è mai occupato. Lo ha lasciato sporco e malnutrito per mesi e nei giorni scorsi, pur avendo il piccolo 40 di febbre e la madre, disperata, lo scongiurasse di portarlo dal medico, non se ne è curato affatto. Il bambino è ricoverato adesso in condizioni disperate. «Quanto ha sofferto questo povero bambino?» sottolinea l’avvocato Francesco Miraglia, che difende la mamma «e quanto forse soffrirà ancora, prima che qualcuno finalmente intervenga? Era da mesi che segnalavamo lo stato di pericolo in cui si trovava. Da mesi la nostra consulente di parte, la dottoressa Vincenza Palmieri, sosteneva che il bambino corresse dei rischi per il suo sviluppo e la sua salute, a causa dell’incuria e della decisione assurda, assunta dal giudice, di allontanarlo dalla mamma per affidarlo al padre che vive in un paesino di montagna del Bergamasco, abitato da nemmeno 300 anime, tre bambini appena, la scuola più vicina a venti chilometri». Tanto si è disinteressato il padre di lui che non vivrebbero nemmeno insieme, ma lo avrebbe affidato alla sorella. L’ultima richiesta di intervento da parte della mamma risale a pochi giorni fa, dopo che il tribunale di Monza aveva lasciata inascoltata l’istanza urgente presentata ad ottobre. Con numerose prove fotografiche era stato chiesto nuovamente al giudice di riaffidare il bimbo alla madre: il piccolo versava in uno stato di incuria e malnutrizione da fare pena al cuore. Da quanto era sporco aveva le croste sul collo e aveva sviluppato delle infezioni da funghi alle mani e ai piedini; un vistoso eritema ai glutei era dovuto invece all’assenza di igiene e di pulizia della biancheria che indossava. Il bambino continuava, poi, a perdere peso per la malnutrizione. Qualche giorno fa la mamma si era accorta che aveva la febbre a 40 e aveva chiesto al padre – unico deputato dal tribunale ad occuparsi della salute del bambino – di portarlo dal medico, ma lui non le aveva nemmeno risposto. Adesso un innocente bambino di quattro anni giace in un letto d’ospedale privo della capacità di parlare e di muoversi, con una possibile lesione al cervello che potrebbe lasciargli pesanti strascichi permanenti. «Il giudice sapeva e lo riteniamo responsabile» prosegue l’avvocato Miraglia. «Sapeva dell’incuria, della malnutrizione, della sporcizia, di quelli che sono dei veri e propri maltrattamenti. Sapeva tutto e non ha mosso un dito per questo bambino.  La consulente del tribunale che aveva relazionato sul cambio di collocamento del bambino è molto vicina ad una associazione onlus che addirittura viene presentata come ausiliaria del Giudice. Abbiamo già denunciato la consulente tecnica del tribunale, ma è evidente che i rapporti tra queste figure debbano essere indagati con urgenza, per il bene dei bambini che, è sotto gli occhi di tutti con questa tristissima vicenda, non è certamente la priorità per la quale tutti costoro operano».
A questo punto occorre che chi di dovere intervenga a fare chiarezza su quanto succede nel Tribunale di Monza.

Bergamo:condannato per maltrattamenti un uomo al quale il Tribunale le AVEVA AFFIDATO IL FIGLIO

      L’avvocato Miraglia: «Ma il tribunale con quali criteri gestisce gli affidi?»

BERGAMO (10 dicembre 2019). E’ stato condannato a un anno e quattro mesi di reclusione l’uomo di Bergamo al quale il tribunale aveva affidato il figlioletto, nonostante il piccino fosse terrorizzato dai sui sfoghi violenti e la madre, considerata “psichiatrica”, sia invece del tutto sana. Il tribunale di Bergamo lunedì ha condannato l’uomo per maltrattamenti in famiglia, comprovati da testimonianze e da prove schiaccianti. In numerose occasioni, anche davanti al bambino, aveva inveito violentemente contro la donna, invitandola persino ad ammazzarsi lanciandosi dal balcone, sbattendo con i pugni contro porte e muri, infrangendo gli oggetti in casa. Eppure, nonostante già si sapesse che le accuse erano queste, nella causa di separazione tra i genitori il tribunale ha affidato il piccolo al padre, lasciandolo a lui anche dopo un gravissimo episodio avvenuto esattamente un anno fa: le urla strazianti del piccolo che chiedeva di smettere e le grida minacciose del padre erano state segnalate dai vicini alle forze dell’ordine. Quanto alla madre, per le assistenti sociali non sarebbe adeguata al ruolo di genitore e per il tecnico che ha svolto la perizia per il tribunale sarebbe addirittura affetta dalla Sindrome di Münchhausen per Procura, una patologia che rappresenterebbe una forma di maltrattamento per il figlio in quanto, allo scopo di attirare l’attenzione su di sé e godere del supporto dei medici, sarebbe portata simulare o esagerare i sintomi di una malattia fisica o psicologica nel figlio che, ad un esame accurato, appare inesistente. Diagnosi smentita da successive perizie.
E per di più, il bambino continua ad avere problemi di salute, segno che la madre non è “malata”, ma solo un genitore attento e preoccupato della salute del proprio bambino.
«Ma il tribunale a  Bergamo con quali criteri gestisce gli affidi?» dichiara l’avvocato Francesco Miraglia, che tutela la mamma del piccolo. «Affida un bambino a un padre violento, mentre la madre può vederlo solo una volta alla settimana per un’ora, nel corso di incontri protetti. In questo caso se l’assistente sociale ha gestito e stabilito tutto e il consulente tecnico ha emanato già da solo e in anticipo la sentenza, il tribunale che ci sta a fare? Alla luce della condanna del padre, temiamo per l’incolumità del bambino e chiediamo di rivedere il procedimento di affidamento e di disporre l’immediato collocamento del minore presso la madre».