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Bimbo seguito dai servizi sociali giace in coma e semiparalizzato per incuria

Un’infezione non curata dal padre, cui era affidato, l’ha portato quasi allo stato vegetativo
L’avvocato Miraglia: «Tutti sapevano, giudice in primis, che veniva trascurato, ma nessuno ha mosso un dito»

MONZA (12 Febbraio 2020). Si trova in coma, all’ospedale di Bergamo, il corpo semiparalizzato, nessuna capacità di esprimersi se non con dei versi. I medici non sanno nemmeno se riprenderà mai a parlare e a camminare e se riporterà danni neurologici permanenti. Ha solo quattro anni, il giudice lo ha tolto alla madre perché “lo curava troppo”, affidandolo a un padre che non se ne è mai occupato. Lo ha lasciato sporco e malnutrito per mesi e nei giorni scorsi, pur avendo il piccolo 40 di febbre e la madre, disperata, lo scongiurasse di portarlo dal medico, non se ne è curato affatto. Il bambino è ricoverato adesso in condizioni disperate. «Quanto ha sofferto questo povero bambino?» sottolinea l’avvocato Francesco Miraglia, che difende la mamma «e quanto forse soffrirà ancora, prima che qualcuno finalmente intervenga? Era da mesi che segnalavamo lo stato di pericolo in cui si trovava. Da mesi la nostra consulente di parte, la dottoressa Vincenza Palmieri, sosteneva che il bambino corresse dei rischi per il suo sviluppo e la sua salute, a causa dell’incuria e della decisione assurda, assunta dal giudice, di allontanarlo dalla mamma per affidarlo al padre che vive in un paesino di montagna del Bergamasco, abitato da nemmeno 300 anime, tre bambini appena, la scuola più vicina a venti chilometri». Tanto si è disinteressato il padre di lui che non vivrebbero nemmeno insieme, ma lo avrebbe affidato alla sorella. L’ultima richiesta di intervento da parte della mamma risale a pochi giorni fa, dopo che il tribunale di Monza aveva lasciata inascoltata l’istanza urgente presentata ad ottobre. Con numerose prove fotografiche era stato chiesto nuovamente al giudice di riaffidare il bimbo alla madre: il piccolo versava in uno stato di incuria e malnutrizione da fare pena al cuore. Da quanto era sporco aveva le croste sul collo e aveva sviluppato delle infezioni da funghi alle mani e ai piedini; un vistoso eritema ai glutei era dovuto invece all’assenza di igiene e di pulizia della biancheria che indossava. Il bambino continuava, poi, a perdere peso per la malnutrizione. Qualche giorno fa la mamma si era accorta che aveva la febbre a 40 e aveva chiesto al padre – unico deputato dal tribunale ad occuparsi della salute del bambino – di portarlo dal medico, ma lui non le aveva nemmeno risposto. Adesso un innocente bambino di quattro anni giace in un letto d’ospedale privo della capacità di parlare e di muoversi, con una possibile lesione al cervello che potrebbe lasciargli pesanti strascichi permanenti. «Il giudice sapeva e lo riteniamo responsabile» prosegue l’avvocato Miraglia. «Sapeva dell’incuria, della malnutrizione, della sporcizia, di quelli che sono dei veri e propri maltrattamenti. Sapeva tutto e non ha mosso un dito per questo bambino.  La consulente del tribunale che aveva relazionato sul cambio di collocamento del bambino è molto vicina ad una associazione onlus che addirittura viene presentata come ausiliaria del Giudice. Abbiamo già denunciato la consulente tecnica del tribunale, ma è evidente che i rapporti tra queste figure debbano essere indagati con urgenza, per il bene dei bambini che, è sotto gli occhi di tutti con questa tristissima vicenda, non è certamente la priorità per la quale tutti costoro operano».
A questo punto occorre che chi di dovere intervenga a fare chiarezza su quanto succede nel Tribunale di Monza.

Bergamo:condannato per maltrattamenti un uomo al quale il Tribunale le AVEVA AFFIDATO IL FIGLIO

      L’avvocato Miraglia: «Ma il tribunale con quali criteri gestisce gli affidi?»

BERGAMO (10 dicembre 2019). E’ stato condannato a un anno e quattro mesi di reclusione l’uomo di Bergamo al quale il tribunale aveva affidato il figlioletto, nonostante il piccino fosse terrorizzato dai sui sfoghi violenti e la madre, considerata “psichiatrica”, sia invece del tutto sana. Il tribunale di Bergamo lunedì ha condannato l’uomo per maltrattamenti in famiglia, comprovati da testimonianze e da prove schiaccianti. In numerose occasioni, anche davanti al bambino, aveva inveito violentemente contro la donna, invitandola persino ad ammazzarsi lanciandosi dal balcone, sbattendo con i pugni contro porte e muri, infrangendo gli oggetti in casa. Eppure, nonostante già si sapesse che le accuse erano queste, nella causa di separazione tra i genitori il tribunale ha affidato il piccolo al padre, lasciandolo a lui anche dopo un gravissimo episodio avvenuto esattamente un anno fa: le urla strazianti del piccolo che chiedeva di smettere e le grida minacciose del padre erano state segnalate dai vicini alle forze dell’ordine. Quanto alla madre, per le assistenti sociali non sarebbe adeguata al ruolo di genitore e per il tecnico che ha svolto la perizia per il tribunale sarebbe addirittura affetta dalla Sindrome di Münchhausen per Procura, una patologia che rappresenterebbe una forma di maltrattamento per il figlio in quanto, allo scopo di attirare l’attenzione su di sé e godere del supporto dei medici, sarebbe portata simulare o esagerare i sintomi di una malattia fisica o psicologica nel figlio che, ad un esame accurato, appare inesistente. Diagnosi smentita da successive perizie.
E per di più, il bambino continua ad avere problemi di salute, segno che la madre non è “malata”, ma solo un genitore attento e preoccupato della salute del proprio bambino.
«Ma il tribunale a  Bergamo con quali criteri gestisce gli affidi?» dichiara l’avvocato Francesco Miraglia, che tutela la mamma del piccolo. «Affida un bambino a un padre violento, mentre la madre può vederlo solo una volta alla settimana per un’ora, nel corso di incontri protetti. In questo caso se l’assistente sociale ha gestito e stabilito tutto e il consulente tecnico ha emanato già da solo e in anticipo la sentenza, il tribunale che ci sta a fare? Alla luce della condanna del padre, temiamo per l’incolumità del bambino e chiediamo di rivedere il procedimento di affidamento e di disporre l’immediato collocamento del minore presso la madre».

Denunciato l’assessore veronesi Stefano Bertacco. Con lui anche cinque operatori dei Servizi sociali

DENUNCIATO L’ASSESSORE VERONESE STEFANO BERTACCO. Con lui anche cinque operatori dei Servizi sociali

VERONA (22 Novembre 2019). Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, interesse privato in atti di ufficio e abuso d’ufficio: questi i reati per i quali a vario titolo, sono stati denunciati l’assessore ai Servizi sociali di Verona, Stefano Bertacco, e cinque operatori compreso il responsabile del servizio. A sporgere la denuncia è stata una donna veronese, da quindici mesi “parcheggiata” in una comunità di Marghera, a Venezia, con i suoi tre figli minori, senza un progetto di sostegno, confinati in quattro in un’unica stanza fatiscente. Lontana dalla sua città, dalla sua casa, dalla propria cerchia parentale e soprattutto dalla figlia maggiore, alloggiata in una comunità diversa dalla madre e dai fratelli. E’ stata proprio la vicenda terribile vissuta da questa ragazzina a innescare, suo malgrado, questa vicenda, che i Servizi sociali di Verona hanno gestito in maniera assurda, rifiutandosi di prendere in carico questa famiglia con un progetto che li sostenesse e aiutasse veramente e soprattutto ignorando ripetutamente i provvedimenti emessi dal tribunale di Verona. La donna si era rivolta ai Servizi sociali per un aiuto, all’indomani della condanna dell’ex marito per aver abusato della figlia maggiore.
«I Servizi sociali del Comune di Verona hanno però agito violando precisi obblighi impartiti dal Tribunale per i minorenni di Verona dalla fine del 2017 ad oggi» spiega l’avvocato Francesco Miraglia, che tutela la donna e i suoi bambini, «confinando letteralmente la signora e i suoi figli in una struttura fatiscente per quindici mesi, senza neppure averli concretamente presi in carico con azioni di sostegno, mantenendoli per di più lontani da casa a spese dei contribuenti. E per questo chiederò che la Corte dei Conti verifichi questo spreco immotivato di denaro pubblico. Oltre a lasciare questa famiglia senza un sostegno e un progetto concreto e a non ottemperare alle reiterate disposizioni del tribunale, i Servizi sociali hanno ripetutamente tentato di togliere i bambini alla loro madre per affidarli a famiglie esterne. Comportamenti così ricordano le recenti vicende di Bibbiano: certo, non sarà il medesimo sistema, però nemmeno il comportamento dei Servizi sociali di Verona brilla per correttezza e va indagato a fondo. Per lo meno per capire intanto come la mia assistita possa stare da oltre un anno come fosse incarcerata, confinata con tutte le sue cose in una stanza con i suoi tre bambini, senza che nessuno si prenda cura di loro e senza sapere quale potrà essere il suo futuro, quando potrà rivedere la figlia maggiore, quando potrà tornare a casa propria e alla sua vita di sempre». Ecco perché sono stati denunciati il dirigente dei Servizi sociali, due psicologhe, un’assistente sociale e la responsabile della comunità. Con loro anche l’assessore Bertacco. «Il quale aveva pubblicamente plaudito l’operato dei Servizi sociali comunali, scaricando però su di loro ogni responsabilità della gestione della vicenda allorché gli richiesi un intervento risolutivo diretto. Come se il benessere dei concittadini non fosse materia di cui debba occuparsi un assessore ai Servizi sociali» conclude l’avvocato Miraglia.

Sistema Bibbiano anche nel Torinese?

L’avvocato Miraglia segnala alla Procura tre affidamenti che risulterebbero vere e proprie “adozioni mascherate”
TORINO. (31 ottobre 2019). Siccome tre indizi fanno una prova, come si suol dire, è molto probabile che anche nel Torinese sia in atto da tempo un sistema sul modello di Bibbiano, in cui i bambini vengono allontanati dai genitori con dei pretesti futili e affidati a persone che fanno parte sempre della medesima cerchia di operatori sociali. Con lo strano comportamento proprio di questi genitori affidatari volontari, che chiederebbero personalmente al giudice del Tribunale dei minori, pagando gli avvocati di tasca propria, di non far rientrare i bambini in seno alle loro famiglie, in quanto i genitori risultano inaffidabili e i bambini avrebbero  persino paura di incontrarli: che interesse hanno per attivarsi così in prima persona? Un sistema dove il deus ex machina sarebbe un’unica persona, che ricoprirebbe – neanche fosse una e trina – a volte il ruolo di Giudice Onorario del Tribunale dei Minorenni e della Corte d’Appello, altre quello di assistente sociale, altre ancora di referente del Cismai – Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia – e membro dell’equipe formativa di una cooperativa che si occupa di interventi socio assistenziali e socio educativi. Con un gravissimo conflitto, di interesse che pregiudicherebbe la serenità e l’obiettività delle decisioni assunte in merito ai provvedimenti di allontanamento di questi bambini. «Sembrano adozioni mascherate bell’e buone» dichiara l’avvocato Francesco Miraglia, che sta seguendo le vicende in tutto analoghe di ben tre famiglie diverse, finite nel gorgo di questi affidamenti per delle conflittualità sorte tra i coniugi in sede di separazione, senza che si siano mai riscontrati segni di abusi, maltrattamenti, violenze o incuria verso i figli.  «I bambini sono stati allontanati dai genitori in conflitto tra loro per cause di separazione, che non pregiudicavano il loro benessere: ma anziché avviare un percorso di accompagnamento familiare, questi bambini sono stati allontanati da casa e affidati a operatori, addirittura dividendo e separando i fratelli tra loro, come a volerli isolare, riprogrammare, cancellando loro la memoria della famiglia di origine, spezzando i legami persino con i fratelli. In modo quasi che abbiano l’operatore cui sono affidati come unico ed esclusivo punto di riferimento al quale, giocoforza, i bambini prima o poi si affezionano. In tempi non sospetti ci siamo rivolti all’assessore, senza ottenere risposta: ma com’è possibile che tanti casi siano tutti uguali, con le medesime dinamiche? E già tre anni orsono, nel Marzo 2016, la consigliera comunale del M5S, Giuseppina Codognotto, segnalò un giudice onorario del Tribunale dei Minorenni di Torino al Consiglio superiore della magistratura, a causa di presunte incompatibilità di carica e conflitto di interesse con la Corte di Appello. Ho presentato quindi nei giorni scorsi un esposto alla Procura, affinché faccia chiarezza sulle vicende e sui rapporti tra i protagonisti. Qui di sicuro non si fa il bene di questi bambini».

Inchiesta “Angeli e demoni”: bisogna verificare i casi giacenti in Corte d’Appello. Avvocato Miraglia: «L’inchiesta non può limitarsi ai fascicoli giacenti al Tribunale dei Minorenni di Bologna»

BIBBIANO (30 Ottobre 2019). In queste ore si sta cercando di minimizzare l’inchiesta “Angeli e demoni” sugli affidamenti di minori nella zona di Bibbiano in Val d’Enza (Reggio Emilia): su 100 segnalazioni dei Servizi sociali al Tribunale per i Minorenni negli ultimi due anni, in 85 casi il tribunale aveva stabilito di lasciare i bambini in famiglia e solo in 15 casi i giudici avevano deciso per l’allontanamento. Di questi, solo in sette casi i genitori hanno presentato ricorso contro le sentenze di allontanamento, tutti successivamente respinti dalla sezione minori della Corte d’Appello.
«E chi ha accertato questi dati?» dichiara l’avvocato Francesco Miraglia, che segue molti casi di allontanamento in Val d’Enza. «Ma soprattutto dalla verifica mancano tutti i casi, compresi molti di quelli che sto seguendo personalmente, che non giacciono al Tribunale dei Minorenni di Bologna, ma che sono già stati trasmessi alla Corte d’Appello. Casi che si riconducono al medesimo “sistema Bibbiano”, che devono essere presi in esame proprio come gli altri. Invito pertanto la Corte d’Appello di Bologna a prenderli tutti in esame e a fare chiarezza anche su di loro».
Tra questi c’è il caso di una giovane coppia che, in effetti, aveva avuto in passato problemi di tossicodipendenza, ma al momento della nascita della loro figlioletta nel 2016 avevano svoltato vita: la mamma ha seguito un percorso, anche psicologico e insieme ai Servizi sociali, mentre il padre si è totalmente disintossicato da anni e ha trovato adesso un lavoro stabile. Attorno alla coppia c’è tutta una rete familiare disposta ad aiutare la coppia e la loro figlioletta. Invece la piccola è stata loro strappata e dichiarata adottabile. «Il collocamento extrafamiliare del minore» prosegue l’avvocato Miraglia, «deve essere inteso quale extrema ratio qualora si trovi in stato di assoluta carenza di assistenza morale e materiale e di indisponibilità di parenti fino al quarto grado. Non è il caso dei miei assistiti, che oltre ad aver ripreso in mano la loro vita, hanno una rete parentale solida e unita. Ma i miglioramenti e l’impegno della madre non sono stati minimamente presi in considerazione dal Servizio sociale, che ha definito i genitori del tutto incapaci di svolgere il proprio ruolo. E guarda caso ad occuparsi di questa bambina sono stati l’assistente sociale Francesco Monopoli e la dottoressa Federica Anghinolfi, agli arresti domiciliari perché coinvolti nell’inchiesta denominata “Angeli e Demoni” dalla procura della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Emilia, e definiti i veri e propri “deus ex machina” delle modalità di verifica di presunti abusi pregiudizi sui minori, con l’unico scopo di allontanarli dalla famiglia di origine. Ecco perché abbiamo presentato istanza alla Corte d’Appello di Bologna per anticipare l’udienza e riprendere i contatti tra la bambina e genitori e perché chiediamo alla medesima Corte di prendere in esami tutti i casi in giacenza».

 

 

 

La sorellina affidata ai nonni, il fratellino per Tribunale per i Minorenni di Venezia deve andare in adozione  

VENEZIA (5 Ottobre 2019). Una giovane madre che cerca di rimettersi in carreggiata dopo alcuni errori commessi in gioventù. La donna va aiutata ed è giusto che i suoi bambini, nel loro interesse, vengano affidati a chi possa occuparsi di loro in maniera adeguata. Nulla da eccepire. Però perché la figlia maggiore può stare con i nonni materni, mentre il figlioletto più piccolo è stato dato in affidamento ad estranei e ora addirittura dichiarato adottabile? Sulla base di una consulenza redatta da un perito che invita addirittura a troncare i rapporti del piccolo con la famiglia di origine, quasi a volergli “resettare” la memoria, cancellandone l’identità. Perché? «Ce lo domandiamo pure noi e infatti con i genitori, i nonni materni e paterni e le zie siamo ricorsi alla Corte d’Appello di Venezia» spiega l’avvocato Francesco Miraglia, cui l’intero nucleo familiare si è rivolto, per contrastare la decisione assunta dal Tribunale dei minorenni veneziano. «Perché nonostante il bambino abbia una vasta e affidabile famiglia, viene affidato ad estranei che, pare, ricevano mille euro al mese per prendersene cura? I provvedimenti dei Tribunali dei minorenni devono tenere in considerazione il benessere dei bambini, salvaguardando per quanto possibile i loro rapporti con la famiglia di origine, affidandoli in primis ai parenti. E questo bambino ha nonni sia materni che paterni e zie amorevoli cui poteva venire affidato. A maggior ragione per il fatto che già la sorella maggiore vive con i nonni  materni , che lui stesso frequenta e con i quali ha istaurato un ottimo e affettuoso rapporto. A tal punto che la famiglia affidataria quando è andata in vacanza lo ha lasciato ai nonni. Perché allora devono essere buoni per una nipotina e per l’altro no? Ma ancora più insensato è il suggerimento del consulente tecnico della Corte di appello, noto professionista padovanoc,  secondo il quale il bambino deve essere dato in  adozione, addirittura tagliando totalmente i ponti con la famiglia, invece di garantirgli un supporto nell’ottica di farlo rientrare poi in senso al proprio nucleo familiare. A parte l’assurdità del provvedimento suggerito dal consulente, ci domandiamo perché dei nonni possano essere buoni per allevare una nipotina e non il suo fratellino, togliendo a quest’ultimo il diritto di vivere nella propria famiglia, come previsto, peraltro, dalla legge».

Brescia: la piccola Angela può rimanere con la mamma

La bimba era stata affidata al padre  in nome della presunta Sindrome da alienazione genitoriale. Avvocato Miraglia: “Sentenza che farà giurisprudenza”
BRESCIA (5 Ottobre 2019). Per lei si erano mossi comitati e pagine social, il suo caso la scorsa primavera aveva fatto scalpore e indignato tutta Italia: la piccola Angela, una ragazzina bresciana di dieci anni, in seguito alla separazione conflittuale tra i genitori era stata allontanata dalla mamma e affidata a un padre, la cui condotta aveva non pochi lati oscuri, in nome di una presunta sindrome non acclarata dalla comunità scientifica, la controversa PAS (Sindrome da Alienazione Parentale), secondo la quale uno dei genitori compromette il rapporto dei figli con l’altro, parlandone male, tracciandone un pessimo ritratto. Sulla base di questa presunta sindrome questa bambina è stata costretta a soffrire per la mancanza della mamma e per la costrizione a frequentare un padre che proprio non voleva vedere. Il tribunale di Brescia non si era limitato soltanto ad etichettare la madre come “alienante” della figura paterna, ma aveva vietato persino che mamma e figlia si parlassero e abbracciassero, sebbene si vedessero tutti i giorni all’interno della scuola che entrambe, per studio e per lavoro, frequentano. E tutto questo nonostante i Servizi sociali fossero concordi nel ritenere la signora una mamma attenta e amorevole: il tribunale di Brescia, però, aveva dato credito a un perito di dubbie capacità, già vent’anni fa oggetto di un’interpellanza al Senato per il suo operato alquanto dubbio. «Una sentenza se non storica, per lo meno importante quella assunta dalla Corte di Appello di Brescia, perché mette da parte sindromi e presunte malattie, ponendo al centro esclusivamente il benessere del minore» dichiara l’avvocato Miraglia, che aveva messo in luce questo controverso caso. La Corte infatti sentenziando il ritorno della piccola Angela con la madre ha enunciato che «per la minore parlano le relazioni dei Servizi sociali, che danno prova di una vera sofferenza della stessa, che va indagata e non classificata»: per la prima volta, quindi, viene tenuta in considerazione la sofferenza dei bambini nell’essere strappati di punto in bianco dai loro genitori. «La Corte d’Appello ha avallato principi fondamentali che potranno essere tenuti in considerazione per future sentenze» prosegue l’avvocato Miraglia. «Siamo pertanto molto soddisfatti e invitiamo i tribunali a guardarsi bene da consulenti che pur di sostenere un’associazione o una teoria, causano soltanto danni ai bambini. I bimbi vanno invece aiutati! Questa sentenza non favorisce un genitore a discapito dell’altro, ma pone al centro della decisione esclusivamente il benessere del minore. Il punto focale della decisione è, come deve essere, solamente il bambino».

Due genitori chiedono aiuto al servizio. Il servizio sociale di Modena la trattiene e non vuole restituirla alla famiglia

MODENA (18 Settembre 2019). Di chi è la colpa? A chi dobbiamo rivolgerci per capire chi ha sbagliato in questa storia? Possibile che per evitare l’espatrio momentaneo di una bimba, figlia di genitori separati, questa venga affidata a una coppia di estranei e il Servizio sociale, dopo quasi un anno, non la faccia rientrare a casa propria? «Ma adesso i Servizi sociali si mettono a portare via i bambini?» tuona l’avvocato Francesco Miraglia. «E per cosa, poi? Per affidarli ad assistenti sociali amici della referente che segue il suo caso? Fosse davvero cosi, come ci hanno riferito, sarebbe un fatto gravissimo».
La piccola ha sette anni ed è nata dalla relazione, poi naufragata, tra un uomo italiano e una donna straniera. I genitori dapprima vivono una separazione alquanto travagliata e conflittuale, per poi riappacificarsi per la tutela della bambina. Nel frattempo, però, la donna manifesta la necessità di tornare al Paese natale per accudire la madre malata: decisione cui il padre della piccola si oppone, temendo la scomparsa della figlioletta. Vengono coinvolti i Servizi sociali di Modena, i quali si rendono disponibili a collocare la bambina, per dieci giorni, ad una coppia.
La madre poco tempo dopo ritorna e i genitori richiedono all’assistente sociale di riavere la figlia con sé, ma, incredibilmente, il servizio sociale risponde ai genitori che oramai la bambina si è ambientata in questa nuova famiglia e che è meglio che rimanga lì.
Ancora più incredibile è quanto risponde il servizio sociale all’Avvocato Miraglia, il quale richiedeva, a fine agosto/inizi settembre, le motivazioni specifiche per cui la bambina veniva trattenuta e soprattutto quale fosse il provvedimento dell’Autorità giudiziaria che disponeva il collocamento della minore in questa famiglia affidataria.
A tal proposito, soprattutto il papà della bambina, attende di sapere se corrisponde al vero che gli affidatari, a diverso titolo, siano dipendenti dello stesso servizio sociale.
Senza dubbio, se fosse vero, per l’ennesima volta non si può che denunciare il mercato sulla pelle dei bambini.
In data 9 settembre il servizio sociale di Modena, tuttavia, oltre a sostenere che oramai la bambina aveva dei punti di riferimento nei genitori affidatari, aveva fatto richiesta al Tribunale per i minorenni di valutare le capacità genitoriali.
Prosegue l’avvocato Miraglia. «Le motivazioni? Non le comprendiamo e non le comprende nemmeno il Tribunale stesso, a dire il vero, visto che per avere il quadro della situazione più chiaro servirebbe una consulenza tecnica. Il Servizio si sarebbe rifatto al decreto del giugno 2018 che prevedeva l’eventualità di un affidamento etero familiare qualora ce ne fosse stata la necessità e non certo perché a dicembre del 2018 i genitori, temporaneamente per 10 giorni, chiedevano la disponibilità del servizio. Ma fino ad ora questa bambina dov’è rimasta? Con una coppia che, a quanto ci avrebbero riferito, sarebbe composta da due operatori sociali, colleghi dell’assistente sociale che si occupa del suo caso. Sarà vero? Magari lo sapessimo: le mie lettere indirizzate ai Servizi sociali di Modena non hanno avuto, finora, la benché minima risposta. Ma dico io: si tratta così una bambina? La si strappa da casa e non la si fa rientrare più senza motivo? Ma si rapiscono così i bambini da casa propria? Chiedo al Presidente del tribunale di intervenire direttamente, viste le controverse disposizioni emanate dai giudici del suo tribunale».

"Invece di parlare, uscite a controllare le vostre comunità"

Dura replica dell’avvocato Miraglia agli amministratori del Comune di Verona
VERONA (20 Agosto 2019). «Ma l’assessore Stefano Bertacco ci fa o ci è?». Non gliele manda a dire stavolta l’avvocato Francesco Miraglia, che dal Comune di Verona si è sentito replicare che sta sollevando i casi di mala gestione degli affidi e delle comunità di accoglienza solo per farsi pubblicità, strumentalizzando a suo vantaggio difficili situazioni dei minori. «A  parte che sono anni che scendo in campo in prima persona proprio sollevando i casi ambigui o clamorosamente finti di affidi facili e adozioni mascherate, sempre e solo per il benessere dei bambini, oltre che per tutelare i loro genitori» prosegue l’avvocato Miraglia.  «Di certo non ho bisogno di pubblicità ed eticamente mai lo farei sulla pelle dei bambini. Detto questo, come si fa a scaricare sul Banco alimentare  la responsabilità del cibo avariato nella comunità “Mamma Bambino” a Verona, asserendo  poi che il cibo si possa tranquillamente consumare dopo 40 giorni dalla data di scadenza? Mi pare  che dal febbraio 2019 (data di scadenza di una confezione di sugo di pomodoro) siano ben passati questi 40 giorni! E come mai, se va tutto bene, ieri si sono presentati quattro ispettori a prelevare uno scatolone e mezzo di merce scaduta? Pare ci fosse anche la Guardia di Finanza fino a metà pomeriggio. E alla consigliera Maria Fiore Adami, che mi accusa di “uscire dal buio per un minuto di gloria” vorrei dire di uscire lei ogni tanto da Palazzo Barbieri e di andare a controllare le comunità dove il Comune di Verona spedisce i cittadini, visto che il cibo scade nelle dispense  e che lei immagino manco sappia dove sono parcheggiate le persone, come la madre di 4 figli alloggiata  a Marghera da mesi, ancora in attesa di provvedimenti, di aiuto concreto e di un percorso di reinserimento. Ma lo sa la consigliera Adami, che presiede la Commissione delle Politiche sociali, che questa donna e i suoi figli sono stati praticamente dimenticati e costretti a vivere tutti in una stanza, lontani da casa propria? Ecco, invece di attaccare chi fa emergere la verità, si adoperi per controllare le strutture e risolvere  i casi di competenza della commissione che lei presiede».

Roma: ragazzino spedito in casa famiglia a tempo record, I Servizi sociali conoscevano la  decisione prima che fosse emanata? Il padre vicino all’ex Giunta Alemanno

ROMA (9 Agosto 2019). Il decreto è stato emesso il 5 agosto e un giorno dopo i Servizi sociali del Municipio V di Roma avevano già trovato una casa famiglia in cui alloggiarlo: capita a un bambino romano, che da qualche mese vive in Umbria con la madre, al centro di una separazione dei genitori piuttosto conflittuale. «I Servizi sociali asseriscono che la loro sia stata una scelta scrupolosa, che hanno valutato bene la comunità migliore per lui: ma come hanno fatto in così poco tempo?» domanda l’avvocato Francesco Miraglia, che assiste la madre. «Meno di due giorni di tempo non sono certo sufficienti: o sono davvero così tanto scrupolosi al Municipio V? E perché il tribunale è già pronto ad accusare la madre, con cui il ragazzino di dieci anni sta vivendo, di mancata esecuzione dolosa del provvedimento del giudice se non ottempererà in poche ore al provvedimento, obbligandola a tornare a Roma? Perché tanta fretta? Che pressioni hanno avuto? Mi meraviglio di cotanta celerità dimostrata in questo caso dal Tribunale di Roma,  dove io stesso ho cause pendenti dall’inizio dell’anno per le quali non è stata ancora emessa sentenza». Il padre è un personaggio in vista, vicino all’amministrazione romana dell’ex sindaco Gianni Alemanno. «Non esiste urgenza alcuna per assumere tale provvedimento, dal momento che il ragazzino sta bene con la madre. Diversamente da come sta con il padre, che lui non vuole più vedere e che è stato accusato dall’ex moglie di maltrattamenti». A sentenziare così velocemente è stata la Corte d’Appello, dopo aver rigettato il ricorso presentato dalla donna. «Madre e figlio sono in vacanza, ma le viene intimato di portare subito il figlio in comunità, pronti ad accusarla di mancata esecuzione del provvedimento» prosegue l’avvocato Miraglia, «ma non è lei la “cattiva”, non è lei che il ragazzino non vuole più vedere, non è lei che lo maltratta. Qualcuno, infatti, oltre a scagliarsi contro questa donna che si è allontanata da Roma proprio per garantire la serenità al figlio, si è chiesto come sia questo padre prima di strappare il bambino alla madre e di affidarlo con tanta velocità a una comunità? Per favorire la posizione del padre sono disposti a rendere infelice, allontanandolo da casa, un bambino di dieci anni? Tra l’altro il bambino sta bene, in sostanza è in vacanza, non certo in pericolo di vita!». Non essendoci quindi tutta questa urgenza, l’avvocato Miraglia ha chiesto del tempo prima che venga reso esecutivo il provvedimento e che il ragazzino venga portato in casa famiglia, così da prepararlo bene a questo cambiamento che sconvolgerà la sua vita: ma ha ottenuto soltanto un secco e ostinato diniego. «Un dispetto crudele sulla pelle di un povero bambino innocente» conclude l’avvocato Miraglia.