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Riconosce una figlia avuta con una donna romena, il Tribunale per i minori gliela toglie.

Sentenza annullata dalla Corte d’Appello: il Tribunale dei Minori non aveva nemmeno titolo per intervenire
  
MODENA. Una bimba allontanata da casa senza motivo. Una coppia di genitori che ha vissuto due anni di angosce perché il Tribunale dei Minori voleva sottrarle la piccina che vive con loro, senza che vi fosse un maltrattamento, uno stato di indigenza, una qualunque forma di abuso o sofferenza. Soltanto perché la piccola è stata riconosciuta dall’uomo, italiano, in seguito a una relazione avuta in Romania con una donna che non è sua moglie.
L’ha cresciuta per sei anni credendola sua, scoprendo di non essere in realtà il padre naturale solo nel momento in cui il Tribunale dei Minori, all’interno del pretestuoso provvedimento di allontanamento della piccola da casa richiesto dai Servizi sociali, ha chiesto l’esecuzione del test di paternità. L’uomo però non vuole abbandonare la piccina, cresciuta con lui e con la moglie come se fosse figlia loro, tanto che la moglie stessa ne ha richiesto l’adozione.
Il fatto più inconcepibile è che questa vicenda il Tribunale dei Minori non avrebbe nemmeno dovuto trattarla, in quanto di competenza del Tribunale Ordinario. Il provvedimento, infatti, è stato annullato dalla Corte di Appello di Bologna. Se il Tribunale dei Minori non avesse mai avviato il procedimento, questa famiglia si sarebbe risparmiata le sofferenze e il continuo stato d’ansia e di tensione per la paura di vedersi strappare la bambina, scioltosi solo al momento dell’annullamento della sentenza.
«Ecco l’ennesimo caso in cui i Servizi sociali intervengono per ideologia, non per reale necessità o tutela del minore e della sua famiglia» dichiara l’avvocato Miraglia del Foro di Modena, legale della coppia che ha cresciuto la piccola. «Mi auguro che almeno chi di dovere chieda quanto meno scusa alla bambina e alla sua famiglia. Per quanto riguarda il Tribunale dei Minori risulta incredibile come dei giudici possano non conoscere le norme, visto che hanno giudicato su materia che appartiene di competenza al Tribunale Ordinario, disponendo addirittura l’allontanamento della bambina.
Spero che il nuovo Presidente, che ha già dimostrato sensibilità e competenza diversa rispetto alla precedente gestione, prenda posizione di fronte ad uno sbaglio così grossolano da parte dei suoi sottoposti».

La vicenda, alquanto ingarbugliata, è un intreccio di affetti sinceri e fredda burocrazia. Inizia con un uomo e la relazione che questo intesse con una donna romena, la quale a un certo punto gli comunica di aspettare una figlia da lui. L’uomo non ci pensa nemmeno a porsi dei dubbi sulla reale paternità della piccina e, quando nasce, la riconosce immediatamente come figlia sua. Visto che la madre non intende occuparsene, la porta con sé in Italia e la cresce con sua moglie proprio come se fosse figlia loro.
Per regolarizzare la posizione della famiglia, la moglie chiede quindi di poterla adottare per diventarne madre a tutti gli effetti, mettendo in moto però una disastrosa reazione a catena, che vede infine i Servizi Sociali chiedere l’allontanamento della piccola e segnalare la vicenda alla Procura e alla Procura dei Minori. Che ci fa questa bimba in casa loro? Da dove l’hanno presa? sono i dubbi che sorgono alle assistenti sociali, sulla base dei quali presentano la segnalazione. Il Tribunale dei Minori prende in esame la questione e acconsente alla richiesta di allontanamento della piccola, disponendo il provvedimento e stabilendo che venga affidata altrove. Stabilisce inoltre che l’uomo si sottoponga al test di paternità. Che a sorpresa dimostra, in realtà, come lui non sia il padre biologico della bimba, ma solo quello legale, in quanto il Tribunale romeno ha accettato nel frattempo il suo riconoscimento di paternità.
«Abbiamo immediatamente presentato ricorso» prosegue l’avvocato Miraglia «e la Corte d’Appello di Bologna ha accolto la nostra tesi difensiva, revocando il provvedimento di allontanamento e riconoscendo pure la non competenza in materia del Tribunale dei Minori. La piccola ora può continuare a vivere serena con quelli che fin dalla nascita ha considerato i suoi genitori, ma mi auguro sinceramente che qualcuno chieda scusa a questa famiglia per i quasi due anni di angoscia che il provvedimento di allontanamento ha fatto vivere loro».
La redazione

Troppo amore per la danza. E la madre rischia l’affidamento della giovane etoile

Giovane promessa ferrarese della danza rischia di interrompere la carriera a causa della decisione del tribunale di Roma
Una giustizia insensibile che arriva al paradosso di danneggiare, più che di favorire, le persone”. È questo il commento dell’avvocato Francesco Miraglia di Modena, riguardo al caso di una 14enne ferrarese che un giudice del tribunale di Roma intende allontanare dalla madre per destinarla a una casa famiglia. Dove le sarebbe impossibile frequentare la scuola di danza Aida di Milano, nella quale è stata ammessa, precludendole così la possibilità di proseguire la sua carriera e di realizzare il suo sogno, ovvero di continuare a ballare a livello professionale. Alla base della decisione del magistrato – cui intende opporsi la madre della ragazza tramite il l’avvocato Miraglia – ci sarebbe il parere espresso dal consulente tecnico d’ufficio, un neuropsichiatra infantile nominato dal tribunale, che vedrebbe nell’amore per la danza manifestato dalla ragazzina un’imposizione materna. La madre, infatti, è titolare di una scuola di danza internazionale. Entro il 31 luglio la madre dovrebbe indicare quindi una struttura che ospiti la figlia, altrimenti d’imperio sarà destinata dal tribunale in una casa famiglia.
“Sentendo invece gli insegnanti della Scuola di danza del Teatro dell’Opera di Roma, dove ha studiato negli ultimi anni – commenta l’avvocato Miraglia – la ragazzina è fortemente motivata da un profondo, personale e autentico amore per la danza, come dimostrerebbero l’abnegazione e la dedizione con cui si sottopone, senza problemi, ai sacrifici necessari per percorrere la carriera di ballerina. Ha altresì una buona vita sociale e di relazione e ottimi voti. Nulla che faccia pensare a un disagio psicologico tale da doverla addirittura allontanare non solo dalla madre, ma anche da quello che è il suo mondo e il suo futuro”.
La vicenda trae origine dal rapporto non facile tra i suoi genitori, che non hanno pressoché mai vissuto insieme: la ragazzina non ha mai abitato con il padre, che si era allontanato da lei e dalla madre quando aveva un anno e mezzo di vita, mantenendo dei rapporti saltuari. Poi l’anno scorso a settembre è rientrato in Italia chiedendo di intessere un rapporto con la figlia ormai preadolescente. La madre aveva acconsentito senza problemi né riserve agli incontri tra i due, finché la figlia non ha iniziato a mostrare insofferenza verso le visite paterne. A dirimere la controversia è stato chiamato il Tribunale il cui giudice – sentendo la giovane – aveva ottenuto da lei come spiegazione quella di un disagio verso alcuni atteggiamenti troppo morbosi di cui sarebbe stata oggetto da parte del padre. Tanto che il giudice stesso, d’ufficio, aveva chiesto alla madre di presentare una denuncia per accertare eventuali reati commessi dal padre: l’incidente probatorio è fissato per il prossimo ottobre.
Nel frattempo la giovane continua a studiare danza a Roma: è brava e ottiene di essere ammessa alla scuola Aida di Milano, anticamera per un eventuale accesso a una prestigiosa carriera. Se non fosse che un giudice, ritenendo la sua passione eccessivamente influenzata e condizionata dalle aspirazioni materne, causate da un presunto rapporto simbiotico con la genitrice, ha deciso di chiederne l’allontanamento.
“Un giudice non può e non deve considerare come oro colato il parere di un consulente tecnico” sostiene l’avvocato Miraglia, “in quanto, nel caso specifico, si evidenzia una situazione contraria e l’assenza, quindi, della necessità di affidare una ragazza di 14 anni ai Servizi sociali e di nominarne persino un tutore, mancando abusi e maltrattamenti e non avendo accertato la presenza di un quadro psicologico compromesso. Una simile decisione pregiudicherà irrimediabilmente la vita di una famiglia e la carriera di una giovane, che ha ben chiaro in mente cosa vuol fare “da grande” e che si è avviata con successo proprio sulla strada che le consenta di conseguire i traguardi agognati e di realizzare i propri sogni. Ci opporremo in ogni modo a questa ingiusta decisione”.
 
 
 

Torna a casa il ragazzo allontanato dalla famiglia per uno schiaffo

Il Tribunale per i minorenni di Trento ha disposto la collocazione presso la famiglia di origine di un minore di Trento di 13 anni che alcuni anni fa era stato allontanato, a dire della famiglia, per uno “schiaffo”.
Probabilmente lo schiaffo ha avviato le procedure di tutela, ma in realtà leggendo il decreto si scopre che le motivazioni dell’allontanamento erano prevalentemente di natura psicologica: “Scarsa consapevolezza del padre circa i bisogni sia emotivi che educativi del figlio che presenta rilevanti aspetti di fragilità relazionale.”
Peccato che quest’anno, proprio dopo il collocamento in comunità, il ragazzo sia stato bocciato! «Sono molto soddisfatto dell’epilogo di questa vicenda, in primo luogo perché, finalmente si comincia a rispettare la volontà del minore attraverso l’ascolto dello stesso. Sono contento anche perché queste decisioni servono a conseguire quella necessità di integrazione tanto sbandierata a destra e a manca. In certe vicende, che riguardano soprattutto cittadini stranieri, come nel caso specifico, bisogna avere maggiore sensibilità nel capire i comportamenti e i modi di fare che sicuramente sono diversi dai nostri, sempre però nel rispetto della legge e dei minori. Mi sento anche di sottolineare la sensibilità del Giudice Onorario che ha ben compreso il desiderio del ragazzo e della sua  famiglia di mettersi in discussione,» ha dichiarato l’avvocato della coppia Francesco Miraglia.
 
Il ragazzo circa un mese fa era scappato dalla comunità di Rovereto ed era tornato in famiglia. In seguito l’assistente sociale del polo di Trento, invece di cercare di capire le motivazioni della sua scelta, l’aveva “convinto” a tornare in comunità. Infatti, il ragazzo riferisce che nel corso dell’udienza presso il tribunale gli avrebbero intimato di tornare in comunità anche se non voleva e che l’avrebbero riportato anche con la forza.
Alla fine ha accettato di tornare in comunità. I genitori riferiscono anche che hanno sentito il bambino piangere durante il colloquio.
Ma solo pochi giorni dopo, il ragazzo si è rifiutato di tornare in comunità ed è rimasto a casa. E ora finalmente il decreto del giudice riconosce la volontà del ragazzo e il suo diritto alla propria famiglia, restituendo ai genitori la responsabilità genitoriale.
Proprio in seguito all’esito positivo della vicenda, mantenendo l’anonimato per proteggere la privacy del figlio, la famiglia ha deciso di rivolgersi alla stampa per informare altre famiglie meno fortunate che il clima è cambiato e che possono far valere i propri diritti. La famiglia sta altresì valutando delle azioni a livello deontologico, legale o risarcitorio nei confronti di chi ha sbagliato, non tanto in uno spirito di rivalsa ma per impedire che drammi simili possano colpire altre famiglie.
Secondo il Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani: «Per iniziare, precisiamo che la maggior parte degli operatori sono professionali ed efficienti, considerata la delicatezza e complessità di queste vicende. Il caso in questione ci mostra come in Trentino sia in atto una riforma positiva in cui molte forze e persone stanno cercando di affrancarsi da certe teorie psichiatriche e psicologiche alla base di molti allontanamenti superficiali o addirittura errati, ma ci sono ancora delle resistenze con alcuni operatori che persistono nei vecchi atteggiamenti e considerazioni. Nel caso di specie, infatti, non c’era nessun abuso sul bambino se non la presunta “incapacità” del padre, e la soluzione adottata oggi poteva essere adottata fin dall’inizio.
Siamo lieti di apprendere che la prima assistente sociale sul caso, che conoscevamo già per altre vicende, sia stata allontanata dall’area minori, tuttavia riteniamo che ci voglia ancora più coraggio nell’ambito della tutela minorile. Non è accettabile che un ragazzo venga fatto piangere dall’assistente sociale, e ci auguriamo di non dover mai più essere messi al corrente di certi accadimenti. Nel frattempo ricordiamo i due casi da noi denunciati delle assistenti (una censurata e l’altra indagata dall’Ordine) che lavorano ancora con i bambini. Riteniamo che un atto di coraggio da parte delle amministrazioni nei confronti di queste operatrici potrebbe scoraggiare chi desidera persistere in atteggiamenti invasivi e coercitivi nei confronti delle famiglie e dei bambini.»
 

Caso Stella: esposto all’Ordine sull’assistente sociale

Aveva registrato di nascosto le intimidazioni dell’assistente sociale che, a tutt’oggi, non ha ancora trasferito la pratica, impedendo così le visite con la bambina. ( Potete leggere qui gli articoli pubblicati dal nostro giornale )
Trento. Si sta complicando l’assurda vicenda di “Stella”, una bambina trentina di tredici anni che, di nascosto, aveva registrato il comportamento riprovevole dell’assistente sociale.
Dopo più di un mese, la richiesta ufficiale dell’avvocato della coppia, Francesco Miraglia, di trasferire la pratica a Trento, dove ora risiedono i genitori, non è ancora stata accolta. Questo impedisce ai genitori di essere adeguatamente assistiti nel recupero della “genitorialità” per accogliere la supplica incessante della bambina di tornare a casa.
Ma, cosa ancor più grave, ostacola di fatto le visite della bambina, dato che l’assistente sociale, nonostante tutto quello che è successo, pretende che, prima di organizzare l’incontro, la famiglia faccia la richiesta a lei per poter vedere la figlia. Di conseguenza la famiglia è stata costretta a presentare un esposto all’Ordine degli Assistenti Sociali, con tanto di registrazione, nei confronti dell’assistente sociale.
 
«Siamo amareggiati dell’accanimento di questa assistente contro la nostra famiglia. Noi volevamo solamente che la supplica di nostra figlia, che chiede disperatamente aiuto per tornare in famiglia, venisse ascoltata!», ha dichiarato la mamma di Stella.
Secondo il Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani (CCDU): «Dallo studio delle carte e dall’ascolto della registrazione appare evidente che la formazione dell’assistente sociale in questione è impregnata dei principi e concetti di una certa psichiatria istituzionale e coercitiva, e la pervicacia con cui sembra avvinghiarsi a questa vicenda è tipica di questo tipo di psichiatria che vede le persone più come “pazzi” o come “famiglie disagiate” da controllare e assoggettare, piuttosto che come esseri umani da ascoltare, comprendere e aiutare».
«A parere di questo assistente sociale – continua il Comitato – il fatto di “essere troppo preoccupati dei problemi personali per pensare alla figlia” è una motivazione per l’allontanamento di un bambino? Oppure il fatto che un bambino “stia in braccio un po’ a tutti” è un indicatore di abuso? Invece di fossilizzarci su queste stupidaggini, dovremmo chiederci: perché la bambina supplica di poter tornare in famiglia?».
«Ci auguriamo conclude il Comitato – che il Tribunale decida di tornare al buon senso e alla ragione. Ci auguriamo anche che le perizie e valutazioni psichiatriche e psicologiche siano rimosse dalle aule di giustizia: troppi bambini stanno soffrendo per colpa di queste psico-baggianate, è ora di capire che il re è nudo. Chiediamo altresì all’Ordine di verificare se, oltre al caso in questione, questa assistente sociale si comporti così anche con altre famiglie!».
Ma c’è una speranza. L’assessore alle Politiche Sociali di Trento, Mariachiara Franzoia, ha accolto la richiesta dei genitori di iniziare un percorso di rafforzamento della genitorialità che è già sul tavolo del polo sociale di riferimento. Della vicenda si sta occupando anche il Garante dei minori, ed è stata richiamata in due separate interrogazioni dai Consiglieri Provinciali Giacomo Bezzi di Forza Italia e Filippo Degasperi del Movimento 5 Stelle.

Roma: era fuggita dalla comunità, ora torna in famiglia

Ottima sentenza del Tribunale di Roma che ha preso atto della ferma volontà della minore di voler rientrare presso i suoi genitori nonostante il parere contrario del tutore
 
Roma. Nell’agosto del 2013 aveva fatto preoccupare tutt’Italia scappando dalla casa famiglia in cui era ospitata e dandosi alla “macchia” per oltre un mese nonostante l’interessamento della trasmissione Mattino Cinque, che aveva dato l’opportunità alla zia di fare un appello per ritrovare la bambina. Ora finalmente potrà riunirsi ai suoi cari. L’avvocato Francesco Miraglia, legale della famiglia ha dichiarato: “Non posso essere che soddisfatto di questa decisione del Tribunale minorile di Roma per i genitori e soprattutto per la ragazza che finalmente potrà vivere la sua normalità. Ancora una volta, non posso che sottolineare come per semplici valutazioni soggettive o a volte per pura e semplice ideologia le famiglie si trovino a vivere per anni dei veri e propri gironi infernali che superano di gran lunga quelli danteschi. La tutela della famiglia, dei minori, la gestione della strutture, il funzionamento dei servizi sociali meritano un’attenzione diversa e seria rispetto a quanto succede oggi. Molti, troppi, nostri politici e non solo si riempiono la bocca di paroloni quando si parla di famiglia e di minori soprattutto nel periodo elettorale per poi dimenticarsene alla velocità della luce. Spero che quanto prima nasca un vero e proprio movimento che possa farsi portavoce di quei diritti che spesso e volentieri vengono completamente calpestati da chi dovrebbe tutelarli”. Già in occasione della fuga l’avvocato aveva pubblicamente criticato i servizi sociali per la loro superficialità e per il mancato ascolto della bambina. Infatti la bambina aveva sempre rifiutato la comunità fino al tragico epilogo della sua fuga: forse sarebbe stato preferibile ascoltarla e, invece dell’allontanamento, attivare un progetto di sostegno e di aiuto. Invece sono dovuti passare altri due anni. Ricordiamo che quando la bambina è stata allontanata frequentava con successo la scuola e non aveva nessuna patologia psichiatrica. Ora, dopo due anni di mancato ascolto della sua volontà e di allontanamento coatto dai suoi affetti, ha passato l’esame di terza media per il “rotto della cuffia”, ha dovuto interrompere il primo anno di Liceo per le “difficoltà incontrate nel tipo di studi”, ed è addirittura costretta ad assumere psicofarmaci. Adesso ai genitori spetterà un duro compito di recupero, ma non saranno soli. La ragazza e la famiglia, oltre che dal servizio sociale, saranno seguiti anche dal SISMIF –Servizio per l’integrazione ed il sostegno dei minori in famiglia– al fine di permetterle di superare con successo l’istituto turistico triennale in cui ha deciso di iscriversi, e di riacquistare la serenità e tranquillità che solo una famiglia le potrà dare. Come comitato continueremo a monitorare la famiglia e siamo fiduciosi che non verranno commessi altri errori. Finalmente la vicenda si sta risolvendo bene e diamo atto al tribunale di aver finalmente recepito la Convenzione di New York che, essendo stata ratificata dall’Italia, è a pieno titolo una legge dello Stato. Non possiamo però non criticare il comportamento del tutore in primis, che invece di ascoltare la minore sotto la sua tutela, ha, a nostro avviso, preferito adeguarsi a certe teorie psichiatriche che non riconoscono pienamente la volontà dei minori. Secondo tali balzane teorie che noi come Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani combattiamo da anni, tale volontà sarebbe il frutto del condizionamento ambientale e come tale non andrebbe accettata. Sarebbero teorie ridicole se non fosse per le tragiche conseguenze di tali idee che purtroppo trovano credito in certi ambienti e tra certi sedicenti professionisti. Critichiamo altresì gli psichiatri che hanno avuto e hanno in cura la bambina. Crediamo che invece di “sedare” il disagio di questa ragazza non ascoltata e sballottata qua e là da una comunità all’altra, avrebbero dovuto farsi interpreti presso il giudice del suo grido di dolore. La bambina potrà ora avere un futuro sereno perché la sua volontà è stata finalmente accolta: non ci sarà più bisogno –ne siamo certi– di ricorrere a potenti psicofarmaci neurolettici.

La Corte d'Appello di Ancona affida due minori ai nonni materni.

L’avvocato Miraglia e la Prof.ssa Palmieri : “Riconosciuto l’ambiente familiare come più consono rispetto a un affidamento esterno”
ANCONA. Quando la famiglia fa “gioco di squadra” e resta unita e disponibile, il Tribunale può riconoscere che l’ambiente familiare sia più consono ad accogliere i minori, nel momento in cui si renda necessario allontanarli dai genitori.  È il caso su cui recentemente si è espressa la Corte di Appello di Ancona, che ha accolto il ricorso presentato dai loro nonni materni e da due zie, per evitare che due ragazzine rispettivamente di 10 e 13 anni venissero collocate in una comunità d’accoglienza o presso una famiglia affidataria.
«Con questa sentenza è stata riconosciuta l’importanza di non allontanare i minori dal loro ambiente familiare» dichiara l’avvocato Miraglia del Foro di Moderna, che da anni si batte contro la difficoltà delle istituzioni a far rientrare i bambini nei nuclei familiari originari, finendo così con il prolungare oltre misura la loro permanenza presso coppie affidatarie.«L’inserimento in famiglia va comunque accompagnato dai Servizi sociali in un adeguato percorso educativo dei minori e dei loro parenti» prosegue il legale, «oltre che di un sostegno psicologico o pedagogico familiare, ma almeno le due bambine potranno continuare a vedere volti familiari e affettuosi, nell’ottica di tornare ad avere un giorno un rapporto più solido e sano con la madre e con il padre».
Le due ragazzine sono state allontanate dai genitori, per i loro problemi di tossicodipendenza e di fragilità psicologica, e affidate ai Servizi sociali di Pesaro. Dal 2011, anno in cui la situazione problematica è emersa, si arriva al 2013, quando il Tribunale per i Minorenni delle Marche decide che debbano essere collocate in via provvisoria presso una casa famiglia.
Provvedimento cui si oppongono i nonni materni, una zia materna e una zia paterna, che ne richiedono l’affidamento. Il padre si trova all’estero, la madre ha un nuovo compagno, ma nonostante il rapporto conflittuale con le due figlie, segue da tempo un percorso per poter riequilibrare se stessa e la sua vita, in vista di un possibile recupero del legame con le due figliolette. Per questo i nonni materni hanno chiesto l’affidamento delle nipotine, che è stato loro finalmente concesso dalla Corte di Appello anconetana, congiuntamente alle due zie, presso cui le bambine potranno trascorrere serate e fine settimana. La madre dovrà seguire un percorso di psicologia individuale, i nonni materni avranno un sostegno alla genitorialità vicariante e le due ragazzine saranno aiutate da un servizio di educativa domiciliare. Un programma di interventi coordinati dai Servizi sociali, finalizzato al mantenimento delle relazioni familiari.
« In Italia » sostiene la Prof.ssa Vincenza Palmieri  Presidente dell’Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare di Roma nonché Consulente di Parte dei nonni e delle zie  nel presente procedimento « c’è un sistema molto ricco di consulenze e perizie, la cui finalità dovrebbe essere quella di supportare il Giudice nella ricerca della migliore soluzione possibile per i Minori.
Spesso, però, tale sistema si occupa primariamente di sostenere se stesso (attraverso l’invio dei Minori in casa Famiglia, o presso Centri per la psicodiagnosi o psicoterapia,  privati e pubblici ) e l’interesse del Minore ne risulta, così, subordinato o comunque funzionale al mantenimento dello stesso sistema.  Una storia, quella di Ancona, semplice e normale – continua la Prof.ssa Palmieri –  due nonni che dovranno prendersi cura delle proprie nipotine. Ma ciò che appare assolutamente normale è invece straordinario e deve rappresentale il modello  da replicare ovunque ci sia un bambino che non può essere impropriamente allontanato dai luoghi degli affetti. Un invito, per quanti lavorano in ambito peritale ad impegnarsi strenuamente a difendere i bambini, anche da consulenze invasive, lunghe, ingiuste».
«Un’alternativa all’allontanamento prolungato dalla famiglia è possibile» conclude l’avvocato Miraglia, «contrariamente all’atteggiamento assunto da numerosi Tribunali e Servizi sociali, che troppo spesso privilegiano la separazione dal nucleo originario, anziché favorirne il reinserimento dei minori in quella che è e rimane la loro famiglia, con la grande importanza e supporto affettivo che questa può avere a supporto di una loro crescita serena».
 

Papà portami via da qui!

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Papà portami via di quiDomenica 21 giugno 2015, alle ore 18.30, presso la Libreria Fandango, in Via dei Prefetti 22, si tiene la presentazione del libro “Papà portami via da qui!”. Il volume edito da Armando Editore nel 2015 è scritto dalla Prof.ssa Vincenza Palmieri Presidente di I.N.P.E.F. Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare e dall’Avvocato Francesco Miraglia ed è dedicato ad Anna Giulia di sette anni, cittadina italiana.

Introduce Stefania Petrera Giudice Onorario e Responsabile delle Relazioni Istituzionali dell’Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare, partecipano gli autori con i contributi di Francesco Moncavallo e Vittorio Bonanni. L’attore Rodolfo Baldini legge “Papà portami via da qui!”. Previsti interventi programmati degli Ospiti in Sala.

Sembra incredibile ma il libro tratta di una storia per davvero accaduta ad una bambina di sette anni “che pur avendo genitori che la amano e la vogliono con loro e che non hanno fatto niente di male né a lei né ad altri sia diventata un’orfana consegnata per ‘legge’ ad altri genitori” (Francesco Miraglia).

Il libro

E’ il racconto tremendamente vero di Anna Giulia che, per un errore giudiziario, è stata tolta ai genitori Massimiliano Camparini e Gilda Fontana ed è stata affidata dopo diverse peripezie giudiziarie, visite protette e quanto altro possa essere avocato in questi casi, ad un’altra famiglia. I genitori hanno fatto di tutto per poterla riportare con sé a casa senza riuscirvi, finendo persino in carcere per sette mesi nel tentativo di portare con sè la loro bimba (ufficialmente era rapimento) ed ora sono in attesa che la bambina di circa nove anni compia diciotto anni e scelga in libertà la sua strada ed i suoi genitori con cui ha sempre voluto restare.

Quanto è importante una comunicazione etica

Non ha aiutato neanche nelle diverse vicissitudini una esposizione mediatica eccessiva del caso e dei suoi passaggi, a testimonianza di quanto sia importante l’opportunità, la chiarezza, la fondatezza e la verità dei media a tutela dei minori e dei loro diritti umani innanzi al diritto della cronaca.

Ci sono casi come questi, fatti di burocrazia dove non si riesce a ritrattare in alcun modo gli errori iniziali e dove gli enti preposti si rimbalzano le competenze, in cui anche lo Stato si dovrebbe mettere da parte innanzi alla Famiglia.

Al di là di fatti specifici la Famiglia va sempre aiutata, in qualsiasi condizione, prima di prendere decisioni che nel tempo si rivelano senza ritorno. E vanno coadiuvate anche in caso di povertà. D’altronde, come sottolinea Vincenza Palmieri che con l’Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare ne conduce di battaglie per i minori insieme ad uno staff eccellente di professionisti, Gesù Bambino non è nato in una grotta e non aveva un solo panno addosso o un giaciglio di paglia anziché una culla? Questa era forse una soluzione abitativa appropriata? “Un bue ed un asino in camera da letto vicino al neonato. Di Giuseppe il Falegname dicono che abbia sposato sua madre Maria ma che non sia lui il vero padre. Quale sarebbe oggi il destino di Gesù Bambino?” (Vincenza Palmieri).

Un racconto scorrevole, vivo, autentico, un piccolo manuale di giurisprudenza ed errori, passaggi giudiziari che potrà essere di sostegno e di conoscenza per i lettori, in una chiave pirandelliana, ma anche di testimonianza autentica per Anna Giulia che pure così, da grande, saprà quanto i suoi genitori le abbiano voluto bene e abbiano lottato per lei in tutti i modi, mentre però la sua infanzia sarà trascorsa. Come Anna Giulia sono stimati solo in Italia cifre enormi di bambini scomparsi, tra le persone sparite nel nulla, di cui moltissimi vengono portati via da un genitore, lasciano all’improvviso il loro ambiente di origine e di crescita e svaniscono nel mondo, spesso con gravi traumi per il distacco. In realtà sono solo figli contesi e che avrebbero desiderato la loro Famiglia.

Quanto sarebbe importante che Istituzioni e lo Stato riuscissero a sostenere meglio queste famiglie. Se ne è parlato con rappresentanti istituzionali anche in un recente Seminario in Diritti Umani e dei Bambini presso il Senato della Repubblica che proseguirà in data 9 ottobre nella Camera dei Deputati, promosso da INPEF, che formerà un pool di testimonial e di operatori in diritti umani e che ha visto la partecipazione tra i relatori anche della Fondazione Paolo di Tarso con il Gruppo ComunicareITALIA.it promotore di una comunicazione etica in rete anc

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> http://www.ilvaticanese.it/2015/06/papa-portami-via-da-qui/

he a favore dei bambini.

Minori, il tribunale affida il bebè ai nonni paterni

Risale a pochi giorni fa una notizia che non si può non raccontare, la storia di un destino familiare che cambia il proprio corso e di una famiglia, allargata e affiatata, che nasce prospettando un modello alternativo, nuovo.

La vicenda è quella di una ragazza madre di 17 anni, cresciuta in una Casa Famiglia, che, all’interno della stessa struttura, ha conosciuto colui che 5 mesi fa è  diventato il padre di suo figlio, un ragazzo anch’esso minorenne.

Il 20 maggio u.s. si è, dunque, celebrata presso il Tribunale per i Minorenni di Genova l’udienza in merito alla collocazione della ragazza e, conseguentemente, del bambino, alla presenza dell’Avv. Francesco Miraglia, in qualità di difensore della famiglia ed in sostituzione dell’Avv. Francesco Morcavallo, della Prof.ssa Vincenza Palmieri e del Rappresentante Diplomatico dello Stato dell’Ecuador a Genova (NOME???).

Il Tribunale per i Minorenni, dopo aver ascoltato le parti e apprezzato il progetto del gruppo di lavoro dell’Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare, così come del contributo fornito da parte dello stato dell’Ecuador, ha confermato il collocamento dei due genitori minorenni e del bambino di 5 mesi presso i nonni paterni (i genitori del ragazzo), rimandando a dicembre la prossima rivalutazione del progetto che li riguarda.

Una disposizione  che ha tenuto conto sia dalla disponibilità dei nonni di occuparsi del bambino, che dalla ferma volontà dei giovanissimi genitori di mettersi in gioco e comprendere le loro nuove responsabilità, affinché il loro bambino possa vivere e crescere nell’affetto familiare.

“Sono molto soddisfatto dell’esito di questa vicenda complessa e difficile – ha sottolineato l’Avvocato Francesco Miraglia – in quanto ritengo che, quando la situazione lo renda possibile, sia fondamentale non allontanare il minorenne dal proprio nucleo familiare, al fine di non sottoporlo ad ulteriori situazioni di stress e di disagio e permettergli di crescere in modo sereno insieme alle altre figure familiari che possono comunque sostenerlo e dargli affetto.

E’ fuor di dubbio che proprio in queste dinamiche familiari così complesse, competenza, giustizia politica e professionalità diventino lo strumento per la tutela dei diritti dei bambini e di tutte le persone senza voce. Le battaglie civili dovevano produrre risultati ed il risultato oggi è che altri due genitori minorenni, ed il loro figlioletto di 5 mesi, a rischio di essere separati, sono invece rimasti insieme nella propria famiglia”.

“Abbiamo spezzato il castigo della povertà – commenta la Prof.ssa Vincenza Palmieri – e quello che poteva essere un destino tramandato di madre in figlio, un destino da recluso ancor prima di nascere. Personalmente mi sono occupata di creare, attraverso questo Progetto Integrato, le condizioni affinché i ragazzi potessero vivere nella famiglia dei genitori paterni. Abbiamo, così, reso possibile un destino diverso, dando valore alla figura dei nonni e dei genitori. 

Quando ci sono risorse familiari valide, la costruzione di una famiglia allargata si prospetta come la migliore delle alternative, a confronto della soluzione in Casa Famiglia. Ed ecco: dove prima una famiglia non c’era, ora c’è. Con genitori responsabili, nonni responsabili. 

Questa è la definizione di AIUTO. Questa è la logica che ogni perito, avvocato, consulente, psicologo o pedagogista familiare deve attivare nel momento in cui si misura con l’applicazione della Legge”.

A distanza di pochi giorni dal ritorno in famiglia dei due bambini, dunque, l’Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare, con il gruppo di lavoro composto dalla Prof.ssa Vincenza Palmieri, dall’Avv. Francesco Miraglia, dall’Avv. Francesco Morcavallo e dal dott. Carlos Lara, informano l’opinione pubblica di tale ultimo importantissimo risultato raggiunto dall’INPEF assieme allo Stato dell’Ecuador, a dimostrazione che un progetto integrato tra istituzioni, famiglie e professionisti sbarri la strada ad abusi e violazioni e realizzi quel diritto fondamentale a crescere e vivere nella propria famiglia.

“Diritti Umani e Diritti dei Bambini”

Brochure Diritti umani e Diritti dei bambini-page-002
In Italia, la protezione e promozione dei Diritti Umani ha ancora davanti a sé un lungo cammino: le violazioni reiterate e quotidiane dei Diritti si traducono semplicemente in sanzioni amministrative nei confronti del Governo.
 
È dunque necessario impegnarsi attivamente per la difesa e per l’applicazione dei Diritti Fondamentali, da garantire soprattutto per le fasce più fragili della popolazione.  Sono in modo particolare i Diritti dei Minori a necessitare di una vigilanza costante.
 
Per quanto possa sembrare assurdo, oggi i Diritti Umani hanno bisogno come non mai della perseveranza di uomini e donne coraggiosi, senza frontiere e senza barriere, che se ne facciano  garanti e testimoni.
 
Ecco, allora, l’iniziativa-evento “Diritti Umani e Diritti dei Bambini. Sesibilità, Coscienze, Strumenti”, il cui obiettivo finale si sostanzia proprio nel formare un pool di Testimonial dei Diritti Umani che assumano in prima persona il ruolo di cassa di risonanza, di amplificatore delle situazioni di violazione di tali Diritti e che, soprattutto, siano in grado di sensibilizzare e permeare il tessuto sociale,  affinché ogni Diritto possa divenire  prassi.
 
Un evento straordinario per molti aspetti, dunque: per la sua portata innovativa, per l’assunzione di responsabilità che si propone, per la multidisciplinarità e completezza dell’approccio, per la capacità di intrecciarsi con le Istituzioni nazionali, estere e sovranazionali.
 
Organizzato dall’Associazione Nazionale dei Pedagogisti Familiari e dall’Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare, ospitato dal Senato della Repubblica e dalla Camera dei Deputati, ha ottenuto ad oggi il patrocinio illustre da parte del Ministero degli Affari Esteri, dell’UNAR (Presidenza del Consiglio dei Ministri – Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali), dell’Ambasciata dello Stato Plurinazionale della Bolivia.
 
Così come è ambizioso e di spessore l’obiettivo che l’evento si propone, altrettanto di altissimo livello saranno i Docenti e le Personalità che interverranno, come si può evincere dal programma allegato.
 
I contenuti abbracceranno tutte le aree tematiche del caso:
l’ONU e la  protezione dei Diritti Umani, il panorama legislativo internazionale, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, le violazioni dei Diritti Umani e le sanzioni ai Governi, la tutela e l’esercizio dei Diritti Umani delle fasce fragili della popolazione, i diritti delle persone minori d’età, la progettazione degli interventi di educazione al rispetto dei  Diritti Umani, la  promozione dei Diritti Umani  attraverso le tecnologie della comunicazione, l’educazione ai Diritti Umani nella  scuola, le strategie comunicative per la promozione dei Diritti Umani.
 
Nell’ambito della cerimonia conclusiva, il 9 Ottobre p.v. – alla presenza​​ di artisti, sportivi, giovani e personalità illustri, a loro volta già Testimonial – ai corsisti  sarà consegnata la pergamena INPEF di Testimonial per i Diritti Umani.
 
Ma perché sia un evento straordinario e quale sia il senso di una cerimonia a mesi di distanza dai due giorni di formazione del 26 e 27 maggio lo racconta la stessa Presidente INPEF, la Prof.ssa Vincenza Palmieri: “E’ straordinario perché presuppone il fare da parte dei partecipanti. Dopo aver ricevuto una importante formazione in due giornate piene, intensive, questi avranno, infatti, diversi mesi di tempo per mettere in campo Progetti concreti sui Diritti Umani; di applicazione, divulgazione, ricerca, stesura di interventi di natura legislativa, ognuno nel proprio campo, nel proprio ambito di competenza. Questi progetti, che ognuno dei candidati potrà realizzare singolarmente o in gruppo, costituiranno il cuore dell’evento. Rappresenteranno, infatti il momento in cui le sensibilità e le coscienze moltiplicheranno il proprio raggio di azione a tutela dei Diritti Umani.
 
Il 9 ottobre, dunque, i partecipanti verranno a restituire ed esporre quello che hanno fatto. Se ognuna delle cento persone che si verranno a formare ne raggiungerà altre cento o mille, l’effetto risulterà enormemente coinvolgente. E sarà allora che, di conseguenza, diventeranno Testimonial dei Diritti Umani. Non a seguito della sola formazione, ma in conseguenza degli esiti della loro azione. A quel punto si costituirà il primo Team di Testimonial. Che resteranno tali per tutta la vita. Perché sarà, da quel momento in poi, un impegno morale: sarà assumere una responsabilità in tal senso nei confronti del pianeta.
La conoscenza del Diritto può essere di competenza esclusiva degli addetti ai lavori; ma i Diritti Umani devono abbracciare tutti, lungo tutto l’arco della vita.
Tutti hanno il diritto e il dovere di conoscerli e di applicarli”.
 

Ufficio StampaI.N.PE.F
 
 

La legge non è uguale per tutti – di Francesco Miraglia

“Gran parte dei miei clienti, si sono imbattuti altresì nel mondo della psichiatria, dei servizi sociali e delle cooperative di questo o quel colore. 
Sono stati costretti a constatare che gli ordini professionali dei medici, degli avvocati e dei magistrati e degli assistenti sociali sono di fatto organizzazioni sindacali a difesa dei privilegi e di vantaggi degli stessi professionisti, ben lontani da quelle persone a cui dovrebbero assicurare dignità, rispetto e giustizia.
Nell’affrontare, molte di queste situazioni, ho la sensazione di  sentire sentenze già scritte, teorie accusatorie pre-confezionate di allontanamento dei minori senza un minimo di istruttoria e senza un minimo di senso logico. Molte volte di fronte a queste situazioni, vorrei cancellare, vorrei far sparire, vorrei rubare dalle aule dei Tribunali quella ipocrita scritta la Legge è uguale per tutti.
In data 13 marzo u.s., mi rivolgevo, quale avvocato di due genitori di Trento, all’assistente sociale referente del caso, per chiedere spiegazioni sul fatto che i miei assistiti incontrassero solo una volta al mese la figlia allontanata dagli stessi genitori da più di 5 anni. Senza tralasciare che la struttura ove attualmente è collocata la minore si trovi a più di 400 km di distanza (andata – ritorno).
Di tutta risposta l’assistente sociale rispondeva testualmente: “Lo scrivente servizio ha ricevuto in questi giorni la Sua richiesta per conto dei sig.ri, in merito alle visite della figlia. Le comunico che i tempi – una volta ogni due/tre mesi – sono dettati dall’impossibilità economica dei genitori della minore”.
Successivamente mi rivolgevo al Presidente della Comunità di Val di Non e all’Assessore delle Politiche Sociali per chiedere un appuntamento urgente sull’intera vicenda e soprattutto per l’incredibile risposta dell’assistente sociale, ma a distanza di quasi 15 giorni ancora nulla è stato riscontrato.
A questo punto, in nome e per conto dei miei assistiti sento il bisogno di rivolgermi all’opinione pubblica per sottolineare che tutti i cittadini ricchi o poveri che siano hanno il sacrosanto diritto di essere ascoltati, ricevuti e aiutati dalle istituzioni. Sarebbe davvero grave che le stesse Istituzioni che dovrebbero essere al servizio dei cittadini facessero orecchie da mercante o peggio ancora si rendessero disponibili in base al ceto sociale.
Ancora più inverosimile è la risposta dell’assistente sociale secondo la quale una bambina di 13 anni non può incontrare i genitori perché sostanzialmente non hanno i soldi per andare a trovarla.
Ma allora mi chiedo a cosa servono i fondi distribuiti ai servizi sociali? Perché questi genitori non vengono aiutati economicamente? Ma soprattutto, perché si è deciso di collocare la bambina in una struttura a 250 km dalla sua famiglia? Forse a Trento e in tutto il Trentino non ci sono comunità?
È necessario che chi di dovere risponda quanto prima a queste domande per il bene di una bambina di 13 anni che da 5 anni è stata allontanata dalla sua famiglia principalmente per la condizione economica precaria della stessa. Ancora più grave è che tutto ciò accada in una provincia come Trento che si pone all’attenzione nazionale per come funzionano i suoi Servizi.
Sono certo che la mancata attenzione della richiesta dei miei assistiti è stata solo una dimenticanza del Presidente della Comunità della Val di Non, dell’Assessore dalle Politiche sociali e dell’Assistente Sociale perché altrimenti non possiamo che ricordarci di quanto sosteneva Manzoni nei suoi promessi Sposi: “Mal cosa nascer poveri, caro Renzo”“.
Avvocato Francesco Miraglia 
 
http://www.lavocedeltrentino.it/index.php/71-anno2013/il-punto-su/20200-la-legge-non-e-uguale-per-tutti-di-francesco-miraglia