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La lettera della mamma di Anna Giulia, bambina strappata alla famiglia per l’arroganza degli adulti

C’è una bambina di 7 anni che non passerà il Natale con i genitori, non scarterà i regali sotto l’albero addobbato di casa sua e non riceverà l’abbraccio dei nonni e degli altri familiari. Chissà dove e con chi sarà, e non sappiamo neppure se le imminenti feste riaccenderanno in lei i ricordi sopiti, e certamente sempre più sbiaditi, della sua primissima infanzia. Eppure questa bimba non è orfana. Ha due giovani genitori che l’amano e che da sempre si battono per riaverla con loro. Stella, così la chiamiamo per proteggere la sua identità, è vittima di un errore, un colossale errore che l’ha strappata ai suoi affetti più cari quando aveva soltanto 3 anni.

La storia è nota ai più: una telefonata anonima avverte che nella casa dove vivono i Gilda e Massimiliano con la loro figlia, c’è della droga. Un blitz notturno dei carabinieri sveglia la famiglia, viene effettuata una perquisizione, ma non viene trovato assolutamente nulla. Solo che intanto, un militare troppo solerte avverte i servizi sociali dicendo che l’abitazione è fatiscente e non è un luogo adatto per una minore. Peccato che si dimentichi di specificare che la casa era a soqquadro perché stavano ridipingendo le pareti. Stella viene portata via dai genitori, che però sono rassicurati dagli assistenti sociali: “è sicuramente un equivoco, fra 15 giorni la riavrete”. Cominciano così gli incontri protetti tra genitori e figlia, perché qualcuno nel frattempo si è ricordato che il papà in passato ha fatto uso di droghe. Peccato che, ancora una volta, ci si dimentichi di spiegare che si tratta di episodi remoti, accaduti 20 anni prima. Alla coppia però, nonostante venga riconosciuta “una genitorialità ricca e affettiva”, la figlia non viene restituita, anzi Stella finisce in un istituto. Dopo varie peripezie giudiziarie, Gilda e Massimiliano decidono di “rapire” la loro bambina e di fuggire con la piccola in Slovenia, dove trascorrono alcuni giorni felici. Poi, convinti dalla nonna paterna, ritornano, affidandosi alla comprensione di chi ha in mano il loro destino. Ma è una fiducia mal riposta perché da allora questi genitori non hanno più rivisto la loro piccina…

Tutti la chiamano Stella e speriamo che una stella arrivi davvero ad illuminare la notte di Gilda e Massimiliano, una notte che dura da quasi 5 anni. Ed ecco la lettera che Gilda ci inviato, una lettera disperata, ma anche di speranza.

E’ grande lo sforzo di rivivere ancora e ancora ormai quasi all’infinito, quelle strazianti emozioni che mi sono entrate, ormai, in ogni singola cellula e con le quali devo convivere quasi fosse una malattia… un dolore cronico dal quale non riesco, non posso, non voglio liberarmi.
Eh sì…. questo sordo male che mi accompagna è ormai l’unica cosa che mi tiene legata a lei… che mi fa essere ancora la mamma di “Stella”, già l’unico modo che mi è rimasto di essere mamma è il dolore puro di questo vuoto che non riesco a motivare a giustificare e di conseguenza non riesco ad elaborare… come si dice, non riesco a farmene una ragione: cerco di analizzare la situazione da ogni punto di vista e quindi mi ripeto all’infinito…. morta non è, e quindi devo essere contenta… male non starà quindi devo esserne contenta…. colpa mia e di Max di certo non è, e quindi devo esserne contenta… la storia è stata più e più volte verificata da tante persone competenti e tutti mi hanno manifestato la loro solidarietà e… quindi devo esserne contenta… ho fatto tutto quanto è stato in mio potere fare e anche di più…. e quindi devo esserne contenta… devo essere grata a quei cari amici e conoscenti che mi si stringono accanto e solidali mi chiedono “come va”… devo esserne contenta, non è da tutti di poter contare sull’affetto di tante persone… devo esserne contenta. Ma così non è; non sarò, non saremo mai contenti, fino a quando non potremo riabbracciare la nostra bambina. Rivoglio, rivogliamo nostra figlia, la nostra vita. Gilda.

Miraglia denuncia 'In comunità circolano droga e alcol'

Trento, 30 luglio 2012.  – Nella comunità in cui sono ospitati anche giovani trentini circolano droga e alcol e gli educatori portano i ragazzi a comprare la droga, per questo, oggi l’avvocato Francesco Miraglia del foro di Modena ha presentato due esposti alla procura di Chieti per le gravi irregolarità segnalate da alcuni adolescenti che erano stati ospitati presso la cooperativa Lilium, un centro di cura per minori con gravi disturbi psichiatrici di S. Giovanni Teatino, Chieti, che ospita anche minori trentini.
Secondo la denuncia dell’avvocato le segnalazioni ricevute in merito alla circolazione di droghe e alcool nella comunità sono state purtroppo confermate da un ragazzo di Padova. Nella relazione del dott. Paolo Cioni si afferma che il ragazzo ha dei ricordi e dei vissuti estremamente negativi sulla comunità terapeutica di Chieti: “In particolare riferisce che «circolavano droga e alcool. Gli educatori ci portavano a comprarla al Parco Florida, vicino a Pescara». In particolare cita un educatore […] che sarebbe stato il referente di questo meccanismo.”
Recentemente la comunità era salita all’onore delle cronache per il caso di una ragazza di Trento trattenuta in struttura contro la sua volontà nonostante avesse subito un assalto sessuale da parte di un infermiere della struttura. La vicenda, assieme ad altre segnalazioni, era stata presentata alla Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza presieduta dall’onorevole Alessandra Mussolini. In seguito la ragazza era stata liberata, ma la comunità invece di ammettere le proprie responsabilità aveva diffuso una nota giustificativa (pubblicata anche su Internet) che i genitori avevano poi pubblicamente smentito. Ma in questa nota la comunità stessa ammetteva di non aver sporto una formale denuncia affermando di “aver svolto repentinamente indagini interne, per appurare quello che realmente era accaduto, coinvolgendo anche i carabinieri e invitando la ragazza stessa a sporgere denuncia, cosa che, però, la minore si è rifiutata di fare”.
E purtroppo queste non sono le uniche irregolarità segnalate sulla struttura di Chieti. La minore stessa e altri ospiti hanno scritto di ragazzi e ragazze legati ai letti e chiusi in stanza per ore, di una prassi secondo la quale nei primi tre mesi si vieta agli ospiti qualsiasi contatto con l’esterno, di problemi di sicurezza con ragazzi che si scambiano gli psicofarmaci, di condizioni insopportabili che spingono i ragazzi a tentare la fuga con parecchie fughe occorse anche nel periodo di permanenza della minore (lei stessa è fuggita ed è stata ripresa più volte) e di droghe circolanti nella struttura. Queste segnalazioni sono state confermate con messaggi email, commenti su Facebook e dichiarazioni scritte raccolte dalla mamma della minore, dal Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani e dall’associazione Pronto Soccorso Famiglia.
La Lilium non è la prima comunità a finire nell’occhio del ciclone. Ricordiamo la comunità alloggio per minori «Dina Sergiacomi» di Montalto nelle Marche, la comunità «Cavanà» di Pellegrino Parmense, la casa famiglia «Il Forteto» in Toscana. Il denominatore comune di queste comunità, oltre alla “impostazione manicomiale”, è la mancanza di reali controlli esterni e indipendenti che impediscano queste violazioni. Purtroppo ci giungono segnalazioni di madri preoccupate perché una specifica psichiatra del centro di neuropsichiatria infantile di Trento (che recentemente è stata segnalata all’ordine) sta premendo per mandare i loro figli in questa comunità e persino dei ragazzi che sono fuggiti dalla comunità stanno ricevendo pressioni per tornarci. Il proverbio dice: “Quando il gatto non c’è i topi ballano”. Riteniamo sia indispensabile che l’assessorato competente investighi approfonditamente per verificare le accuse e se necessario riportare i nostri ragazzi a casa per impedire che subiscano altri danni.
 

Abusi sessuali dentro la Cooperativa sociale Laboratorio Lesignola ? Il processo va avanti

 

 05/07/2012 – 09.15

 Se pur con un rinvio al 16 gennaio 2013 davanti al Tribunale collegiale penale di Reggio Emilia, il processo a carico del Presidente della Cooperativa sociale Laboratorio Lesignola continua. Su di lui pesano gli abusi che furono commessi all’interno della sua comunità tra la fine del 2007 e all’inizio del 2008 ai danni di un bambino che all’epoca aveva 10 anni. Nel procedimento, il minore e i suoi genitori sono rappresentati e difesi dall’avv. Francesco Miraglia di Modena, mentre l’accusa e rappresentata dalla dott.ssa Maria Rita Pantani della Procura della Repubblica di Reggio Emilia.

“Laboratorio Lesignola” di Canossa (RE) è altro capitolo di conduzione irresponsabile in una struttura per minori allontanati dal nucleo familiare. Come tutte le case famiglia, questo comunità viene designata dal servizio sociale, e diligenti operatori dovrebbero provvedere all’educazione dei minori affinchè crescano in un luogo sano, avviarli allo studio ed insegnargli ad affrontare la vita, sostituendo la famiglia in tutto e per tutto quando questa viene giudicata inidonea.

Nella vicenda oggetto del processo, seri professionisti della psicologia ed efficienti operatori sociali hanno sottratto due minori a causa dell’indigenza del loro nucleo familiare, decidendo che questi ragazzi dovevano crescere senza genitori in ambiente sicuramente più idoneo. I due ragazzi, che all’epoca avevano 10 e 6 anni, furono collocati in questa struttura dove subirono vessazioni, violenze fisiche ed attenzioni sessualidi da parte di un altro ospite 17enne. I giovani decisero di non voler più subire, e denunciarono tutto all’assistente sociale referente, ma minimizzò l’accaduto e “archiviò” il caso come frutto di “ragazzate”, non approfondendo i fatti e soprattutto non dando il minimo credito al racconto dei ragazzi.

Dovettero intervenire i genitori, solo in seguito ad un colloquio con i propri figli, per esporre nei confronti di coloro che avrebbero dovuto provvedere alla sorveglianza, e che invece omisero e colpevolmente sottovalutato fatti di questa gravità.

L’avvocato Francesco Miraglia del foro di Modena, presidente del comitato scientifico dell’associazione Pronto Soccorso Famiglia, ha assunto la difesa dei minori ed oggi alla sbarra c’è il responsabile della comunità che in primis avrebbe dovuto provvedere alla sorveglianza sugli ospiti della struttura. Questi, nonostante l’accaduto, ancora oggi ricopre il suo ruolo all’interno della struttura, ma ciò che sorprende ancora più è il fatto che sia l’assistente sociale del comune di Scandiano (che glissò sul racconto dei ragazzi) non sia stata ancora rimossa dalla posizione che attualmente occupa, continuando ad assumersi l’onere di decidere cosa è meglio per i figli degli altri, ed a fronte di una così grave omissione sia ancora la referente del servizio tutela minori.

Poiché i fatti si riferiscono ad alcuni anni orsono, qualcuno potrebbe pensare che i ragazzi siano felicemente tornati a casa… Non è così. Allontanati dal nucleo familiare a causa dell’indigenza dei genitori, il solerte servizio sociale ha preferito affidare i ragazzi ad altra famiglia (a cui attribuisce mensilmente un assegno di sostegno economico) piuttosto che versare la stessa somma ai genitori e permettere a questi ragazzi di crescere in seno alla propria famiglia. 

Trento, 8 Giugno. Convegno: la crisi economica colpisce le famiglie, ma non le case famiglia

Trento 25maggio 2012
Trento. Il CCDU, il PSF (Pronto Soccorso Famiglie) e ADIANTUM hanno organizzato il convegno dal tema “Ridateci i nostri figli!” che si terrà venerdì 8 giugno alle ore 16.30 presso la Sala di Rappresentanza del Palazzo della Regione a Trento. “La crisi economica colpisce le famiglie ma non le case famiglia. Perché psichiatri, psicologi e assistenti sociali hanno il potere di portar via i nostri figli?”: è questo il leit-motiv dominante dell’evento, che tenterà di spiegare (e informare) gli intervenuti e la cirradinanza sulle problematiche del sistema e sulle possibili soluzioni.

Durante i lavori grande enfasi verrà data ai cambiamenti in atto. Primo tra tutti, quello che scaturisce dal Senato, che il 22 maggio 2012 ha approvato all’unanimità la richiesta di dichiarazione d’urgenzaper l’esame congiunto in Commissione giustizia dei DDL vertenti su materie relative all’istituzione di sezioni specializzate per le controversie in materia di persone e di famiglia e di soppressione dei tribunali per i minorenni.
Il convegno dell’8 Giugno trae spunto da un sistema giudiziario – per i più di chiaro stampo autoritario e fascista – che, negli ultimi due anni, ha messo in luce tutti i suoi problemi di arbitrarietà, incompetenza e anti-democraticità. Molti i cittadini che partecipano alle manifestazioni e segnalano nuovi casi, tantissimi quelli che vorrebbero cambiare questo stato di cose, e finalmente pare che anche il Senato si sia accorto della scandalo italiano delle case famiglia, dove migliaia di bambini soffrono lontani forzatamente dai propri affetti, e che è necessaria una riforma urgente.
Il Trentino da anni, grazie al lavoro di associazioni locali ben ramificate e all’attivismo di alcuni amministratori, non solo non è immune a questa tragedia, ma è secondo solo alla Liguria per percentuale di bambini sottratti alle famiglie, mentre si spendono più di 10 milioni e mezzo di euro per “tutelare” i bambini. A differenza del resto d’Italia, dove il dibattito sui cambiamenti è comunque presente nelle Istituzioni, il “sistema trentino” si oppone a qualsiasi tentativo di riforma. La mozione di riforma dei servizi sociali del consigliere comunale Gabriella Maffioletti non è stata approvata. Lo stesso per le misure di sostegno ai genitori separati. Anche i documenti e DDL presentati da Bruno Firmani e Pino Morandini sono stati bocciati. Nella nostra regione, pochi giorni fa, un bambino di tre anni è stato sottratto alla famiglia mentre la mamma partoriva un’altra bambina, sebbene avesse una forte rete famigliare di sostegno. Piange disperato in una casa famiglia e nessuno lo ascolta. Ci sono decine e decine di segnalazioni di bambini sottratti che vorrebbero tornare in famiglia e non vengono ascoltati. Le recenti fughe di bambini dalla comunità di Bedollo e dal villaggio SOS sono solo la punta dell’iceberg.
Finché non verrà cambiata la legge, nessuna famiglia potrà dirsi al sicuro in questo sistema malato. Gli organizzatori del convegno hanno messo a disposizione dei partecipanti un documento con informazioni utili su come difendere i propri figli proprio dal sistema di cui si parlerà. L’evento sarà moderato da Silvio De Fanti, Vice Presidente del Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani, mentre i relatori saranno l’On. Antonio Guidi, Specialista in neurologia e neuropsichiatria infantile e medico neurologo, l’avv. Francesco Miraglia, Avvocato del foro di Modena e coautore del libro “Ridateci i nostri figli”, Antonella Flati, Presidente dell’Associazione Pronto Soccorso Famiglie e Gabriella Maffioletti, Consigliere del Comune di Trento e delegata Adiantum per il Trentino.

Minorenni e Facebook: insidia o risorsa?

Modena 4 maggio 2012 

Indubbiamente internet è una grande potenzialità conoscitiva per i ragazzi. Il Ministro Profumo, addirittura, propone di finirla con le traduzioni di latino a casa e invece di incrementare le abilità di utilizzo della rete per trovare li risorse conoscitive crescenti, magari lavorando in gruppo.

Però internet può diventare una insidia, come la cronaca ci insegna, con tanti casi di adescamento di minorenni via chat, e non solo nelle città del nord, anche vicino a casa nostra.
Il copione è sempre lo stesso: la presa viene inizialmente adescata sui social network, dove ci si scambiano foto e video sempre più provocanti; poi il carnefice, pena la diffusione del materiale compromettente, ricatta la vittima, costringendola a spingersi oltre, prima via webcam e poi dal vivo; quasi sempre protagonisti sono minorenni, i ragazzi e le ragazze hanno spesso paura che i propri genitori scoprano quanto stia loro succedendo e sottostanno agli abusi degli adescatori senza scrupoli.
E’ successo a Cerignola dove la vittima, una tredicenne della stessa età di tre dei suoi cinque aguzzini, è stata sequestrata e violentata. Di   RECENTE ANCHE A Frascati una 17 enne è stata adescata da uno studente universitario che l’aspettava in un bagno pubblico, per fortuna la ragazzina e i genitori ci hanno mandato i carabinieri, che lo hanno arrestato per tentata violenza sessuale e violenza provata ai danni di una minorenne.
A Como è stato arrestato  il 31 enne ex allenatore di calcio accusato di violenza sessuale  nei confronti di due giovani calciatori: i contatti venivano soprattutto via Facebook, con approcci abbastanza espliciti nelle chat in cui tra l’altro l’uomo, concluso il contatto chiedeva di cancellare sempre la cronologia.
Secondo Eurispe- Telefono Azzurro  il 14% dei ragazzi si è imbattuto in contenuti  contesti potenzialmente pericolosi, il 12% dichiara di esserne stato turbato. Pornografia, bullismo, sexting (messaggi  immagini a sfondo sessuale inviati da coetanei), incontri offline con persone conosciute online, contenuti inneggianti anoressia, odio, droghe, suicidio, internet addicction, riguardano una fetta altissima del campione. Dal 2001 la polizia postale ha chiuso 177 siti web con contenuti pedopornografici, l’11 per cento dei minori ha dichiarato di aver avuto contatti con pedofili, o con persone sospette, durante la navigazione in Rete. Il 25 per cento degli utenti on line ha inoltre subito un tentativo di accesso non autorizzato alle proprie informazioni. Su Facebook, pur di avere  più amici possibile, i ragazzi dichiarano di proporsi a sconosciuti. Le ragazze sono le più assidue frequentatrici, alla ricerca di amici sconosciuti.
Quale l’approccio corretto alla questione da parte degli educatori e dei genitori? Innanzitutto non servono atteggiamenti allarmistici che rischiano solo di amplificare la potenzialità mitologica della rete e di Facebook. Occorre parlarne, parlare con gli esperti e soprattutto prendere in seria considerazione la cosiddetta media education che deve diventare una priorità dei percorsi formativi della scuola italiana. Per questo la società Italiana di pediatria ha promosso un manifesto per un uso positivo e sicuro del web, una serie di “proposte concrete” da sottoporre a governanti ed educatori. Tra queste, rendere la banda larga disponibile ovunque, mettere una lavagna interattiva multimediale in ogni classe, integrare i materiali didattici con gli e-book, avvicinare i bambini all’uso del pc fin dalle elementari, promuovere la formazione sulle nuove tecnologie di insegnanti e genitori, favorire le lezioni sul web. Ossia, direzionare la curiosità dei bambini sulle risorse della rete, e distoglierla da quelle inutili, che sono poi anche quelle destrutturanti ed insidiose.
Bisogna organizzare secondo un mio parere un apposito servizi di consulenza gratuita per associazioni e singoli sulla media education e sull’uso corretto di internet, con pedagogisti, psicologi e sociologi che organizzeranno incontri formativi e colloqui singoli.

Assistenti sociali solerti solo quando devono togliere i figli?

La città di Trento assurge nuovamente alle cronache per l’operato del servizio sociale così tanto elogiato dall’assessore Ugo Rossi e dall’assessore Plotegher, così come  l’operato delle case famiglia a cui questo servizio si rivolge.
Mamma Nicole ha il problema dell’uso di stupefacenti, ed avendo necessità di essere seguita da una struttura idonea viene inviata da una assistente del servizio sociale presso la casa famiglia Padre Angelo di Trento insieme al figlioletto all’epoca di sei mesi. Qui dovrebbe essere seguita in primis dall’ente inviante e dalla struttura ospitante che risulterebbe idonea così come da statuto alla presa in carico di soggetti critici ed ai figli di questi. Succede che il tempo passa, per l’esattezza quasi due anni dove mamma Nicole viene parcheggiata in questa struttura. Perché diciamo parcheggiata? Perché nonostante necessiti essere seguita con adeguate terapie volte alla disintossicazione ed a un corretto inserimento nella società civile, viene invece abbandonata da chi ha proposto l’inserimento nella struttura di cui sopra e dagli stessi operatori della casa famiglia che non si adoperano per un percorso riabilitativo, ma dimenticano Nicole che continua nel suo percorso trasgressivo a fare uso saltuariamente di sostanze acquistate in paese.
E succede che mamma Nicole rimanendo incinta nuovamente partorisce pochi giorni fa, ma subito dopo il parto viene a sapere dalla solerte assistente sociale che mentre partoriva il suo primo figlio è stato trasferito in una nuova struttura con motivazioni ancora da accertare. Sorge spontaneo a questo punto domandarsi come mai si sia dovuto ricorrere solo in quel momento e così proditoriamente, stante le condizioni di una madre che ha appena partorito a questa soluzione quando lo stato di Nicole era conosciuto da sempre e nulla era stato attivato a suo sostegno.
Antonella Flati, presidente dell’associazione Pronto Soccorso Famiglia, in concerto con il consigliere comunale di Trento Gabriella Maffioletti, dichiara di voler avviare in merito una interrogazione alla Commissione Parlamentare per i Minori in cui chiederà l’immediata rimozione dell’assistente sociale che, oltre ad aver chiesto  l’onerosa collocazione in istituto di mamma Nicole, ha ignorato le sue reali necessità di cura e riabilitative non attivando i percorsi del caso.
Giova infine precisare che mamma Nicole durante i fine settimana si appoggiava alla propria famiglia ritenuta idonea dal servizio a svolgere un ruolo di supporto per ella, attorniata quindi dall’affetto di genitori e fratelli dove questa trascorreva il fine settimana e pertanto una importante risorsa per il collocamento almeno del minore che potrebbe essere seguito così da familiari piuttosto che essere rinchiuso in una nuova comunità sterile degli affetti di cui un bambino sicuramente necessita. Del caso se ne occuperà l’ormai noto Avvocato Francesco Miraglia del foro di Modena, presidente del comitato scientifico dell’associazione P.S.F. che si occuperà del risvolto legale

678 famiglie In Trentino private dei figli

«Ridateci i nostri figli!»: è l’appello di una cinquantina di persone, per lo più genitori di bambini allontanati dalle famiglie su decisione dei giudici, che si sono trovate in mattinata davanti al tribunale dei minori di Bologna. Una protesta silenziosa – a cui ha preso parte anche la consigliere comunale di Trento Gabriella Maffioletti –  contro giudici, psicologi, psichiatri, assistenti sociali che «hanno il potere di portar via i tuoi bambini», si legge su un volantino.
 
In particolare, il Comitato dei cittadini per i diritti umani chiede un’ispezione ministeriale nel tribunale bolognese, che tra l’altro ha gestito il caso di Anna Giulia, la bimba di sei anni tolta ai genitori reggiani Massimiliano Camparini e Gilda Fontana dopo che avevano sottratto la piccola in due diverse occasioni nel 2010.
Nel pomeriggio sempre, a Bologna,si è tenuto un convegno con alcuni esperti del settore, che trae spunto dal libro «Ridateci i nostri figli» a cura dell’avvocato Francesco Miraglia, difensore anche dei genitori di Anna Giulia. Tra i relatori, e prima davanti al tribunale bolognese, anche la trentina Gabriella Maffioletti. A luglio aveva presentato in Comune a Trento un ordine del giorno per chiedere la rivisitazione del ruolo dei servizi sociali: «A Trento non è passato per due voti ma è stato ripreso e approvato dai consigli comunali di Imola (Bologna) e Roma», ha detto ricordando poi che nella provincia di Trento ci sarebbero 678 famiglie “private” forzatamente dei propri figli e che, secondo dati del marzo 2011, il Trentino sarebbe  la seconda regione, dopo la Liguria, per numero di minori tolti e affidati a strutture di accoglienza

Francesco Miraglia all’attacco

L’avvocato, noto per la difesa dei genitori cui vengono sottratti i figli, nell’ambito del “caso Camparini” denuncia il Tribunale dei minori di Bologna. E non solo
Settimana “calda” per Francesco Miraglia, l’avvocato modenese salito agli onori delle cronache per avere assunto le difese di famiglie cui vengono sottratti i figli dalle autorità, in particolare dei coniugi Camparini.
Il 5 marzo ha presentato un esposto contro i giudici referenti del caso della bambina del Tribunale dei minori di Bologna. La piccola Anna Giulia Camparini è stata trasferita da una struttura casa-famiglia a una famiglia collocataria in stato preadottivo. Secondo Miraglia, «numerosi sono gli abusi e le violazioni che caratterizzano da alcuni anni l’attività del Tribunale per i minorenni di Bologna che nel giugno 2011 portò (da parte del Consiglio superiore della magistratura) a un’inchiesta. L’incredibile sentenza di adottabilità di Anna Giulia Camparini decisa dal Tribunale per i minorenni di Bologna oggetto dell’esposto è di fatto la punta dell’iceberg di una mala giustizia minorile che permette di mettere in evidenza, tra l’altro, abusi e violazioni».
In effetti, delle problematiche relative a tutele dei minori, affidi, famiglie separate, case-famiglia, ecc., LucidaMente si è spesso occupata (vedi Le due caste più intoccabili di tutte), anche segnalando alcune iniziative sulla questione della bigenitorialità da parte dell’Associazione Adiantum, del Comitato dei cittadini per i diritti umani-Ccdu e altre (“Salviamo la famiglia che si separa”), nonché alcuni casi personali («Io e la giustizia italiana: dalla condanna per pedofilia all’assoluzione») o, ancora, ospitando i pareri dei lettori (Aiutiamo le famiglie, non le case-famiglia).
Secondo Miraglia, le sofferenze, che colpiscono ormai migliaia di cittadini italiani, nascono da vari nodi: «La mancata applicazione del principio del giusto processo, nell’ottica della tutela del minore e delle parti interessate, nel procedimento di adottabilità e limitativi della potestà parentale; la lunghissima durata dei procedimenti, in genere caratterizzati dall’emissione di decreti provvisori concretamente diretti ad avere effetti per mesi e molti anni senza possibilità delle parti di reclamarvi; il difetto di adeguata penalizzazione e motivazione delle decisioni in situazioni di cosi gravi sofferenze quali quelle che riguardano l’allontanamento dei minore dall’ambito familiare domestico; l’emissione di provvedimenti di autorità, pure in difetto di condizioni di abbandono, dall’incomprensibile e immotivato allontanamento di minori dai propri genitori alla collocazione dei bambini in una sorta di orfanotrofio». La speranza, conclude Miraglia, è che «il muovo ministro di Grazia e Giustizia sia più attento a vicende così gravi rispetto agli ex ministri Giovanardi e Alfano, in altre faccende affaccendate, che non hanno mai perso l’occasione di predicare bene e razzolare male».
A completamento dell’iniziativa, il 7 marzo Miraglia ha deciso di adire l’autorità giudiziaria anche nei confronti della tutrice di Anna Giulia, colpevole tra l’altro, a suo dire, di «interventi a sproposito sulla stampa, che hanno, purtroppo, notevolmente condizionato tutto l’iter giudiziario e probabilmente, provocato gravi danni psicologici alla stessa Anna Giulia».
(v.v.)
(LucidaMente, anno VII, n. 75, marzo 2012)