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L’inefficienza del tribunale per i minorenni di Torino: un grido d’allarme per i diritti dei bambini

Torino (15 gennaio) La tutela dei diritti dei minori dovrebbe essere una priorità assoluta per ogni società civile tuttavia a Torino il Tribunale per i Minorenni sembra essere travolto da inefficienze strutturali che stanno compromettendo gravemente il benessere di molti bambini e delle loro famiglie questa realtà non può e non deve passare inosservata

Lo Studio Legale Miraglia impegnato nella difesa dei diritti dei minori e delle loro famiglie ha recentemente portato alla luce situazioni drammatiche che evidenziano i ritardi cronici nell’adozione di provvedimenti necessari per garantire la serenità dei minori tali ritardi che spesso si protraggono per mesi o addirittura anni rappresentano non solo una violazione del diritto dei bambini a vivere in un ambiente stabile e amorevole ma anche un fallimento del sistema giudiziario

Storie di sofferenza e incertezza

Tra i casi emblematici spicca quello di una bambina che da oltre cinque mesi può incontrare sua madre solo una volta al mese senza che vi sia stato emesso un provvedimento formale la separazione è avvenuta su richiesta del Servizio Sociale lasciando madre e figlia intrappolate in una situazione di sofferenza ogni incontro è carico di emozione e dolore ma il legame rischia di spezzarsi a causa della mancata tempestività del Tribunale

Un altro caso riguarda una bambina di due anni che da oltre un anno attende una decisione definitiva sulla sua custodia nonostante le relazioni estremamente positive della Neuropsichiatria Infantile che evidenziano la capacità del padre di offrire un ambiente amorevole e stabile nessun provvedimento è stato emesso l’inerzia giudiziaria rischia di compromettere il rapporto tra padre e figlia

Infine vi è la vicenda di un padre che da sei anni può vedere sua figlia solo in ambiente neutro nonostante siano trascorsi più di due anni dalla conclusione del procedimento il Tribunale non ha ancora preso una decisione la figlia rischia di raggiungere la maggiore età senza che vi sia stata una soluzione concreta

Un sistema in crisi

Questi esempi non sono casi isolati essi rappresentano un sistema in affanno incapace di rispondere tempestivamente alle esigenze dei più vulnerabili sebbene la carenza di personale e l’elevato numero di casi pendenti possano spiegare parzialmente i ritardi nulla può giustificare l’inerzia quando si tratta di diritti fondamentali ogni giorno che passa senza una decisione è un giorno sottratto all’infanzia di un bambino un tempo che nessuno potrà mai restituire

Un appello alla società e alle istituzioni

Di fronte a questa situazione allarmante lo Studio Legale Miraglia si è rivolto all’Assessore alle Politiche Sociali della Regione Piemonte e al Garante per l’Infanzia del Comune di Torino chiedendo un intervento immediato e risolutivo è essenziale che le istituzioni assumano la responsabilità di garantire il superiore interesse del minore sancito dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia

“Fiat iustitia ruat caelum” si faccia giustizia anche se crollassero i cieli questo principio dovrebbe guidare ogni decisione che riguarda i minori tuttavia la realtà ci racconta di un sistema che tarda a intervenire lasciando bambini e famiglie in balìa dell’incertezza

“Non nobis solum nati sumus” non siamo nati solo per noi stessi questo richiamo alla solidarietà e al dovere collettivo deve essere il motore di un cambiamento concreto è tempo che le istituzioni competenti intervengano con urgenza per garantire il diritto dei bambini a crescere in un ambiente amorevole e protetto

Il futuro dei nostri bambini dipende dalla capacità di agire oggi ogni ritardo è una ferita che rischia di lasciare segni indelebili la giustizia non può attendere

 

Bimba di 4 anni morta in circostanze misteriose: La triste storia di Alessandra fra abbandoni e lentezza della giustizia

 

Castelvenere / Tufino – Sul corpo della bimba segni di maltrattamenti, scottature, graffi, lividi ed evidente stato di malnutrizione. La storia di Alessandra Di Meo, la bimba morta a soli 4 anni in circostanze ancora tutte da chiarire, è davvero triste e piena di “si poteva fare sicuramente meglio e prima”. Il risultato di una serie di circostanze è stato la morte della piccola, avvenuta lo scorso 13 dicembre in un’abitazione ubicati a Tufino in paese in provincia di Napoli, quasi al confine con Avellino.
Alessandra era figlia di Alfonsa, 25enne di Castelvenere, e di Giuseppe, 23enne di Nola. La coppia per un periodo visse a Castelvenere (in provincia di Benevento) poi si separò perché l’uomo decise di andare a convivere con un’altra donna.
Fu sottratta alla madreLa morte di Alessandra
Pochi giorni fa, 13 dicembre 2024, la tragica conclusione con la morte di Alessandra Di Meo trovata priva di vita sotto la scale di casa, secondo la coppia con cui viveva, la piccola sarebbe caduta dalle stesse scale. Non è d’accordo la Procura della Repubblica che ha aperto una indagine a carico della coppia a cui Alessandra fu lasciata dal padre. Si ipotizzano i reati di maltrattamenti e omicidio colposo.
I maltrattamenti
Sul corpo della bimba segni di maltrattamenti, scottature, graffi, lividi ed evidente stato di malnutrizione. Per questa ragione gli investigatori ipotizzano a carico della coppia i reati di maltrattamenti e omicidio colposo.
L’autopsia
I medici hanno analizzato il corpo della piccola per oltre tre giorni, hanno fatto analisi, test e verifiche, non hanno trascurato nulla, dovranno stabilire con certezza le cause della morte e saranno importanti anche per capire se c’è stato un ritardo nel chiamare i soccorsi. C’è grande attesa per la relazione tecnica dei periti.
Le due telefonate
Nell’immediatezza della tragedia vennero fatte due telefonate al 118: nella prima si faceva riferimento a una broncopolmonite, nell’altra, invece, si parlava della caduta dalle scale.

LA PRECISAZIONE DELL’AVVOCATO MIRAGLIA:
“Il mio Assistito – Giuseppe Di Meo – non ha mai abbandonato la figlia Alessandra così come si evince invece dall’articolo sopracitato. E’ stato già chiesto con lettera del 30.12.2024 del sottoscritto, ai Servizi Sociali del Comune di Tufino se e quando gli stessi hanno effettuato visite domiciliari presso l’abitazione di collocazione della minore, se e quando sono state redatte relazioni circa lo stato della piccola Di Meo Alessandra, se e quando è stato informato il Tribunale dei Minorenni circa la collocazione presso cui si trovava, se e quando è stata redata una relazione di valutazione circa le capacità di accudimento della coppia in cui era collocata Alessandra. Attendiamo urgente riscontro a quanto chiesto da parte dei Servizi Sociali di Tufino, i quali erano a conoscenza già dall’agosto/settembre 2024 della collocazione della minore. Per il resto, confidiamo nel lavoro della Procura al fine di chiarire tutti gli aspetti di questa vicenda e le relative responsabilità che hanno portato al decesso della piccola

Biella: educatrice denunciata per manipolazione di due minori contro la madre

(Biella 23 dicembre 2024) – Emergono preoccupazioni riguardo ai servizi sociali affidati alle cooperative, evidenziando la mancanza di controlli da parte delle istituzioni e i conseguenti abusi e ingiustizie che colpiscono i più vulnerabili.

Questa è la situazione in cui si è trovata una madre biellese, coinvolta insieme alle sue due figlie di dieci e quattro anni.

L’avvocato Miraglia, legale della donna, descrive una situazione allarmante. “A causa di compagni violenti, la mia assistita si è dovuta rivolgere a un centro antiviolenza. Di conseguenza, il caso è stato preso in carico dai servizi sociali e affidato a una cooperativa esterna”.

Ciò che doveva essere un percorso di protezione si è trasformato in un incubo.

Durante un incontro protetto, la figlia maggiore ha riferito di essere stata picchiata dalla madre. Senza un’indagine approfondita, l’educatrice della cooperativa ha redatto una relazione accusatoria, dipingendo la donna come una madre inadeguata e proponendo l’affidamento delle bambine ai rispettivi padri, entrambi con precedenti episodi di violenza.

Uno dei padri, inoltre, ha un passato segnato dalla tossicodipendenza ed è stato coinvolto in operazioni giudiziarie, con un arresto legato al traffico di droga insieme ad altre 36 persone.

Non si tratta di alimentare conflitti tra i genitori, ma di sottolineare la necessità di un approccio più attento e imparziale nella gestione di situazioni familiari complesse, evitando manipolazioni e condizionamenti.

Invece di mantenere un approccio neutrale, l’educatrice avrebbe cercato di manipolare le dichiarazioni della bambina. Una registrazione audio agli atti mostra frasi come: “Allora sono successe delle cose che ti hanno fatto stare molto male, ok?” e “Ne parliamo un’altra volta così hai tempo di pensarci”. Queste parole lasciano intendere un tentativo deliberato di influenzare la testimonianza.

Mentre i servizi sociali si sono basati esclusivamente sulle relazioni della cooperativa, le valutazioni degli psicologi descrivono la madre come una figura premurosa e attenta, smentendo l’immagine di donna violenta dipinta dall’educatrice.

L’educatrice è stata denunciata alla Procura della Repubblica di Biella per falsità ideologica in atti pubblici e circonvenzione di incapaci.

“L’esternalizzazione dei servizi sociali alle cooperative – conclude l’avvocato Miraglia – ha eliminato di fatto il controllo diretto degli enti pubblici. Le famiglie si ritrovano così in balia di decisioni arbitrarie e incontrollate, spesso motivate più dal profitto che dal reale interesse per il benessere dei minori”.

Questa vicenda solleva interrogativi urgenti sulla gestione e sul monitoraggio dei servizi sociali affidati a terzi. Occorre una seria riflessione sull’introduzione di strumenti di controllo più efficaci per tutelare i diritti dei bambini e delle famiglie coinvolte.

Sarebbe preferibile che i servizi sociali fossero gestiti direttamente dall’amministrazione comunale anziché essere appaltati a cooperative esterne. Un controllo diretto garantirebbe maggiore trasparenza e tutela, evitando situazioni di abuso e decisioni arbitrarie.

Questa vicenda dimostra l’urgenza di un intervento legislativo volto a regolamentare e monitorare con maggiore attenzione il lavoro delle cooperative e degli operatori sociali. È fondamentale che le autorità preposte introducano norme più stringenti e strumenti di verifica efficaci per prevenire situazioni simili, garantendo così la protezione dei diritti fondamentali delle famiglie e dei bambini coinvolti.

 

Il ritorno di Luca: quando il sostegno preventivo può evitare allontanamenti ingiustificati

 

Il Tribunale per i Minorenni di Caltanissetta ha autorizzato il rientro del piccolo Luca, nome di fantasia, presso l’abitazione dei nonni materni, ponendo fine a un periodo in cui sia lui che la sua mamma erano stati collocati in una casa famiglia. La decisione è il risultato di un lungo percorso di valutazione che ha coinvolto esperti, psicologi e assistenti sociali e che ha avuto come obiettivo principale il benessere del minore e la ricostruzione di un ambiente familiare adeguato. Tuttavia, la vicenda solleva importanti interrogativi sull’efficacia delle politiche di tutela dei minori e sull’urgenza di adottare interventi tempestivi per prevenire situazioni di allontanamento che spesso risultano evitabili. La madre di Luca, nonostante le difficoltà personali, ha sempre mantenuto un legame affettivo forte con il figlio. Questo aspetto, riconosciuto dal Tribunale, avrebbe potuto essere valorizzato sin dall’inizio attraverso un sostegno concreto che evitasse il collocamento della diade in una struttura esterna. I nonni materni, oggi riconosciuti come risorsa preziosa e disponibili ad accogliere Luca nella loro casa, rappresentano una soluzione che avrebbe potuto essere presa in considerazione già in una fase iniziale. La decisione di ricorrere al collocamento in casa famiglia ha avuto un impatto emotivo significativo, non solo sul bambino ma anche sulla madre, e mette in evidenza la necessità di un sistema di supporto più efficace. L’avvocato  Miraglia, legale della madre, ha accolto con soddisfazione il provvedimento del Tribunale, ma ha anche invitato a riflettere sull’intero approccio del sistema di welfare nei confronti delle famiglie in difficoltà. “Questa decisione rappresenta un passo importante per Luca e la sua mamma, ma solleva un tema cruciale: se si fosse intervenuti con un supporto adeguato e tempestivo, si sarebbe potuta evitare una separazione lunga e dolorosa”, ha dichiarato. “Le case famiglia e i collocamenti in comunità devono rappresentare l’ultima istanza, da adottare solo quando ogni altra possibilità è stata esaurita. È necessario che il sistema di tutela dei minori si concentri maggiormente sul rafforzamento delle famiglie, offrendo loro strumenti di sostegno per superare le difficoltà senza compromettere i legami fondamentali tra genitori e figli”.  Questa vicenda porta a riflettere sul ruolo cruciale delle istituzioni e dei servizi sociali. Il collocamento in casa famiglia, pur giustificato dalla volontà di proteggere il minore, evidenzia i limiti di un sistema che spesso interviene in modo reattivo, piuttosto che preventivo. Investire nella prevenzione significa creare reti di supporto più solide e attivare risorse familiari prima che si giunga a decisioni drastiche. Il potenziamento dei servizi sociali, con personale adeguatamente formato e protocolli operativi chiari, è essenziale per garantire interventi mirati e tempestivi. Una maggiore collaborazione tra istituzioni e famiglie, insieme alla valorizzazione delle figure familiari di supporto, come i nonni in questo caso, potrebbe evitare che molte situazioni si trasformino in separazioni traumatiche e dolorose. Il rientro di Luca presso l’abitazione dei nonni materni non è solo un traguardo per il minore e sua madre, ma rappresenta anche un’opportunità per ripensare le politiche sociali e giudiziarie. Mantenere il bambino all’interno del suo contesto familiare, quando possibile, non è solo un diritto del minore, ma anche un dovere delle istituzioni che devono fare tutto il possibile per garantire stabilità, affetto e continuità nelle relazioni familiari. Come dimostra questa vicenda, un intervento più tempestivo e meno invasivo avrebbe potuto evitare una sofferenza inutile e rafforzare il nucleo familiare fin dall’inizio. Questa vicenda deve servire come monito e spunto per migliorare le pratiche di tutela dei minori. Un sistema che privilegi il sostegno alla famiglia come primo passo, anziché come soluzione tardiva, può prevenire traumi evitabili e garantire un futuro migliore per i bambini e i loro genitori. Il caso di Luca è emblematico di come sia possibile fare di più e meglio, lavorando per un sistema che metta al centro la prevenzione, il rispetto dei legami familiari e il benessere dei minori, evitando scelte drastiche che, come in questo caso, si sarebbero potute prevenire.

 

Ritorno a casa: una decisione del Tribunale segna la fine di un lungo periodo di separazione

(Caltanisetta 15 novembre 2024) Finalmente, dopo un lungo e difficile periodo trascorso in comunità, la mamma e il suo bambino sono tornati a casa. Un passo importante per la loro serenità, dopo tanto dolore e separazione. Il Tribunale per i Minorenni di Caltanissetta ha restituito loro la dignità e la speranza di un futuro insieme, nonostante le difficoltà. La giustizia, pur con le sue complessità, ha dato loro la possibilità di ricominciare.

Roma: mamma sinti tredicenne potrà riavere la bambina

La Corte d’Appello annulla la sentenza di adottabilità

ROMA (24 ottobre 2024). Sentenza annullata: la tredicenne sinti potrà riavere la sua bimba, che le era stata tolta appena nata per essere dichiarata adottabile. La Corte di Appello di Roma ha accolto il ricorso presentato dalla famiglia della ragazzina, tramite l’avvocato Miraglia: nessuno era stato informato della dichiarazione di adottabilità della piccola e soprattutto alla giovane mamma non è stata offerta la possibilità – prevista per legge – di riconoscere la figlia, una volta raggiunti i 16 anni di età.

«Una bella vittoria – dichiara l’avvocato Miraglia, che annuncia –: abbiamo denunciato l’assistente sociale e il giudice relatore al tribunale di Perugia, auspicando che il gip li rinvii a giudizio, in quanto è ormai chiaro, e sancito anche dalla sentenza d’appello, che hanno palesemente violato la legge».

La vicenda risale al 2023, quando la giovane mamma tredicenne era ancora incinta della sua bambina. Gli assistenti sociali la spediscono a vivere in una casa famiglia fino al momento del parto, avvenuto a maggio, dopo il quale non le viene data la possibilità di stare con la figlioletta se non per una manciata di giorni. Con l’ inganno, fingendo di portarla a fare una visita di controllo, affidano la neonata a una famiglia. Nel frattempo, con una celerità inusuale – 28 giorni appena – il Tribunale per i Minorenni di Roma emana la sentenza di adottabilità della bambina, adducendo un presunto “stato di abbandono” della piccola.

In realtà la neo mamma ha attorno a sé l’intero nucleo familiare che la supporta, ma soprattutto accade qualcosa di contrario ad ogni principio legislativo: in pieno spregio della legge 184/83 alla mamma non viene concessa la possibilità di poter attendere i 16 anni per riconoscere la figlia. E per giunta a nessuno dei familiari è stato comunicato l’avvio del procedimento di adottabilità. La ragazza invece avrebbe dovuto mantenere la bimba con sé in seno alla sua famiglia, fino al compimento di 16 anni e poi diventarne madre a tutti gli effetti.

Sulla base di queste aperte violazioni della legge, all’udienza della Corte d’Appello, svoltasi lo scorso 17 settembre, i giudici hanno accolto il ricorso, dichiarando la nullità della sentenza di adottabilità del Tribunale per i Minorenni di Roma, confermando però il collocamento della bimba presso la famiglia affidataria, per non causarle dei traumi, fintantoché non si compia il processo di graduale avvicinamento della piccola alla madre naturale e possano stare finalmente insieme.

Questa vicenda solleva una questione ancora più ampia: il problema della giustizia non riguarda solo i grandi casi , ma anche le persone comuni, spesso appartenenti alle fasce più deboli della società. In questo caso specifico, i giudici e gli operatori coinvolti sembrano aver agito con una grave negligenza. Se ignoravano le norme, si tratta di una questione di incompetenza, ma se, al contrario, erano pienamente consapevoli delle leggi e hanno scelto deliberatamente di non applicarle, ci troviamo di fronte a un problema ancora più preoccupante. Questo atteggiamento potrebbe addirittura far pensare che tali violazioni siano avvenute perché la vicenda riguarda una famiglia Sinti? È un interrogativo scomodo, ma che merita di essere posto, perché il diritto deve essere uguale per tutti, indipendentemente dall’origine etnica o sociale.

 

 

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Ancona: lo stato italiano condannato dalla Corte europea

Ha violato il diritto di una mamma allontanata dal figlio Richiesto risarcimento all’assistente sociale

ANCONA (6 agosto 2024). Lo Stato italiano ha violato i diritti umani di una mamma: così si è espressa la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, di fatto condannando anche l’Assistente Sociale che da anni impedisce a una mamma di Ancona di vedere il figlio. La mamma ha richiesto un risarcimento in ragione dei danni subiti.

«Anche la Corte dei Diritti Umani riconosce che molti allontanamenti di minori nascondono vere e proprie adozioni mascherate» commenta l’Avvocato Miraglia, legale della mamma ed esperto in Diritto di famiglia e Diritto minorile. Da almeno quindici anni, Miraglia si batte contro gli allontanamenti immotivati di bambini provenienti da famiglie fragili (spesso con scarse risorse economiche o di origine straniera), e che vengono affidati a coppie senza figli e mai restituiti alla famiglia di origine, nonostante l’affidamento dovrebbe essere temporaneo e con carattere d’urgenza.

La mamma, fin dalla nascita del figlio nel 2013, combatte contro i Servizi Sociali di un Comune della provincia di Ancona. Inizialmente, questi ultimi si prendevano cura di lei e del figlio neonato, ma con il tempo hanno allontanato il bambino, affidandolo a una coppia e impedendo gli incontri con la madre che bambino non riconosce più come genitrice.

Esausta, la mamma decide di ricorrere, nell’aprile 2020, alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Nel marzo 2022, la Corte rileva la violazione dell’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti Umani da parte dello Stato Italiano, nella misura in cui «nonostante la decisione del Tribunale per i Minorenni di Ancona che disponeva gli incontri, questi non hanno mai avuto luogo, poiché i Servizi Sociali non li avevano organizzati, il tutore del bambino aveva preso atto di questa situazione senza intervenire e/o proporre ulteriori azioni, e lo stesso Tribunale non ha usato gli strumenti legali esistenti per controllare l’attività e le omissioni dei Servizi Sociali».

La Corte ha inoltre rilevato che il Tribunale per i Minorenni di Ancona non ha mai fornito spiegazioni sui motivi a fondamento della sospensione degli incontri tra madre e figlio, di fatto troncando qualsiasi rapporto tra loro per un periodo superiore a cinque anni e prolungando il collocamento del bambino presso una famiglia affidataria per un tempo indefinito. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha riconosciuto quindi un danno sia patrimoniale che non patrimoniale. A fine luglio, la mamma ha depositato la richiesta di risarcimento danni contro l’Assistente Sociale responsabile del provvedimento. Ha inoltre dato mandato per citare ai danni sia l’Assistente Sociale che l’amministrazione comunale per responsabilità oggettiva.

«Abbiamo ricevuto un riscontro anche dalla Corte Europea di quanto sosteniamo da anni – prosegue l’avvocato Miraglia – ovvero che in molti Servizi Sociali e Tribunali italiani si opera in modo da allontanare i minori affidandoli a coppie che li tengono per sempre, trasformandole in quelle che definiamo “adozioni mascherate”, senza considerare il dolore inferto ai genitori e gli strappi emotivi e lo stato di abbandono che questi bambini affronteranno da adolescenti e da adulti. Speriamo che tale iniziativa possa essere la prima di una lunga serie. Purtroppo, questo non è un caso isolato, sia ad Ancona che in tutti i Tribunali per i Minorenni d’Italia. Auspichiamo che il Tribunale per i Minorenni di Ancona non solo prenda atto di questa vicenda, ma anche che controlli che situazioni del genere non accadano più. Questa mamma ha subito un dolore paragonabile quasi a un lutto».

L’azione di risarcimento danni avanzata da questa mamma potrebbe essere la prima di una lunga serie. Purtroppo, questo caso di Ancona non è isolato.