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Bimba autistica affidata ai servizi sociali . Non le garantiscono cure adeguate: la piccola è gravemente peggiorata

MILANO (29 settembre 2018). Una bimba milanese, autistica, è stata affidata ai Servizi sociali a causa delle controversie insorte tra i genitori in occasione della loro separazione. Ci sta, capita sovente che trovandosi di fronte a genitori inconciliabili, i Servizi sociali si prendano in carico le decisioni relative ai bambini. Quello che però è accaduto a questa bimba è di una gravità inaudita: il Servizio sociale che avrebbe dovuto garantirle salute e stabilità, non le ha concesso di venire seguita da un centro specializzato, pubblico, obbligandola invece, senza motivo, a seguire le cure con terapiste private. Che non solo non sono risultate efficaci, ma anzi, la piccola è pure peggiorata nel corso degli anni.
«Dove possono arrivare la superficialità e anche la cupidigia umana?» si interroga l’avvocato Francesco Miraglia, cui il padre della piccola (che tra l’altro non la vede da anni, immotivatamente) si è rivolto per avere l’applicazione dei provvedimenti emessi dal Tribunale ma disattesi, chissà perché, dai Servizi sociali. «Pur di favorire professionisti amici e pur di trarre profitto, si arriva a mettere a repentaglio la salute di una bambina piccola e incapace di protestare o manifestare apertamente il suo disagio».
La bimba non è stata indirizzata al centro di eccellenza pubblico, bensì a cure privare, guarda caso nel centro in cui opera la stessa psicologa che la segue per conto dei Servizi sociali. Ovviamente a pagamento. Il padre della bimba si è pure trovato le fatture delle prestazioni da pagare, nonostante avesse avvertito i Servizi sociali che il centro pubblico fosse disposto a prendere in carico la figlia, pressoché gratuitamente. E si tratta di un centro d’eccellenza, dalla riconosciuta validità per il trattamento dell’autismo.
Visto l’aggravamento delle condizioni della piccola, il padre ha fatto causa ai Servivi sociali e al Comune di Milano, chiedendo loro il risarcimento dei danni.
 
 

Tenta il suicidio pur di tornare in carcere

Milano.Ci Risiamo. Giacomo ragazzo 17enne  residente in un comune dell’interland Milanese, già conosciuto all’opinione pubblica in quanto nel mese di giugno scorso era scappato da una comunità in provincia di Pavia, è  scappato nuovamente.
I primi giorni di agosto, dal Beccaria veniva trasferito in una ennesima comunità in provincia di Mantova,  alcuni giorni fa era scappato dalla comunità e si era quindi presentato al Beccaria chiedendo di poter terminare la sua pena in carcere. Il PM di turno invece non lo ha ascoltato e ha disposto il riaccompagnamento a forza in comunità tramite le forze dell’ordine. Poche ore dopo essere stato riaccompagnato in comunità Giacomo  si è auto-lesionato come estrema richiesta di aiuto per poter uscire dalla comunità e tornare in carcere.
Oggi, dopo questo gesto estremo, le sue richieste sono state accolte.
“Senza entrare in alcun modo in merito alla responsabilità del mio assistito, un ragazzo poco più che 17enne, credo che il fatto che un ragazzo “preferisca” commettere un gesto estremo per costringere l’autorità giudiziaria a riportarlo in carcere pur di non restare in comunità la dica lunga sul funzionamento di queste comunità. La dice lunga anche su come la giustizia minorile non funzioni. Non può succedere che un ragazzo allontanato dai propri genitori per opera dei servizi sociali di San Donato sia abbandonato a sé stesso. Ha oltre modo dell’incredibile il fatto che i servizi sociali che si sono occupati del minore da quando aveva 12 anni non abbiamo mai proposto un percorso serio, competente e tutelante, senza per altro permettere ai genitori di intervenire nelle decisioni della vita del figlio. Spero che le istituzioni e il sindaco di San Donato sappiano dare delle risposte e non trincerarsi dietro a mere difese d’ufficio come sino ad oggi. Spero vivamente che gli operatori referenti facciano un esame di coscienza sul loro operato, affinché da ora in poi vengano applicati percorsi studiati ad hoc soprattutto di fronte a problematiche così gravi e con diversi profili da tutelare ed approfondire. Altrimenti il vero “fallimento” resterà quello delle istituzioni.” Sostiene l’avvocato Francesco Miraglia che difende il ragazzo e la famiglia.
Il Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani (CCDU) Onlus si occupa da tempo della vicenda di Giorgio (nome di fantasia), sia quando era stato collocato in una comunità psichiatrica contro la sua volontà sia quando era stato sbolognato alla famiglia dopo essere stato rovinato.
Prima del collocamento in comunità psichiatrica, Giorgio era sì un ragazzo difficile perché proveniente da un’adozione dalla Russia, ma non si drogava né spacciava. Invece, poco dopo le dimissioni, la mamma ci aveva contattati dicendoci che Giorgio prima era un ragazzo difficile ma non faceva uso di sostanze e non fumava, avevamo alcune speranze di poterlo aiutare; ora siamo disperati: dopo l’intervento dei Servizi Sociali di San Donato Milanese e dei neuropsichiatri della UONPIA con il collocamento in comunità, nostro figlio è peggiorato.
La mamma di Giorgio ha deciso di lanciare l’ennesimo appello alle autorità: “È importante conoscere l’intera storia di nostro figlio per poterlo aiutare seriamente. Viene continuamente sballottato tra i diversi operatori e gli vengono somministrati e sospesi psicofarmaci senza nessuna progettualità. Vi prego di permetterci di proporre un progetto valido per lui. Se non siete in grado di aiutarlo almeno permettete a noi di farlo.”
Secondo Paolo Roat Responsabile Nazionale Tutela Minori del Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani (CCDU) Onlus: “I protocolli e le procedure in atto nella tutela minorile si sono dimostrate fallimentari. Non è un problema della società moderna, né un problema dei ragazzi di oggi: il problema è la mancanza di soluzioni efficaci per gestire e risolvere il disagio giovanile. In mancanza di soluzioni ci rivolge all’approccio psichiatrico che non fa altro che sedare il disagio con dei metodi coercitivi e con gli psicofarmaci. Anche con Giorgio stanno sbagliando di nuovo: lo stanno sedando invece di capirlo e aiutarlo. Ma il disagio non va sedato, il disagio va compreso e risolto. Le soluzioni ci sono. Possiamo aiutare questi ragazzi!”

Aeci Verona 3 e Studio legale Miraglia insieme contro i soprusi

Nasce una collaborazione in difesa dei consumatori veneti e emiliani-romagnoli
Verona (10 agosto  2018). La sede veronese dell’Aeci, Associazione Europea Consumatori Indipendenti, ha avviato una collaborazione con lo studio legale Miraglia di Modena. Gli associati avranno quindi la possibilità di ottenere tutela legale in eventuali controversie che abbiano come soluzione una causa civilistica, oltre alle controversie e conflitti con gli enti gestori di servizi. «I nostri oltre mille associati avranno quindi l’opportunità di veder ascoltate e risolte anche problematiche che comportino conflittualità con altri cittadini» illustra Daniele Barbieri, presidente Aeci Verona 3 «oppure con i vicini, con i coniugi per la causa di separazione e per l’affidamento dei figli, con le banche, per risarcimenti danni e infortuni. Un servizio in più, che offriamo ai nostri associati per dirimere tutte le problematiche in cui possano incorrere nel corso della loro vita». L’Aeci è presente a Verona dal 2011 ed è un’associazione indipendente, che opera per tutelare, difendere e informare i consumatori.
Lo studio Miraglia ha sede a Modena, ma opera in tutta Italia: pur occupandosi principalmente di diritto penale, ama confrontarsi con qualunque situazione legale e con qualunque causa giudiziaria permetta di soddisfare l’innato senso di giustizia che caratterizza i legali che lo compongono. «Nel corso degli anni mi sono occupato spesso di diritti dei minori» spiega l’avvocato Francesco Miraglia, «seguendo casi difficili ed eclatanti, che hanno avuto risonanza mediatica in tutta Italia. Offriamo quindi la nostra esperienza e capacità anche agli associati Aeci che fossero coinvolti e vittime, loro malgrado, di situazioni di ingiustizia sociale».

Bari: coppia minacciata dai servizi sociali

Potranno riavere finalmente il loro bimbo
BARI (20 luglio 2018). Non è mai stato con la sua mamma e il suo papà, perché il Tribunale dei minorenni di Bari lo ha sottratto ai genitori quando aveva appena quindici giorni di vita. E’ vissuto in comunità e con una famiglia affidataria, ma adesso finalmente un bimbo di 4 anni potrà vivere con i suoi genitori. Questo nonostante la famiglia avesse avuto contro gli stessi Servizi sociali che dovevano invece sostenerla. Anzi, gli operatori sociali avevano persino intimato alla coppia di cambiare avvocato e di sceglierne uno di concerto con loro. Questo perché il legale, l’avvocato Francesco Miraglia, aveva denunciato alcune irregolarità e pregiudizi commessi da alcuni operatori sociali baresi nella gestione di questa vicenda. Altrimenti – avevano detto ai genitori – se non avessero cambiato avvocato, il giudice, che faceva quanto loro suggerivano, non avrebbe fatto più rivedere e riavere il loro piccino. Affermazioni gravissime. «Alla fine abbiamo ottenuto una perizia imparziale» commenta l’avvocato Miraglia, «che ha dimostrato come i genitori di questo bambino siano ormai in grado di prendersi cura di lui, con responsabilità e affetto. Sulla base di questa perizia il tribunale ha stabilito che il bambino possa finalmente abitare con i suoi genitori, che finora ha visto solo in maniera saltuaria. Certo, i genitori dovranno seguire un percorso, ma questo – ha stabilito sempre il tribunale – non dovrà essere invasivo o punitivo, ma di accompagnamento e sostegno. Nulla a che vedere con le vergognose minacce e intimidazioni ricevute dagli operatori sociali. Il tribunale dei minorenni di Bari ha operato sulla base di prove certe e valutazioni verificate, senza lasciarsi influenzare dalle opinioni e dagli umori di qualche operatore. E le prove hanno dimostrato senza alcun dubbio che i miei assistiti, questi due genitori, erano adatti ad occuparsi del loro figlio e hanno atteso fin troppi anni per poter essere una famiglia».
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Viene bullizzato a scuola: lo tolgono ai gentori

. Secondo il Tribunale dei Minori di Venezia, nasconderebbe così i maltrattamenti in famiglia. E manda numerosi poliziotti a prelevare lui e la sorella
JESOLO (18 giugno 2018). «Neanche fosse un pericoloso malvivente» commenta l’avvocato Francesco Miraglia, cui la famiglia del ragazzino, un quindicenne di Jesolo, si è rivolta per ottenere giustizia. «A parte l’incomprensibile motivazione per la quale vogliono allontanare da casa il ragazzo e la sorella, è lo spiegamento di forze che è stato utilizzato per portare i ragazzi in una comunità che ha dell’incredibile. Il Tribunale dei Minori di Venezia non si smentisce: dopo il ragazzo padovano che voleva allontanare dalla madre e dalle sorelle perché ritenuto troppo “effeminato”, adesso vuole portare via ai genitori un ragazzino, vittima di bullismo, invece di aiutarlo».
Tre volte i Servizi sociali si sono presentati alla porta dei genitori dei due adolescenti, di 15 e14 anni, le due ultime volte scortati da poliziotti armati.
Il ragazzo due anni fa venne preso di mira, anche con violenza, da alcuni bulli a scuola, la quale però non ascoltò né lui né i genitori e non prese alcun provvedimento. Il ragazzino, traumatizzato, non riuscì a tornare a scuola e venne bocciato per le eccessive assenze. Per tutta risposta, la scuola segnalò la famiglia ai Servizi sociali e da qui iniziò un nuovo incubo. I Servizi sociali si presentano ad agosto per portare via i bambini e accompagnarli in comunità, convinti del fatto che gli episodi di bullismo siano solo il tentativo del ragazzo di nascondere i maltrattamenti subiti in famiglia. Non avendo ricevuto alcun decreto, i genitori si opposero all’allontanamento dei loro figli: le assistenti sociali sono quindi tornate ad ottobre, facendosi autorizzare dal tribunale ad essere accompagnate dai poliziotti. E visto l’ennesimo diniego, sono tornate ancora lo scorso maggio, con un ulteriore dispiegamento di forze dell’ordine.
«Armati come nemmeno si trattassero di pericolosi latitanti» prosegue l’avvocato Miraglia. «La prossima volta chi manderanno? I carabinieri dei Ros? Tra l’altro il provvedimento è stato emesso senza aver mai ascoltato i ragazzi, senza perizia alcuna. Abbia presentato istanza con richiesta di sospensione del provvedimento di allontanamento e convocazione delle parti: resta il fatto che il Tribunale dei minori di Venezia ha la tendenza ad allontanare un po’ troppo spesso i ragazzi da casa per motivi inesistenti».

Obbligato a vedere il padre violento , pena il trasferimento in una comunità: clamorosa marcia indientro

Clamorosa marcia indietro del tribunale dei minori di Bolzano: il ragazzo vedrà il papà solo dopo che entrambi avranno seguito un percorso psicologico
 
BOLZANO (9 giugno 2018). Pareva urgente obbligarlo a vedere quel padre che lui insisteva a non voler incontrare. Minacciato persino di venire allontanato dalla mamma e spedito in casa famiglia se non avesse ottemperato alle disposizioni del tribunale, era disposto a vivere con estranei piuttosto che rivedere il padre che – continuava ad insistere il ragazzino – era stato violento con la madre, ma anche con lui.
«Ebbene il tribunale dei minori di Bolzano alla fine ha assunto la decisione che da mesi proponevamo: lasciare il ragazzino con la madre e far seguire un percorso psicologico tanto al bimbo che al padre, per consentire che si riavvicinino con serenità». Soddisfatto l’avvocato Francesco Miraglia, che ha assunto la tutela legale del ragazzino e della madre, la più felice sicuramente, dopo mesi di battaglie. Il caso ha avuto una notevole risonanza, anche a livello mediatico oltre che politico: è stato oggetto, infatti, di un’interrogazione che il consigliere Andreas Pöder, del partito Bürger Union für Südtirol, ha presentato al Consiglio regionale del Trentino–Alto Adige. «Questo collegio di giudici ha compreso la situazione» prosegue l’avvocato Miraglia, «andando oltre la fredda e rigida prassi burocratica, si è soffermato ad “ascoltare” il ragazzo e le sue richieste. Da mesi ripetevamo fosse esagerato costringerlo ad incontrare il padre, arrivando persino a minacciarlo di strapparlo alla madre per portarlo in una comunità, come aveva disposto in precedenza il medesimo tribunale, che ora, con questo provvedimento, sicuramente sconfessa se stesso o per lo meno fa sorgere delle perplessità sull’operato del primo giudice e sulla sua decisione così grave e imperiosa. Al di là della soddisfazione per il felice esito della vicenda, su quest’ultimo aspetto va fatta sicuramente chiarezza».

Diciassettenne scomparso da cinque giorni dalla comunità cui è affidato: I Servizi sociali non sapevano nemmeno che fosse sparito. L’avvocato Miraglia: “Temo per la sua incolumità”

MILANO (5 giugno 2018). Sono ore di apprensione per un diciassettenne, da cinque giorni scomparso dalla comunità in provincia di Pavia cui era stato affidato in seguito a un arresto per spaccio di droga. Nessuno sa dove sia, ma nessuno si è nemmeno mosso a cercarlo. Ammesso possa essere un ragazzino difficile, resta comunque un minorenne, invischiato in situazioni più grandi di lui, tanto da far temere seriamente per la sua incolumità.
 
«Se gli dovesse succedere qualcosa di grave, di chi è la responsabilità?» si interroga l’avvocato Francesco Miraglia, che segue la famiglia del ragazzo da anni. «I genitori si sono rivolti per ben due volte ai carabinieri di zona per sapere se erano state avviate le sue ricerche» prosegue il legale, «mentre i Servizi sociali, cui è affidato e che hanno disposto a suo tempo l’allontanamento del minore dalla famiglia,  non hanno mosso un dito: anzi, nemmeno sapevano che fosse scomparso da ben cinque giorni. E’ questo l’aiuto che si fornisce ai ragazzi quanto li si toglie dalle famiglie e li si affida alle comunità? A parte che questo ragazzo, sballottato da una comunità all’altra fin da piccolo, prima di frequentarle non fumava né spacciava. Stamattina si è celebrata l’udienza per la sua messa in prova come misura alternativa al carcere: ma lui non c’era e nessuno sa dove sia andato. Ai suoi genitori, che si erano rivolti ai Servizi sociali per trovare aiuto e che se lo sono visto strappare per essere affidato a una struttura, in questo momento manca un figlio. L’appello che possiamo lanciare a lui è di tornare, che le cose si possono aggiustare, e alle istituzioni di avviare serie ricerche».
 
Il ragazzo, che ha compiuto diciassette anni da poco, è stato adottato da un’ottima famiglia, ma i traumi legati all’abbandono in tenerissima età gli hanno lasciato dentro dei segni profondissimi da cui scaturiscono i suoi disagi: aveva bisogno di aiuto e come soluzione ai suoi problemi, invece che un aiuto concreto si è proceduto ad allontanarlo dai genitori adottivi. Una situazione che lo ha fatto soffrire ancora di più, come dimostrano le ripetute fughe dalle comunità per tornare a casa. E’ stato costretto ad andare in tre strutture diverse: in una era l’unico ragazzino in mezzo a degli adulti, nell’altro era l’unico italiano, la terza era una comunità psichiatrica. In luoghi simili si è trovato costretto ad affrontare problemi ulteriori a quelli che aveva già: logico che scappasse. E adesso ha imboccato una strada sbagliata: tra l’altro è stato proprio in comunità che ha iniziato a fumare e a frequentare compagnie poco raccomandabili.

Donna picchiata dal marito chiede aiuto agli assistenti sociali Le portano via la figlia: non la vede da quattro anni

TRENTO (21 maggio 2018). «C’è qualcosa che non funziona al Tribunale dei minorenni di Trento, perché non è la prima volta che assisto donne le quali, rivoltesi ai Servizi sociali per chiedere aiuto, si trovano private ingiustamente dei loro figli». A parlare è l’avvocato Francesco Miraglia, esperto in Diritto minorile, cui una donna di Trento si è rivolta chiedendo assistenza: da quattro anni non vede sua figlia e non perché la maltrattasse o trascurasse o l’avesse in qualche modo messa in pericolo. Niente di tutto questo. La donna si era soltanto rivolta ai Servizi sociali e alle forze dell’ordine visti i numerosi episodi di percosse subite da parte del marito, che a un certo punto lui sì, aveva messo a rischio l’incolumità della piccina. Tutti episodi nei quali la donna, rivoltasi alle cure del pronto soccorso, è uscita con ferite e contusioni giudicate guaribili tra i dieci e i quaranta giorni. Non solo non sono stati considerati maltrattamenti in famiglia e lesioni, bensì considerati soltanto “liti familiari”; ma in più – fatto gravissimo – la piccola le è stata sottratta ed è stata affidata a un’altra famiglia. La donna non vede più la figlia da quattro anni, rischia di perdere la potestà genitoriale, la bimba soffre perché i genitori cui l’hanno mandata a vivere si sono separati e lei vive ora con il padre affidatario.
«E’ chiaro che qualcosa nel Tribunale dei minorenni di Trento non funzioni» aggiunge l’avvocato Miraglia, «poiché non si spiega come a una donna venga sottratta la figlia, per affidarla addirittura a un’altra famiglia, senza che vi sia un motivo grave. Cos’è? Si basano sulla simpatia o antipatia che suscitano le persone? Ritengono a prescindere che le donne abbaino torto e che la ragione sia sempre degli uomini? Qui non si tratta di salvaguardare il benessere della bambina – che stava benissimo con la mamma – ma si prefigura un’adozione mascherata. La coppia infatti non aveva figli. Tra l’altro mi domando poi come vengano selezionate le coppie affidatarie, se in così pochi anni questa sia addirittura giunta a separarsi, con un ulteriore trauma per una bimba che già soffriva per l’allontanamento dalla sua mamma. E’ urgente che gli organi preposti indaghino innanzitutto sulla condotta dei Servizi sociali e su quella in generale del Tribunale dei minorenni di Trento».

Se all’improvviso ti strappano tuo figlio

È mattina presto, Laura (la chiameremo così) risponde al telefono: è un carabiniere che le comunica di doversi presentare immediatamente in caserma; lei chiede il perché, “mio figlio dorme”, dice; “deve venire subito, le spiegheremo”, il messaggio perentorio. “Lo prendo dal letto, gli metto il giubbino sul pigiama, le scarpe e corro”, racconta Laura, lucidissima nel suo dolore. Non appena arriva un carabiniere prende con se’ il bimbo di neanche tre anni, “così la mamma parla con calma”, dice. Laura è incredula, pronta ad ascoltare. “Mi dicono: il bambino in questo momento è già stato portato via, lei stia calma e collabori. Io sto malissimo, non capisco: davanti a me si presentano due assistenti sociali e due operatori del 118; mi dicono che se non collaboro è pronto un tso”.
L’incubo a volte bussa la mattina presto a casa quando ancora dormi, ma non stai sognando.
È il 13 ottobre 2017. Solo due mesi dopo Laura verrà a conoscenza delle motivazioni del “rapimento”, come lo chiama lei e solo cinquanta giorni dopo riabbraccerà suo figlio in un incontro protetto, dove lei non deve dire di stare male – come ovvio che sia per qualsiasi mamma che si trovi privata del proprio figlio piccolissimo – perché sennò “dicono che sono depressa, che non sono adeguata, mi ha consigliato l’avvocato così”.
Il legale di Laura è Francesco Miraglia che – ci dice – di casi come questo – terribili, disumani – ne accoglie 4 o 5 la settimana. In cinque mesi Laura ha incontrato suo figlio solo quattro volte: “È regredito tantissimo, a volte faccio fatica a capire cosa dice, piange quando mi vede, mi chiede perché non lo porto con me, mi dice che mi vuole bene. È come se si sentisse in colpa nei miei confronti”.
Ma perché è avvenuto questo allontanamento e in questo modo? Ricostruiamo la vicenda.
A far scattare l’allontanamento, una segnalazione di un amico che Laura conosce da 15 anni, ma che frequenta più assiduamente da poco, dopo essersi finalmente liberata dalla relazione violenta con il padre del piccolo. L’amico vorrebbe costruire una famiglia e le confida di essere innamorato di lei da sempre; la donna chiede di non correre, “magari accadrà, gli dico, ma adesso devo pensare a mio figlio e non riesco a buttarmi in un’altra relazione”. L’amico comincia a non sopportare più questa situazione, per lui di limbo, forse inizia a essere geloso di questo figlio a cui Laura pensa più che a lui. E così per vendetta chiama i carabinieri per dire che Laura è depressa e minaccia di suicidarsi. È il 9 ottobre; Laura non sa nulla: lui, immediatamente, si rende conto di avere fatto una sciocchezza pericolosa e due giorni dopo ritratta tutto. Ma ormai la macchina infernale è partita. I carabinieri non tengono conto della marcia indietro.
Ed è così che il 13 ottobre, attraverso un provvedimento del Tribunale dei minorenni di Bologna, viene allontanato in modo violento il bimbo da sua madre e spedito immediatamente a una famiglia affidataria di cui Laura non conosce l’identità e con cui non può interagire. L’avvocato Miraglia ha da subito inoltrato osservazioni al Tribunale di Bologna segnalando come la diagnosi di disturbi comportamentali della psicologa a seguito di un solo incontro avuto con Laura e il bambino, fosse del tutto arbitraria e infondata. La madre, infatti, non era mai stata segnalata ai servizi sociali in precedenza (abita in una località del Ferrarese) e – come scrive Miraglia – “a meno che la dottoressa non abbia la palla di vetro” è certo che abbia tradito la sua deontologia. Proprio all’inizio del mese di aprile, per questi ed altri motivi, il legale ha presentato denuncia ufficiale per falso ideologico.
“In questi mesi ho seguito un iter di sostegno alla genitorialità, mi sono sottoposta a vari test psicologici e non si è risolto niente”, racconta Laura. Che si chiede: “Io non capisco perché me l’hanno rapito in questo modo, perché non sono venuti a casa mia mille volte al giorno a vedere come stava il bambino, se avevano bisogno di chiarire dei dubbi, perché non hanno chiesto alla pediatra che lo segue da quando è nato, perché non hanno chiesto in giro? Perché ci hanno fatto questo? Se anche riuscirò ad avere di nuovo mio figlio con me, sarà un altro bimbo: sarà spaventato, circospetto, e non il bambino solare e sereno che ho lasciato! Mio figlio era sereno, socievole, allegro, educato: passavamo tanto tempo insieme e dalle assistenti sociali mi sono anche sentita dire che stare troppo tempo con lui era segno di morbosità…”.
A chiarire la situazione, mostrandone ancor di più la gravità, sono delle registrazioni che la madre ha fatto durante gli incontri protetti col bambino dalle quali si evincono versioni totalmente diverse dei fatti da quelle raccontate da psicologa e assistente sociale, che hanno in alcuni casi specifici, distorto incomprensibilmente la realtà. Si parla ad esempio, di una volta in cui il bambino (che ormai aveva tolto il pannolino), durante un incontro – forse perché in ansia – si era fatto la pipì addosso, cosa di cui anche la psicologa si era resa conto benché nella relazione sostenesse che fosse stata la mamma ad accompagnarlo in bagno e probabilmente a bagnarlo per evidenziarne il disagio.
“Mi dicono che mio figlio fa un sacco di capricci, rifiuta di lavarsi, gli danno delle gocce per dormire perché si sveglia in continuazione… Non si può descrivere il dolore che provo. Dicono che dopo gli incontri con me mostra disagio, ma se lui piange, a nessuno viene in mente che forse vuole solo stare con la sua mamma?”.

Bambini costretti a vedere genitori violenti, presentata interrogazione

Interrogazione del Bürger Union für Südtirol sul tema dei bambini costretti a vedere i genitori violenti. CCDU: “speriamo si faccia chiarezza”
Il consigliere Andreas Pöder del partito Bürger Union für Südtirol ha presentato un’interrogazione sulla vicenda riportata dalla stampa locale del ragazzo che sarebbe stato intimidito affinché incontrasse il padre oggetto di una sentenza di patteggiamento per maltrattamenti in famiglia.
Le minacce subite da questo ragazzo erano state denunciate dall’avvocato della madre, Francesco Miraglia, che, in particolare, aveva segnalato un episodio in cui una dottoressa di un Centro Terapeutico privato di Bolzano avrebbe detto al bambino: “O incontri tuo padre o il Giudice mi ha detto di riferirti che andrai in un istituto”. In seguito all’esposto, il Presidente del Tribunale per i minorenni aveva informato l’avvocato che il giudice in questione era stato rimosso dal caso. Non siamo a conoscenza di eventuali provvedimenti sulla dottoressa in questione.
Nell’interrogazione si ricorda che recentemente i media hanno riportato vari tentativi di pressione psicologica sui bambini che non volevano incontrare i genitori violenti. Infatti, questo è solo l’ultimo caso riportato dalla stampa. Ricordiamo ad esempio il caso del bambino che si voleva costringere a vedere il padre, in seguito condannato, nonostante fosse accusato di violenza sul bambino incluso lo spegnimento di una sigaretta sul suo braccio. Nell’interrogazione il consigliere chiede se la Giunta è a conoscenza dei fatti e quali misure sono state intraprese in merito.
Siamo molto soddisfatti di questa interrogazione che tenta di far luce su un fenomeno poco conosciuto.” Sostiene Paolo Roat, Responsabile Nazionale Tutela Minori del Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani Onlus.In certi ambienti medici e persino nei tribunali e nei servizi di tutela minori si è insinuata una teoria psichiatrica secondo la quale quando un bambino rifiuta di vedere uno dei genitori è affetto da una presunta patologia indotta dall’altro genitore. Invece di osservare la situazione e ascoltare la famiglia, e soprattutto il bambino, si tende acriticamente ad addossare le colpe al genitore collocatario. Ci auguriamo che questa inchiesta possa far luce su questa vicenda ma soprattutto avviare dei protocolli inclusivi e rispettosi dei diritti umani che includano un ascolto del minore onesto e scevro da pregiudizi.”