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Sedicenne stuprato in Psichiatria, l'Usl nega risarcimento: «Sesso consenziente»

Sedicenne stuprato in Psichiatria, l’Usl nega risarcimento: «Sesso consenziente» – Cronaca – Il Mattino di Padova

Fu violentato da un trans affetto da Aids al Sant’Antonio di Padova, la perizia dell’ospedale: «Non è rimasto turbato»

PADOVA. «Il paziente non ne è rimasto particolarmente turbato, quindi il danno non sussiste».

 Il succo della memoria difensiva con la quale emerge che l’Usl 6 Euganea non intende risarcire il giovane stuprato cinque anni fa all’interno del reparto di Psichiatria 2 del Sant’Antonio in cui era ricoverato.

Non avrebbe patito, a loro dire, danni legati alla vicenda, riconducibile a un episodio di sesso consensuale.
«Inaudito» commenta l’avvocato Francesco Miraglia, che rappresenta la famiglia del giovane, adesso maggiorenne, ma che all’epoca della violenza aveva soltanto 16 anni. «Oltre a non tenere in considerazione quanto l’episodio possa aver turbato il giovane nel tempo, anche in virtù del fatto che l’uomo che lo aveva stuprato era affetto da Aids, l’Usl non pare dare alcun peso al fatto che la violenza si sia consumata nei confronti di un minore».
Oggi giovedì 9 febbraio la prima udienza alla sezione civile del Tribunale: da una parte l’avvocato Miraglia, che tutela il ragazzo e i suoi genitori, dall’altro l’Usl 6 che, tramite il proprio legale, propone a sua difesa la tesi secondo cui il sesso fosse consensuale e che l’episodio non avrebbe cagionato nuovi turbamenti al ragazzino.
«È stata esclusa la sussistenza di un danno risarcibile, versando il giovane nella stessa condizione in cui si trovava nel momento in cui venne ricoverato presso il servizio psichiatrico» si legge nella memoria difensiva presentata dall’azienda sanitaria, che intende escludere ogni ipotesi di risarcimento. «Come a dire “Matto era e matto è rimasto e tanti saluti” commenta l’avvocato Miraglia «Si tratta di una tesi difensiva vergognosa. A parte che nessuno pare tenere in considerazione che il giovane all’epoca dei fatti fosse minorenne, come si può affermare che una violenza o un episodio simile non possa aver lasciato degli strascichi emotivi? Di certo non ha aiutato il giovane nella ricerca di un equilibrio psicologico. Senza contare i mesi trascorsi nell’angoscia di essere stato contagiato dal virus dell’Hiv, da cui era affetto l’uomo che lo aveva stuprato (morirà tre mesi più tardi), e dalle cure cui si era dovuto sottoporre. Ci auguriamo invece che si voglia tenere conto di tutti questi aspetti, niente affatto marginali, e che si tenga a mente che gli abusi sono stati commessi su un sedicenne affidato, in quel momento, al servizio sanitario».
La famiglia aveva presentato una causa civile contro l’allora Usl 16 (divenuta da quest’anno Usl 6 Euganea), chiedendo un risarcimento di 750 mila euro, per quanto subito e vissuto dal giovane e dai genitori stessi dopo la violenza. Il giovane, affetto da problemi psicologici, nel novembre del 2012, in seguito a un episodio di contrasto in famiglia, era stato accompagnato dalla madre al Pronto soccorso dell’ospedale di Padova, da cui venne trasferito al reparto psichiatrico per la forte agitazione che presentava. Qui era ricoverato anche un transessuale, che nel corso della notte aveva adescato il ragazzino, convincendolo a seguirlo nei bagni.
Quando il giovane si era accorto che si trattava di un uomo e non di una donna, aveva cercato di andarsene, ma l’uomo lo aveva costretto a subire un rapporto sessuale. I due erano stati quindi sorpresi da due infermieri, che si erano messi alla ricerca del giovane quando si accorsero che mancava dalla propria stanza. L’Usl 6 è assistita dall’avvocato Lorenzo Locatelli e pare che la ricostruzione dei fatti, sulla base anche di testimoni, sia profondamente diversa da quella fatta dalla vittima e dall’avvocato Miraglia. La verità si avrà con la decisione del giudice. (c.bel.)

Il giudice sono io! Bambino lasciato alla madre.

Ottimo e rivoluzionario decreto del Tribunale Ordinario di Torino Sezione Settima Civile – Famiglia
Le valutazioni psichiatriche non sono più un dogma in tribunale
Torino. “Il Tribunale non ignora la proposta di allontanamento del minore da entrambi i genitori da parte del Servizio di N.P.I. ma, allo stato, la ritiene poco praticabile e dagli esiti incerti, vuoi per le ragioni sopra indicate, vuoi per la considerazione che i principali aspetti di disagio del bambino paiono ricollegabili al conflitto separativo…” Con queste parole il Tribunale Ordinario di Torino, riunito in Camera di consiglio nelle persone del Presidente Dott. Cesare Castellani e dei giudici, Dott. Alberto La Manna e Dott.ssa Serafina Aceto, ha rigettato la proposta del Servizio di Neuropsichiatria infantile della ASL TO 2 di allontanare un bambino di soli sei anni dalla sua mamma e dal suo papà.
Come spiegheremo di seguito la notizia è molto importante e merita di essere pubblicata, anche se, per tutelare la privacy del bambino, preferiamo non entrare troppo nel merito. Diciamo solo che il decreto si colloca nell’ambito di una separazione molto conflittuale, per cui il Servizio di Neuropsichiatria infantile della ASL TO 2 era giunto a raccomandare l’allontanamento del bimbo da entrambi i genitori.
La Professoressa Vincenza Palmieri, Consulente Tecnico di Parte della madre, ha sottolineato l’importanza di fondare le valutazioni su basi oggettive: “Quando si fa una consulenza è importante, come tecnico, tenere conto della situazione oggettiva e difenderla, come abbiamo fatto in questo caso. L’atto peritale, come nella mia professione, deve avere un fondamento scientifico e basarsi su fatti e prove accertate e non su ipotesi o considerazioni soggettive dei vari operatori. Quando le conclusioni sono fondate su riscontri concreti, è possibile addivenire ad una decisione condivisibile e giusta che risolva la situazione.”
“Siamo molto soddisfatti della decisione del Tribunale.” Ha dichiarato l’avvocato della mamma Francesco Miraglia. “Per quanto concerne la giustizia minorile, ho sottolineato spesso nei Tribunali le criticità derivanti dall’appiattirsi sulle perizie degli psichiatri senza effettuare un’adeguata istruttoria, limitandosi ad un semplice copia incolla delle decisioni del consulente. Nel caso di specie i giudici hanno deciso di riprendersi il loro ruolo di Periti dei Periti e di fare un’istruttoria appropriata che li ha portati a rigettare la valutazione del Servizio di Neuropsichiatria infantile.”
Un altro aspetto molto positivo del decreto è il riconoscimento dei legami e degli affetti familiari. Infatti il Tribunale, pur disapprovando severamente alcuni comportamenti dei genitori, ha ritenuto opportuno mantenere i rapporti intra-familiari, in particolare con la madre: “… è verosimile, oltretutto, che un distacco dalla madre, con cui il rapporto, pur non equilibrato, rimane stretto, verrebbe dal minore vissuto in modo traumatico …”
Anche Paolo Roat, Responsabile Nazionale Tutela Minori per il Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani, esprime soddisfazione per questa decisione: “A volte, in conformità con alcune teorie psichiatriche astratte di inadeguatezza genitoriale, si finiva per punire il minore per presunti difetti dei grandi. In questo caso il Tribunale ha deciso di mettere al primo posto il bene del minore. È un passo avanti molto importante e significativo.”

Allontanata da casa perchè i genitori sono poveri, tredicenne scappa dalla comunità per vederli

Il Tribunale dà ragione alla ragazzina e la reintegra in famiglia
L’adolescente aveva registrato l’assistente sociale mentre denigrava i suoi genitori, per convincerla ad andare in affidamento.
 
TRENTO. Cosa c’è dietro agli allontanamenti da casa e agli affidamenti in strutture e in famiglie affidatarie? C’è da chiederselo una volta di più, alla luce dell’ennesimo caso, che ha visto – fortunatamente – un esito felice in questi giorni. «Non solo una ragazzina per anni è stata allontanata dai suoi genitori perché indigenti» dichiara l’avvocato Francesco Miraglia «ma addirittura, dalla sua nativa Trento, è stata portata in comunità a Milano, come se nella sua Regione non ci fossero strutture idonee. I genitori, contando su un reddito minimo, non potevano pertanto andare a trovarla se non una volta al mese e a fronte di enormi sacrifici. Questo ha compromesso di molto il benessere della ragazzina, che doveva essere, invece, l’unico interesse degli assistenti sociali nel moment in cui l’hanno fatta allontanare. Scandaloso poi che proprio uno di questi assistenti, durante un incontro con l’adolescente che lei ha registrato, le abbia parlato male dei genitori, denigrandoli e giudicandoli incapaci di prendersi adeguatamente cura di lei, con l’intento di convincerla ad accettare l’affidamento in una famiglia milanese. Inaccettabile perché non si capisce, in tutto questo, dove sia l’interesse per la bambina e il suo benessere». La quale ad un certo punto è scappata dalla comunità milanese, facendo ritorno a casa
L’avvocato Miraglia ha presentato pertanto ricorso al Tribunale dei minori di Trento, che ha accolto la sua istanza: innanzitutto sono cambiati i servizi sociali chi compete seguire la ragazzina ed è stato deciso che sarà supportata nell’ambiente familiare e anche nello studio, ma soprattutto che potrà finalmente dormire nel suo letto e stare con mamma e papà tutti i giorni.
«Quando le decisioni vengono assunte con buonsenso, dando priorità all’aspetto umano e non burocratico» prosegue l’avvocato Miraglia, «si riesce, come in questo caso, a fare il bene dei minori, che deve essere il fine primo dei provvedimenti che vengono emessi a loro tutela, come appunto l’‘allontanamento da casa. C’è da domandarsi a chi abbia giovato tutto questo: alla ragazzina no, perché è stata per anni infelice. Ed è costata tanto non solo in termini di sofferenza, ma anche economica: quanti soldi pubblici sono costati gli anni in cui è stata alloggiata a Milano? Quante gravose spese i suoi genitori hanno dovuto sobbarcarsi per andare a farle visita almeno una volta al mese? Non era forse meglio, con gli stessi soldi, aiutare economicamente la famiglia a risollevarsi e permettere che questa ragazzina potesse vivere serenamente a casa propria? Inizialmente, invece, questo nucleo familiare è stato penalizzato – pur nella provincia di Trento, da anni in cima alla classifica delle città maggiormente vivibili anche per la qualità dei servizi offerti alla persona – per le difficoltà economiche in cui versava. “Mala cosa nascer povero, il mio caro Renzo” scriveva Manzoni nei “Promessi Sposi”: verità inconfutabile,oggi come allora».
 
 

Aemilia, niente sequestro per l’imputato Valerio

La Corte d’Appello rigetta il ricorso della Direzione distrettuale antimafia che dopo aver ottenuto la sorveglianza speciale puntava alla confisca dei beni
REGGIO EMILIA. La Corte di Appello di Bologna ha rigettato il ricorso della Procura antimafia di Bologna riguardo alla richiesta di una misura di prevenzione patrimoniale a carico di Antonio Valerio, imputato nel processo Aemilia in corso a Reggio. A dare notizia dell’ordinanza è il difensore, l’avvocato Francesco Miraglia, il cui assistito è infatti considerato un associato alla consorteria criminale di matrice ’ndranghetistica attiva a Reggio. Valerio, noto alle cronache anche per essere sopravvissuto all’agguato del killer Paolo Bellini, ha già una misura personale che prevede la sorveglianza speciale per due anni. La Dda, ricorda però Miraglia, con richiesta del 28 luglio 2015 chiedeva l’applicazione – oltre che della misura di prevenzione personale- anche di quella patrimoniale, vale a dire di sequestro e confisca di beni riconducibili a Valerio e ai suoi familiari, residenti a Reggio Emilia.
Fin da subito il tribunale reggiano lo scorso aprile rigettò nel merito l’istanza di sequestro «ritenendo non provati i diversi presupposti dell’adozione stessa, ovvero quello dell’attribuibilità al preposto dei beni intestati ai suoi familiari, quella della provenienza da reato dei beni intestati a Valerio, quello della sproporzione tra i beni a lui intestati e ai suoi proventi leciti, quello, ancora, della pericolosità sociale del preposto all’epoca, i cui beni erano stati acquistati».
In altre parole, conclude l’avvocato – che bolla Aemilia come «un processo mediatico dove tutti sono ’ndranghetisti e tutti sono già “colpevoli” a prescindere» – tribunale e Corte d’Appello «non hanno fatto altro che confermare che nessuna attività illecita e proventi illeciti possono essere riferiti al mio assistito proprio negli anni in cui viene contestato a Valerio una supposta partecipazione ad un associazione criminale».
Antonio Valerio, 49 anni, imprenditore edile di origine cutrese, è uno dei tanti imputati che sono ora nel mirino della procura antmafia, decisa a chiedere le misure di prevenzione per gli imputati di più elevato profilo criminale. Valerio, come detto, ha diversi precedenti ma è soprattutto noto per l’agguato che subì la sera del primo maggio del 1999 nel quale rimase ferito davanti alla casa dove abitava, in via Samoggia. Ad autoaccusarsi, in seguito, fu il killer Paolo Bellini. Questione ritirata in ballo da Bellini stesso durante una delle udienze di Aemilia, in cui il killer ipotizzò una guerra di mafia a Reggio negli anni ’90. Una testimonianza a tutto campo che aveva provocato la reazione di Valerio. Diversi i punti della deposizione contestati dall’avvocato Miraglia, quando il killer ha specificato «che per Valerio

dovevo fare un servizio, l’uccisione di un signore che sarebbe stato responsabile della morte di suo padre». Invece per il difensore: «Come mandante dell’omicidio a cui fa riferimento Belllini, Valerio è stato assolto dal tribunale di Catanzaro per non aver commesso il fatto». (e.l.t.) 
http://gazzettadireggio.gelocal.it/reggio/cronaca/2017/01/24/news/aemilia-niente-sequestro-per-l-imputato-valerio-1.14769070?ref=search

Operazione Ave Lupo, indagini fondate sul nulla.

Dopo aver letto alcuni articoli sulla stampa locale e nazionale su “Lupi incrociati con i cani”, in qualità di avvocato di fiducia dell’allevatore di Serramazzoni, mi sento in dovere di intervenire per  meglio chiarire la posizione del mio assistito.
Le indagini sono basate a differenza di quanto riportate dagli organi di stampa non su analisi genetiche che confermerebbero l’ ipotesi accusatoria ma “dall’esame del sito internet www.wolfdog.org dal quale venivano estrapolate informazioni importanti in merito alla discendenza  dei  cani  da lupo cecoslovacchi”
In realtà sono le stesse analisi genetiche disposte dalla Procura della Repubblica di Modena che smentiscono l’assunto accusatorio ossia il fatto di detenere animali ibridi aventi delle precedenti quattro generazioni della loro ascendenza  una o più esemplari “selvatici” .
Nei risultati genetici relativi agli animali appartenenti all’allevamento del mio assistito  non è stato possibile  attribuire alcuna generazione di appartenenza ed anzi si evidenzia nell’ analisi disposte della Procura, che i genotipi bi- parentali sono completamente assegnati alla razza cane lupo cecoslovacco.
In altri casi dalla stesse indagini genetiche disposte dalla Procura è stato possibile invece identificare il grado di ibridazione cosa che non è assolutamente avvenuto riguardo all’allevamento del mio assistito.
Per inciso già altre Procure  che si sono occupate della questione hanno disposto l’ archiviazione della posizione dell’ allevatore proprio sulla base delle stesse risultanze genetiche.
Questa è un indagine fondata sul nulla  dettata più da gelosie tra allevatori e associazioni varie  più che da fondati fatti delittuosi.
Mi chiedo come è stato possibile fondare un ipotesi accusatoria da ciò che viene sostenuto in un forum privato di altri allevatori?
Come è possibile che la Procura di Modena su indagini genetiche disposte nel marzo 2015 anzichè archiviare insiste nella infondata ipotesi accusatoria disponendo il sequestro preventivo degli animali a distanza di 3 anni dall’ inizio delle indagini e da più di un anno dalla risultanze delle indagini genetiche.
L’allevamento del mio assistito ha formato campioni mondiali di cani da lupo cecoslovacco.             O esperti  giudici di CLC di tutto il mondo non hanno le giuste conoscenze o le indagini  come si ritiene sono  fondate su chiacchiere.
Faremo immediatamente ricorso al Tribunale del Riesame per l’immediato dissequestro di tutti gli animali e agiremo in tutte le sedi opportune a tutela dell’allevamento di Serramazzoni il quale è  riconosciuto come uno degli allevamenti migliori al mondo di CLC
 
                                                                                               Avv. Francesco Miraglia
 
 

In risposta alla Procura Minorile.

Dopo l’intervento del Procuratore Minorile facenti funzione:
Nessun inerzia della Procura”, in qualità di avvocato difensore della madre della bimba, sento il dovere nuovamente di rivolgermi all’opinione pubblica.
In primo luogo, né il sottoscritto né la sua assistita vogliono polemizzare con il Procuratore, ma quanto sostiene la stessa Procura è inaccettabile.
In  primis come cittadino italiano, in secondo luogo come avvocato di fiducia.
E’ inaccettabile sostenere che non ci sia stata nessun inerzia se ad oggi, a distanza di due mesi e mezzo, la madre non ha notizie della figlia e non sa nemmeno quali sono i motivi per cui le è stata allontanata la figlia.
Il Procuratore della Repubblica Minorile ben dovrebbe sapere che lo spirito normativo del 403 è l’urgenza, l’immediatezza e la celerità  sia da parte di chi lo attua sia da parte di chi ha per dovere l’impulso processuale e sia da parte di chi istituzionalmente  deve ratificarlo.
Secondariamente, mi sembra quantomeno discutibile l’atteggiamento della  Procura che,  invece di rispondere sul perché di tanto “ritardo”, cerca di sviare entrando nel merito della questione.
Oltretutto la Procura ben dovrebbe sapere che la difesa, nel momento in cui non riesce a prendere visione degli atti né a costituirsi in giudizio, ha poco da dire sul merito.
Ancora più inaccettabile è sostenere che la Procura, il 12 ottobre u.s. abbia inoltrato il ricorso al Tribunale.
In altre parole, come dire, se c’è una colpa non è la nostra.
Un dato è certo, dal 26 settembre ad oggi 7 dicembre la madre non ha avuto alcuna notizia della figlia  né da parte dei servizi né da parte delle autorità giudiziarie che non hanno messo in grado la signora di quel sacrosanto diritto, eventualmente, di difendersi
E’ tutto sulla pelle dei bambini.
E’ inverosimile che anche sui bambini vige quel principio consolidato nel nostro paese che la colpa è sempre di qualcun altro.
Mi permetto di suggerire al Procuratore della Repubblica di leggere quanto un Giudice Minorile, già nel 2011 sosteneva: “ il Provvedimento amministrativo con cui i servizi sociali, in via provvisoria ed urgente, prelevano dall’abitazione famigliare un minore (ex art. 403 c.c.) non può essere ratificato dal Tribunale dei Minori ma anzi deve essere revocato dove non sia adeguatamente motivato, con conseguente ordine di ricollocamento immediato del minore stesso nel proprio ambiente famigliare”.
Voglio concludere rivolgendomi, senza presunzione, sia al Procuratore della Repubblica facenti funzioni, sia al Presidente del Tribunale consigliando una riorganizzazione delle cancellerie che possa prevedere una corsia preferenziale su provvedimenti ex art. 403 c.c. attuati da un ente amministrativo che vanno ad incidere direttamente sulla libertà e sulla vita di ognuno di noi.
Affinché siffatti casi non avvengano mai più.
 
 

Bologna, bimba portata via alla madre: "I servizi sociali l'hanno fatta sparire"

http://bologna.repubblica.it/cronaca/2016/12/05/news/bologna_servizi_sociali_tolgono_bimba_alla_madre_non_sappiamo_nemmeno_come_sta_-153516871/
 L’avvocato attacca il Comune di San Giovanni in Persiceto, dopo un delicato caso che ha portato all’allontanamento della piccola per presunti abusi

05 dicembre 2016
 
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BOLOGNA – Una bambina di dieci anni allontanata dalla madre, residente a San Giovanni in Persiceto (in provincia di Bologna), per presunti abusi fisici e psicologici: la decisione è stata dei servizi sociali comunali con l’applicazione della norma del codice civile che ne dà loro facoltà in caso di emergenza. Dopo due mesi e mezzo, nessuno avrebbe comunicato la vicenda al Tribunale per i Minorenni.
Lo segnala l’avvocato Francesco Miraglia, a cui si è rivolta la madre. “Non sappiamo nemmeno come stia. Confidiamo che sia in buone mani, ma chi ce lo assicura? Come si può far sparire una ragazzina così, quasi fosse stata inghiottita in un buco nero, nel buco nero della burocrazia che in questo caso di sicuro non sta facendo il bene della minore. Che dovremmo fare? Rivolgerci alla trasmissione “Chi l’ha visto” per ritrovare questa bambina?”, domanda provocatoriamente il legale.
La donna e la figlia erano ospiti di una comunità della provincia e il 26 settembre i servizi sociali hanno allontanato la bambina per “informazioni pregiudizievoli riferite a maltrattamenti fisici e psicologici da parte della madre nei confronti della
figlia”, si legge nel provvedimento, secondo quanto riferito dall’avvocato. “Ancora più incredibile” sostiene il legale “è che la Procura a distanza di due mesi non abbia ancora trasmesso il fascicolo al Tribunale, tant’è che non siamo riusciti né a costituirci in giudizio né a prendere visione di quanto hanno sostenuto i servizi sociali. Ma come è possibile che possa succedere tutto ciò sulla pelle dei bambini?”.

Trieste: scatta lo sfratto, finisce in strada a 93 anni

Condannata a lasciare l’alloggio in cui vive dal 1968, ora nuda proprietà del figlio, per pagare le cure alla sorella malata di Piero Rauber

TRIESTE Era l’ormai lontanissimo 1968 quando Angiola C., allora quarantaquattrenne, venne ospitata con il figlio Alessandro dalla sorella Francesca e dal cognato nel loro appartamento in uno degli alti palazzi vicini al carcere del Coroneo. Furono, a loro modo, una famiglia. Di quelle allargate. Mamma, figlio, zia e zio.
Tutti insieme appassionatamente, per una vita intera, al punto che poi, nel 2002, la zia, la vera padrona di casa, decise di intestare al nipote Alessandro la nuda proprietà dell’abitazione in cui sarebbero rimaste lei come titolare dell’usufrutto e sua sorella, la mamma dello stesso Alessandro, di fatto ospite inamovibile. Una vita intera, appunto, che adesso però, dopo quasi 50 anni, reclama il conto con gli interessi, nel nome di un mondo in cui, con buona pace dei legami familiari e affettivi, ogni cosa ha, deve avere un prezzo.
Il prossimo 31 marzo infatti, a 49 anni da quel trasloco, Angiola – che di anni ne avrà 93 – dovrà andarsene da lì. Sfrattata per legge dalla casa in cui sua sorella l’aveva accolta quando lei era una mamma sola bisognosa d’aiuto, una casa che oggi appartiene proprio a suo figlio e per la quale chiaramente mai ha pagato un affitto. Non solo: al di là della necessità di doversi cercare un altro alloggio, ragione per cui le vengono riconosciuti questi quattro mesi, «termine congruo per il reperimento di una sistemazione alternativa», dovrà anche pagare un forfait quantificato dal Tribunale in 3.750 euro, ovvero il totale di 250 euro mensili a partire da gennaio 2016.
Motivo: la sorella, da quattro anni a questa parte, ha perso la propria autosufficienza a causa di una malattia fortemente invalidante e si ritrova ospite in una casa di riposo i cui servizi, con una pensione da poco più di 600 euro al mese, non riesce ovviamente a onorare. Quell’appartamento, quindi, va messo a rendita sotto forma d’affitto per consentire l’ospitalità della sorella di Angiola, che detiene come si è detto l’usufrutto, nella residenza per anziani. E nulla possono né il figlio di Angiola, titolare della nuda proprietà, né tantomeno la stessa Angiola.
Così ha deciso l’altro giorno il giudice del Tribunale civile di Foro Ulpiano Anna Fanelli, che ha accolto parzialmente il ricorso avanzato dall’avvocato Maria Grazia Tedesco per conto dall’avvocato Antonella Mazzone – amministratore di sostegno di Francesca P. autorizzato in questo senso dal giudice tutelare – che chiedeva che Angiola fosse condannata ad andarsene immediatamente da quella casa e a pagare 22mila euro a titolo di indennità di occupazione dal gennaio del 2013, quando la sorella si era trasferita nella casa di riposo, fino all’aprile scorso, oltre ai soliti interessi legali, alle rivalutazioni e a 550 euro mensili per ogni mese successivo.
I presupposti del ricorso, come si legge nell’ordinanza del giudice Fanelli, spaziano da un debito accumulato da Francesca C. nei confronti della casa di riposo da circa 30mila euro a un decreto ingiuntivo da oltre cinquemila euro per spese condominiali non pagate dalla sorella.
“Io quella casa l’ho vissuta, l’ho pulita, arredata”, ha raccontato in lacrime Angiola in udienza, «disperata», come racconta il suo difensore, l’avvocato Francesco Miraglia del foro di Modena, che annuncia che farà reclamo contro tale ordinanza. Il legale sostiene infatti la plausibilità di un sopravvenuto diritto reale di abitazione.
Non riconosciuto però in primo grado dal giudice Fanelli, secondo cui «è ragionevole pensare che» la sorella di Angiola, che oggi «a causa del deficit cognitivo di cui soffre non è più in grado di esprimere alcunché», «avrebbe voluto in primis chiedere alla sorella quantomeno un contributo alle spese e poi anche riavere la casa, per poterla magari locare».
O Angiola paga dei “sazi” arretrati o viene sfrattata, insomma. «Questa è una giustizia forte coi deboli e debole coi forti», tuona l’avvocato Miraglia. Che si chiede: «Dove andrà la signora con l’esigua pensione che percepisce, se non finire a carico dei Servizi sociali comunali, che saranno obbligati quindi a trovarle e a pagarle un altro alloggio?
Oppure si ritroverà in carico al figlio, unico
parente che le sia rimasto in vita, che comunque è il reale proprietario di quella casa che lei è costretta a lasciare? A questo punto, per aiutare questa donna, che dobbiamo fare? Aprire una sottoscrizione e una raccolta fondi? Siamo all’inverosimile».
©RIPRODUZIONE RISERVATA

il Seminario “Il Minore autore di reati”

 

COMUNICATO STAMPA
Il 3 dicembre l’Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare propone
il Seminario “Il Minore autore di reati”

Con l’intervento di testimonianza “Ero una baby squillo, oggi parlo alle giovani donne
 
Nell’ambito del Master in Pedagogia Giuridica Forense e Penitenziaria – novità sperimentata con grande successo dall’INPEF quest’anno – sabato 3 dicembre si terrà un Seminario straordinario, gratuito e aperto al pubblico (accreditato presso l’Ordine degli Avvocati di Roma) sul tema del “Minore autore di reati”.
Gli argomenti trattati, di straordinaria attualità, abbracceranno la tematica da più ottiche complementari, percorrendola nei suoi punti fondamentali:

  • Il reato come espressione del disagio esistenziale
  • Le Baby-gang: caratteristiche e organizzazione interna
  • Il DPR 448/88
  • Le attività dei Centri per la Giustizia Minorile
  • La progettazione di rete e gli interventi educativi di recupero, di sostegno e di educazione all’autonomia personale rivolti ai minori collocati in comunità educative.
  • L’Ordinamento Penitenziario e la sua attuazione: le criticità del trattamento e del reinserimento dei minori autori di reato.
  • La progettazione di rete degli interventi di recupero e di rieducazione rivolti ai minori ristretti negli Istituti Penali per i Minorenni

per giungere, infine, alla composizione e simulazione di un progetto reale.
Il Seminario sarà condotto la mattina dalla Prof.ssa Stefania Petrera (Giudice Onorario c/o la sezione Minori della Corte di Appello di Roma, Pedagogista Familiare) ed il pomeriggio dall’Avv. Francesco Miraglia (Penalista, Esperto in Diritto di Famiglia e Minorile) assieme all’Avv. Carmen Pino (Penalista, Esperta in Diritto di Famiglia e Minorile).
In particolare, a rendere tale evento assolutamente unico, si assisterà ad una testimonianza davvero particolare dal titolo “Ero una baby squillo, oggi parlo alle giovani donne”, fortemente voluto dal Presidente Palmieri e realizzato grazie all’Avv Miraglia, difensore della ragazza che è oggi al contempo vittima e reo.
<<Il mio compagno non mi ha mai obbligato, è vero. Ma mi ha fatto capire che se non avessimo avuto soldi a sufficienza, visto che poco dopo l’inizio della nostra relazione è rimasto senza lavoro, se ne sarebbe andato all’estero e io non volevo perderlo. Era il mio punto di riferimento; così ho pensato che, in quel modo, sarei riuscita a mantenere entrambi […] Avevo 16 anni, nessuna esperienza. Ero invaghita e non mi rendevo conto della terribile strada che stavo per intraprendere>>.
Un evento di tale portata ribadisce concretamente l’importanza di non avere burocrati della formazione a parlare alle nuove generazioni ed evidenzia nel contempo la necessità di sostenere chi rompe il muro della vergogna e dell’omertà.
“Non possiamo pensare che sia una sorta di outing” – commenta in proposito il Presidente Vincenza Palmieri – ma, anzi, rappresenta la manifestazione di una presa di coscienza che passa attraverso la formazione delle giovani generazioni e che si allinea alla prassi, per noi abituale, di avvalersi di professionisti che lavorano quotidianamente sul campo e che ne sono testimoni con la propria vita. Come la nostra amica, che potrà criticamente rispondere alle domande sui perché individuali e sociali tale fenomeno delle baby squillo sia oggi così frequente.
E’ un fenomeno, infatti, molto più sommerso di quanto non riusciamo neanche ad immaginare. E la difesa dei Diritti Umani passa anche attraverso la prevenzione dello sfruttamento sessuale delle bambine e dei bambini.
Siamo orgogliosi di poter dare il nostro piccolo contributo”.
 
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Per informazioni e prenotazioni: – pedagogiafamiliare@gmail.com
– 06.5811057 – 06.5803948 – 329.9833356 – 329.9833862
La Segreteria Organizzativa è aperta dal lunedì al venerdì dalle ore 10.00 alle ore 18.00 ed il sabato dalle ore 10.00 alle ore 13.00

Aemilia, testimoni intimoriti e minacce negate al processo sulla ‘ndrangheta

Aemilia, testimoni intimoriti e minacce negate al processo sulla ‘ndrangheta – Il Fatto Quotidiano

“’Mi stai dicendo che mi vuoi sparare?’ Per noi erano toni amichevoli”. Nell’aula del Tribunale di Reggio Emilia va in scena l’omertà in salsa nordica. Tra accompagnamenti coatti dei carabinieri, un teste sparito negli Usa e il giudice che valuta l’invio degli atti per falsa testimonianza. Insulti dai familiari degli imputati fra il pubblico. Cinque sindaci della provincia hanno deciso di esserci “per far sentire la presenza delle istituzioni”
Davanti al giudice stanno passando i testimoni dell’accusa, ma c’è chi, a pochi metri dalle sbarre dietro cui siedono gli imputati, si rimangia quanto detto in fase di indagine. C’è chi, dopo non essersi presentato, è stato accompagnato in aula dagli uomini dell’Arma. Una delle vittime di diverse estorsioni, un giocatore d’azzardo finito in debito con alcuni degli imputati, pare invece che sia scappato negli Stati Uniti e al proprio avvocato avrebbe dichiarato di non volere tornare in Italia per paura della propria incolumità. È anche a seguito di questi fatti che,durante una delle ultime udienze il presidente del collegio, Francesco Maria Caruso, si era addirittura riservato la possibilità di inviare alla Procura le posizioni di alcuni testimoni apparsi reticenti, per valutare un procedimento per falsa testimonianza.
Gran cornuto, dove sei… Scappi pezzo di merda… vado a scontare con tua moglie”. “Fu solo una battuta volgare”

Come nel caso di Salvatore Palmo Rotondo, un imprenditore cutrese attivo in Emilia, che nel 2012 si era ritrovato a dovere dei soldi di Gaetano Blasco e Antonio Silipo, entrambi considerati dai pm membri della cosca emiliana. In una intercettazione del 2012 Rotondo e Silipo si scambiano parole di fuoco: “Turù io non ho niente da perdere lo sai?”, diceva Silipo. “Tonino ma mi vuoi ammazzare? Vieni e sparami!”. La risposta dell’imputato: “Turù a me come mi vedi sono! io non ho niente da perdere!”. “Tonino ma mi stai dicendo che mi vuoi sparare? vieni e sparami Tonino!”. “Queste sono parole tue sono”. In aula davanti al giudice però Rotondo minimizza: “Era una discussione accesa, ma quelli sono i toni amichevoli che usiamo… Pensi che con Silipo sono andato a prendere il caffè finché non l’hanno arrestato. Per voi sarà una minaccia, per me no”. È a questo punto che il giudice Caruso lo avvisa: “Se la telefonata avrà tenore diverso andrà sotto processo per falsa testimonianza”.
Silipo, che è stato condannato in primo grado a 14 anni nell’abbreviato del processo Aemilia (tra le accuse anche l’associazione mafiosa), è stato assolto per questo fatto specifico. Ma anche le motivazioni dell’assoluzione sono interessanti: secondo il giudice infatti il reato da contestare non era estorsione (perché la somma chiesta a Salvatore Rotondo era effettivamente dovuta), ma quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con la minaccia. Però, secondo il giudice dell’abbreviato, siccome Rotondo non ha mai sporto querela, non si può procedere.

L’incendio si è provocato da solo, colpa della guaina. Il rapporto dei Vigili del fuoco? Non l’ho letto”

Anche frasi del tipo: “Gran cornuto, dove sei… Scappi pezzo di merda… Mi sa che vado a scontare con tua moglie adesso”, in aula sono state minimizzate. “Ma quella non è una minaccia, solo una volgare battuta rivolta a mia moglie”, ha asserito un altro testimone. Il pm aveva appena riportato un passaggio di una intercettazione telefonica del 2011 in cui Antonio Valerio, imputato per associazione mafiosa, estorsione e usura, discuteva con l’uomo per un prestito di poche centinaia di euro non restituito.
Infine, come riportato dalle cronache della Gazzetta di Reggio, anche la testimonianza di Antonio Olivo, ex consigliere comunale del Partito democratico, ha fatto molto discutere: “L’incendio si è provocato da solo, colpa della guaina”, ha risposto Olivo al pm Marco Mescolini, che non aveva fatto in tempo nemmeno a fare la domanda su quel rogo del 2005. Secondo l’accusa il fuoco fu appiccato da uno degli imputati, Gaetano Blasco, che voleva vendicarsi per non essere stato coinvolto in alcuni cantieri. Alla domanda poi se avesse letto il rapporto dei vigili del fuoco su quell’incendio, rapporto portato da Olivo alle assicurazioni, il testimone ha spiegato in aula di non avere letto se la causa fosse o meno dolosa.

Per ‘incoraggiare’ i testimoni cinque sindaci della provincia di Reggio Emilia si sono presentati al processo

Olivo, originario di Cutro, oltre a essere stato in consiglio comunale a Reggio Emilia per 10 anni è un imprenditore edile affermato in città. Il suo nome compare nella carte dell’inchiesta Aemilia non solo per quel rogo. Olivo (che non è mai stato indagato) fu infatti intercettato dai Carabinieri nel 2011 al telefono con Romolo Villirillo. Quest’ultimo, condannato nel 2016 in primo grado per associazione mafiosa nell’abbreviato di Aemilia, è accusato di essere stato uno dei capi promotori della cosca emiliana. Olivo peraltro è lo stesso che nel 2012 – assieme all’allora sindaco e oggi ministro Graziano Delrio (che sarà presto anche lui fra i testimoni) e ad altri consiglieri comunali di origine calabrese – andò a parlare con l’allora prefetto di Reggio Emilia Antonella De Miro. La delegazione si mosse su iniziativa dei consiglieri comunali che lamentavano una criminalizzazione dell’intera comunità cutrese in città (circa 10mila persone) dopo le interdittive antimafia che il prefetto stava emettendo nei confronti delle imprese ritenute legate alla ‘ndrangheta.
Proprio per ‘incoraggiare’ i testimoni, nei giorni scorsi cinque sindaci della provincia di Reggio Emilia si sono presentati nell’aula speciale del processo. Emanuele Cavallaro di Rubiera, Nico Giberti di Albinea, Andrea Carletti di Bibbiano, Andrea Tagliavini di Quattro Castella e Enrico Bini di Castelnovo Monti, accompagnati da alcuni dei loro assessori e da una consigliera provinciale hanno presenziato a una delle udienze. “Il pubblico dà fastidio. Spesso capita di ricevere insulti dai parenti degli imputati. Ma non mollo: bisogna esserci per fare sentire la presenza delle istituzioni”, racconta Bini a ilfattoquotidiano.it. “Continueranno a venire a seguire i processi anche le scuole. Per questo abbiamo voluto che il processo si svolgesse qui e non in un’altra città”.

L’avvocato della difesa: “Dai testimoni risposte imprecise, calabresi accusati a prescindere”

Intanto però arriva una nota dell’avvocato Francesco Miraglia, che difende diversi degli imputati nel processo Aemilia: “In un Paese come il nostro, in cui vale per la presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio, stiamo assistendo in queste ore a un processo mediatico che dipinge già come colpevoli gli imputati in un procedimento giunto soltanto alla fase dibattimentale, tutt’ora in corso, ben lontano da una sentenza”. Tuttavia, secondo Miraglia, i testimoni dell’accusa hanno risposto alle domande “con risposte imprecise, indefinite e per sentito dire”: “Che si tratti di affiliati alla ‘ndrangheta e di operazioni legate alle attività criminose è quindi tutto ancora da dimostrare – ha detto l’avvocato riferendosi agli imputati – e mi pare pertanto che si sia partiti da un presupposto di territorialità, che faccia dei calabresi dei delinquenti a prescindere”.
 
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nacce-negate-al-processo-sulla-ndrangheta/3127899/