Atto CameraInterpellanza urgente 2-00373 presentato da BRAMBILLA Michela Vittoria testo di Venerdì 17 gennaio 2014, seduta n. 154
I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro della giustizia, il Ministro dell’interno, per sapere – premesso che:
il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia;
la legge 4 maggio 1983, 184 «Diritto del minore ad una famiglia» e successive modificazioni, prevede l’affidamento del minore ad una famiglia o ad una persona singola in grado di garantirgli il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno nel caso in cui il minore sia temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo o, qualora questo non sia possibile, l’inserimento in una comunità di tipo familiare o in un istituto di assistenza pubblico e privato;
la condizione dei minori allontanati dalla famiglia di origine con provvedimento di un’autorità giudiziaria è in Italia e nel resto del mondo oggetto di discussioni e confronti spesso aspri;
la legge n. 184 del 1983 prevede altresì il diritto del minore alla propria famiglia, precisando «le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la responsabilità genitoriale non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto»;
l’articolo 2 della legge n. 219 del 2012 cha ha conferito la delega al Governo per la modifica delle disposizioni in materia di filiazione e di dichiarazione dello stato di adottabilità ha introdotto tra i numerosi principi e criteri direttivi dettati dal comma 1 la specificazione della nozione di abbandono morale e materiale del figlio, con riguardo all’irrecuperabilità delle capacità genitoriali, fermo restando che le condizioni di indigenza non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia (lettera n);
il decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 «Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219», pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 5 dell’8 gennaio 2014, che entrerà in vigore il 7 febbraio 2014, emanato in attuazione della suddetta delega, ha introdotto modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, tra le quali l’introduzione dell’articolo 79-bis che prevede che il giudice segnali ai comuni le situazioni di indigenza di nuclei familiari che richiedono interventi di sostegno per consentire al minore di essere educato nell’ambito della propria famiglia;
in una risoluzione del 2009 (Linee guida relative all’accoglienza eterofamiliare dei minori, adottate dall’Assemblea generale delle Nazioni unite il 18 dicembre 2009 con risoluzione A/RES/64/142, pubblicata il 24 febbraio 2010), le Nazioni Unite impegnano gli Stati con ogni mezzo (finanziario, psicologico e organizzativo) a preservare il rapporto del minore con la sua famiglia di origine e ad impedire che il bambino ne debba uscire e, in tal caso, ad agevolarne il rientro dettando criteri ben precisi sull’affidamento temporaneo, quali: che il minore sia tenuto in luoghi vicini alla sua residenza abituale; che si ponga attenzione a che il minore non sia oggetto di abuso o sfruttamento; che l’allontanamento si prospetti temporaneo e si cerchi di preparare il rientro in famiglia al più presto possibile; che il dato della povertà familiare non sia da solo sufficiente a giustificare l’allontanamento del minore; che i motivi d’ordine religioso, politico ed economico non siano mai causa principale dell’invio di un minore fuori famiglia; che sia preferita, ove possibile, l’assegnazione ad un ambiente familiare rispetto all’istituto (soprattutto sotto i tre anni d’età). In tutti i casi, comunque, si richiede il coinvolgimento del minore nelle decisioni che lo riguardano;
in Italia durante la fase transitoria pre-affidataria, il bambino viene accolto presso comunità di tipo famigliare (cosiddette «case famiglia»), con sede in civili abitazioni, per la durata dell’impedimento o del periodo di difficoltà, con l’obiettivo principale di trovare successivamente una collocazione familiare;
nel provvedimento di affidamento familiare devono essere indicate specificatamente le motivazioni e la durata dell’affidamento, che deve essere rapportabile al complesso di interventi volti al recupero della famiglia d’origine. Tale periodo non può superare la durata di ventiquattro mesi ed è prorogabile, dal tribunale per i minorenni, qualora la sospensione dell’affidamento rechi pregiudizio al minore;
nei fatti, in Italia, tale pratica giuridica sottopone il minore ad un lungo ed estenuante iter prima dell’affidamento dando luogo al fenomeno dei cosiddetti «allontanamenti facili»;
secondo la prassi che vige negli affidamenti temporanei, da quando il giudice tutelare assegna il minore alla casa famiglia al termine delle verifiche da parte degli uffici competenti e si dispone l’affidamento, trascorrono addirittura anni (la media si aggira intorno ai 3 anni), dando origine a vergognose lunghissime permanenze nelle case famiglia con ripercussioni gravissime sulla salute e sulla formazione del minore;
recenti stime attestano che il numero di bambini fuori famiglia è oscillato in Italia negli ultimi anni tra le 25 e 30 mila unità rispetto agli anni passati, e che l’affidamento temporaneo è cresciuto intorno al 24 per cento;
in Italia non esiste un sistema di monitoraggio strutturato a livello istituzionale che rilevi dati omogenei e confrontabili, né tanto meno una mappatura degli istituti residenziali di accoglienza, sulla qualità di tali strutture, sulla qualifica del personale, sul valore dei servizi erogati e sulla progettualità dell’affido;
la mancanza di rilevazioni periodiche e di una vera e propria organizzazione a livello istituzionale hanno portato, in molti casi, alla necessità di proporre valori di stima per molte realtà regionali, evidenziando serie difficoltà nel reperire informazioni trasparenti sul fenomeno dei bambini fuori dalla famiglia e sulle loro condizioni di vita nelle comunità residenziali di accoglimento, rendendoli dei bambini invisibili;
stime recenti fanno riferimento a più di 1.800 centri, con alcune regioni, come l’Emilia, il Lazio, la Lombardia e la Sicilia, che registrano una concentrazione di 300 strutture. Una discreta differenziazione, in termini quantitativi, si riscontra anche fra le regioni del Sud: in assoluto, la regione che presenta il maggior numero delle strutture è la Sicilia con 63 Istituti per minori. In definitiva, emerge che in Italia ci sono oltre 30 mila minori ospitati presso strutture di accoglienza;
dal rapporto elaborato dall’istituto degli Innocenti con il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei ministri e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali pubblicato nel 2011 emerge un quadro complesso e variegato dei bambini fuori famiglia le cui risultanze risentono delle difficoltà di copertura territoriale dei monitoraggi attivi;
in assenza di informazioni attendibili su ciò che avviene nelle case famiglia, i minori passano dalla condizione di «allontanati» a quella di «abbandonati», spesso senza possibilità di avere contatti col mondo esterno;
a quanto ci è dato sapere, poco meno di un bambino su 10 presenta una qualche forma di disabilità certificata o un motivo grave per giustificare un allontanamento dalla famiglia: infatti oltre il 50 per cento degli inserimenti in struttura è dovuto soprattutto ad inadeguatezza/incapacità genitoriale o assenza di una rete famigliare adeguata o problemi giudiziari di uno o entrambi i genitori: motivi che consentirebbero di agire in prima istanza attraverso un’adeguata azione domiciliare dei servizi sociali;
l’allontanamento del minore dalla famiglia e la sua conseguente istituzionalizzazione rappresenta un vero e proprio trauma per il bambino che nella maggior parte dei casi viene strappato nel giro di pochi giorni dal nucleo familiare senza che sia predisposto un percorso psicologico di sostegno, e deve attendere mesi, e spesso anni, per essere reinserito;
sono numerosissime le segnalazioni pervenute in questa e nelle precedenti legislature alla Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza, da parte di privati e associazioni no profit, che denunciano il cosiddetto fenomeno degli «allontanamenti facili», quasi tutti conseguenza di analisi frettolose di separazioni conflittuali o di difficoltà economiche familiari;
altrettanto numerose risultano le denunce da parte di genitori nei riguardi delle strutture in cui versano i figli «ospitati», nella maggior parte dei casi edifici inospitali, con carenze igienico-sanitarie e inagibili o peggio ancora denunce di casi di maltrattamenti e abusi sui minori;
il controllo dei «flussi» impone un’azione urgente dal punto di vista della sicurezza negli Istituti dove spesso si celano casi di maltrattamenti, adescamento e pedofilia, prima che diventino casi di cronaca nera come quello relativo alla cooperativa Forteto, dopo trentanni oggi finalmente sotto inchiesta;
ogni minore ospitato in una casa-famiglia costa mediamente intorno ai 200 euro al giorno, una retta che viene erogata fino a quando il minore risiede nella struttura;
la Federcontribuenti stima in 2 miliardi di euro la spesa pubblica annua destinata a sostenere gli affidamenti di minorenni;
sussiste un «turnover» di bambini allontanati, per cui abbiamo circa 10.000 dimessi a fronte di un pari numero di nuovi ingressi nelle case famiglia;
da quanto è emerso, anche a seguito di recenti inchieste giornalistiche, il fenomeno degli «allontanamenti facili» ha assunto sempre più la connotazione di un vero e proprio giro d’affari dove i minori rappresentano merce di scambio per lucrare sui fondi destinati all’accoglienza residenziale dei minori;
le residenze protette possono rappresentare una risorsa importante per la tutela del minore in difficoltà, ma a condizione che la permanenza del bambino venga gestita, contrariamente a quanto avviene nella realtà, in modo trasparente e con criteri precisi, avendo come obiettivo quello di preservare, il minore da traumi psicologici e assicurargli una collocazione familiare in tempi ragionevoli;
è affidato alle Regioni – previa verifica dei requisiti minimi fissati dalla legge nazionale – il compito di controllare di propria iniziativa e sotto la propria responsabilità le case famiglia già esistenti e autorizzare l’eventuale apertura delle nuove, che devono soddisfare anche requisiti specifici oltre a quelli standard, stabiliti dalle singole regioni di appartenenza;
di fatto, anche sotto il profilo amministrativo, non esiste alcun controllo sulla gestione delle case famiglia e sul corretto utilizzo delle risorse loro assegnate esclusivamente a favore degli «ospiti»;
in Italia, rispetto ad altri paesi europei, si ravvisano troppe deleghe affidate ai vari ministeri: la mancanza di un unico soggetto con piena e totale competenza in materia, o almeno titolare di poteri di coordinamento, genera inevitabilmente incertezza e confusione –:
se alla luce di quanto emerso, i Ministri interpellati intendano assumere iniziative per avviare un censimento finalizzato alla rilevazione esatta delle residenze protette presenti su tutto il territorio nazionale al fine di tracciare la mappatura delle stesse;
se non ritengano altresì necessario introdurre, di concerto con le singole realtà regionali, un sistema di rilevazione sistematica dei dati sulla condizione dei bambini fuori famiglia ed un monitoraggio periodico sulle strutture residenziali di accoglienza, istituendo un apposito registro degli affidamenti temporanei, attivo invece in molti Paesi europei;
se risultino avviate indagini a seguito delle numerose denuncie nelle quali si segnalavano negligenze e condotte asseritamente illecite degli operatori;
se non ritenga necessario assumere iniziative normative per istituire, anche riconsiderando l’attuale assetto delle competenze costituzionali, nuovi e più rigorosi meccanismi di controllo per garantire la sicurezza e la protezione dei minori nelle comunità prevedendo l’istituzione di organi di vigilanza (anche indipendenti) per individuare meccanismi di verifica della validità e della utilità dei progetti di affido previsti per ciascun minore;
se non si ritenga opportuno, ogniqualvolta ne emergono i presupposti, inviare apposite ispezioni del comando dei carabinieri per la tutela della salute onde verificare la sussistenza delle condizioni di idoneità igienica dei luoghi adibiti a casa famiglia e degli istituti residenziali di accoglienza presenti sul territorio italiano;
come intendano procedere, nell’ambito delle rispettive competenze, per promuovere nelle opportune sedi di confronto con le regioni e gli enti locali il regolare controllo sulla costante sussistenza da parte delle comunità censite dei requisiti previsti per legge adeguati alle necessità educative-assistenziali dei bambini e degli adolescenti ospitati e verificare che il rendiconto delle spese da esse sostenute sia pubblicizzato e giustificato;
quali misure tempestive intendano adottare, in raccordo con gli enti pubblici coinvolti, per rendere trasparente la gestione dei fondi pubblici stanziati per l’accoglienza dei minori nelle strutture residenziali e il loro effettivo e corretto stanziamento da parte delle amministrazioni locali;
se non valutino opportuno, nell’ambito di una generale riflessione sullo stato delle politiche sociali e familiari in Italia, assumere iniziative normative per ridefinire i ruoli e le competenze di chi è deputato alla tutela del minore fuori dalla famiglia (il giudice tutelare e gli assistenti sociali in primo luogo) al fine di migliorare le procedure di affidamento familiare e disincentivare la odiosa prassi degli allontanamenti «non giustificati» e i continui «spostamenti» dei minori da una struttura all’altra, nonché favorire programmi di supporto a sostegno della genitorialità da attivare all’interno della famiglia stessa, incentivando l’ascolto del minore interessato;
se intendano intraprendere, nella prospettiva di una prossima realizzazione del piano nazionale di azione per l’infanzia e l’adolescenza, misure strategiche ed iniziative normative, anche di revisione dell’attuale quadro costituzionale di ripartizione delle competenze, tali da superare l’attuale frammentazione delle competenze tra più organi statali, regionali e locali, al fine di garantire la corretta tutela dei minori in difficoltà e una migliore distribuzione delle risorse economiche sul territorio, per ridare dignità ad un istituto giuridico importante come quello dell’affido temporaneo.
(2-00373) «Brambilla, Binetti, Amato, Fucci, Argentin, Biondelli, Grassi, Gigli, Piepoli, Ravetto, Calabria, Santelli, Chiarelli, Matarrelli, Castiello, Palmizio, Archi, Picchi, Polverini, Petrenga, Marti, Sammarco, Bossi, Scopelliti, Buonanno, Rondini, Fedriga, Vargiu, Palese, Latronico, Borghesi, Nastri, Totaro».