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Problema dell'aborto

di Avv. Francesco Miraglia
Grazie per quella lettera a un bambino mai nato  Scrivo per ringraziare della lettera “A un bambino mai nato” che avete pubblicato sull’edizione di domenica 23 gennaio in prima pagina del giornale. Ringrazio, principalmente da neo papá ma anche da presidente diocesano di Azione Cattolica, per il coraggio che avete avuto di pubblicare quella lettera, che mette in luce in modo evidente come la scelta di non far nascere un nuovo bambino non sia priva di conseguenze e non si debba prendere “alla leggera”. Una nuova vita, comunque arrivi, è portatrice di quella speranza di cui, come giustamente avete scritto, tutti abbiamo bisogno. Paolo Seghedoni D’accordo, tranne che su quel «comunque arrivi», che potrebbe, se malinteso, far pensare che anche senza la necessaria consapevolezza far figli sia comunque un bene. E purtroppo sappiamo che non è sempre così. (a.r.) ALLARME AMIANTO Modena dal basso vada a perlustrare le ex Fonderie?  Al signor Brugnoli e alla sua associazione “Modena dal basso”, che consigliano il sindaco ad obbligare l’Esercito ad una bonifica dell’Ottavo Campale, consiglierei di farsi un giretto alle ex Fonderie, dove la quantitá di amianto esposta all’aria è ben maggiore di quanto non si verifichi nel sito militare. Per non parlare dell’inquinamento dell’area ex Fonderie sul quale il Comune non ha mai compiutamente informato i cittadini sul tipo di sostanze inquinamti presenti e sulla loro pericolositá. O forse, visto che qui il proprietario è il Comune e non lo Stato, la salute degli abitanti dell’area non è così importante? Giovanni Bortoli FILE ALL’AULS L’obbligo dello specialista assurdo e anticostituzionale  Purtroppo in una così grave situazione di crisi economica e di scelte sempre più discutibili da parte dei Direttori Generali delle Usl, veniamo a conoscenza di una sanitá che si mostra sempre meno dalla parte dei cittadini più bisognosi. Tra gli interventi pubblicati nel giornale da Lei diretto, in questi ultimi giorni c’è quello: “L’Usl: Il medico lo scegliamo noi”. Per risolvere il problema delle lunghe liste di attesa, una delle soluzioni più discutibili è quella di scegliere essa stessa il medico specialista. Conseguenza inevitabile è che l’utente sará costretto a rinunciare al suo medico di fiducia e farsi visitare da un medico non richiesto, che prevedibilmente sará quello senza una lunga lista di attesa. Ció risulta illegittimo oltre che anticostituzionale. E infatti la Costituzione tutela la salute come fondamentale ed irrinunciabile diritto dell’individuo, e in particolar modo prescrive come nessuno possa essere obbligato ad un trattamento sanitario e, nemmeno, quindi, a essere visitato da un medico scelto da altri. I nostri politici e in particolar modo i dirigenti sanitari citano il concetto della salvaguardia del diritto costituzionalmente garantito alla salute, eppure… Mi chiedo, quale funzionario amministrativo, quale dirigente sanitario, quale direttore di un Ausl possa arrogarsi il diritto di sostituirsi al cittadino nella scelta del medico da cui farsi assistere e visitare. Natuaralmente chi non deve fare i conti con la fine del mese, non ha problemi di lista di attesa, se sceglie di rivolgersi a un medico specialista privatamente.

Lavoratori precettati senza avviso colpa dell’Atcm, la Prefettura paga

Caso unico in Italia Ventitrè autisti hanno fatto ricorso e saranno risarciti con 661 euro a testa pari a 15mila euro

Finirà nei volumi della Utet che fanno giurisprudenza, in quanto prima e unica in Italia, la sentenza che ha condannato la Prefettura a rifondere i lavoratori multati. La Prefettura è quella di Modena e la “colpa” è dell’Atcm. Com’è andata? Siamo nel 2003, periodo di forti agitazioni per i lavoratori dipendenti delle aziende pubbliche di trasporto a causa del mancato rinnovo del contratto. Le proteste crescono in tutta l’Italia e anche a Modena. Il 22 dicembre di quell’anno, durante una di queste agitazioni, gli autisti dell’Atcm indicono uno scipero spontaneo a cui aderiscono numerosi, bloccando il trasporto pubblico in città.
L’azienda grida allo “sciopero selvaggio” e chiede la precettazione per i suoi dipendenti. Per precettare dei lavoratori in sciopero (cioè per impedire loro di interrompere il servizio e multare chi non torna al lavoro) l’Atcm si rivolge, come previsto dalla legge, alla Prefettura di Modena che, su richiesta dei dirigenti dell’azienda, dichiara lo sciopero non valido. A quel punto, sempre per legge, l’Atcm, in quanto datore di lavoro, avrebbe dovuto bloccare lo sciopero avvisando i lavoratori di aver ottenuto la precettazione. Ed è proprio qui che qualcosa non ha funzionato.
L’Atcm ha, infatti, considerato precettati i suoi dipendenti ma non li ha avvisati, come doveva, di questa decisione. Qualche mese dopo i lavoratori che avevano aderito allo scioperosi sono visti recapitare una sanzione pecuniaria di 172 euro a testa, per aver violato la precettazione e non aver ripreso il servizio nonostante la protesta fosse stata dichiarata illecita. Dei lavoratori che si sono visti recapitare l’ammenda quasi tutti hanno pagato, non trovando nei sindacati di categoria alcuna indicazione precisa su come muoversi. 23, di loro, invece, hanno fatto ricorso. Ed hanno vinto su tutta la linea.
L’Atcm, infatti – dice la legg – per convalidare la precettazioe ottenuta dalla Prefettura avrebbe dovuto comunicare immediatamente ai lavoratori che lo sciopero era stato dichiarato illegittimo, uilizzando mezzi di informazione, avvisi, affissioni nel luogo di lavoro e tutti i canali possibili, accertandosi anche che la comunicazione risultasse efficace. In aula di tribunale i ricorrenti hanno invece dimostrato il contrario: molti scioperanti, nonostante avessero contattato l’azienda per avere informazioni o si fossero, addirittura, recati sul posto di lavoro non erano venuti a conoscenza del provvedimento.
In sostanza i 23 autisti che avevano fatto ricorso attraverso l’associazione Atala avvalendosi della consulenza legale dell’avvocato Francesco Miraglia, lo hanno vinto e la Prefettura di Modena è stata condannata a rifondere ognuno con 661 euro, comprensivi delle spese legali sostenute, per un totale di più di 15mila euro.

22 settembre 200

Torino: il tribunale schierato contro il minore? Sentenza paradossale che si oppone al diritto del minore alla propria famiglia

Torino: il tribunale schierato contro il minore?
Sentenza paradossale che si oppone al diritto del minore alla propria famiglia

Torino. Solo pochi giorni fa abbiamo commentato una sentenza ineccepibile del tribunale di Trento che aveva restituito i minori alla famiglia garantendo il loro diritto alla propria famiglia sancito dalla legge italiana, dalla Costituzione e dalle Convenzioni internazionali. Ma sembra che a Torino le cose non stiano proprio così.
Vediamo di sintetizzare questa vicenda che vede la Corte d’appello non solo “schierarsi” contro il minore, ma anche contro le parti e lo stesso Pubblico Ministero competente, arrivando persino a disporre “ex novo” un collocamento etero-famigliare del minore, andando ben oltre le proprie competenze. Infatti, anche un ragazzino al primo anno di giurisprudenza sa che una Corte d’appello non può emettere un decreto ex novo, ma deve solo valutare l’operato del tribunale di grado inferiore, in questo caso il Tribunale dei minorenni.
Non ripercorreremo tutta la storia di questo bambino e della sua mamma. Diciamo solo che per dei presunti problemi psichici della mamma e per degli altrettanto presunti disaccordi della stessa con i nonni materni, il bambino viene collocato presso una famiglia a 100 chilometri di distanza (cosa che puzza molto e solleva il sospetto di un tentativo dissimulato di adozione) arrivando persino a proporre la procedura di adottabilità. Grazie all’ottimo lavoro dell’avvocato Miraglia e dei suoi collaboratori la vicenda viene chiarita, tanto che si dichiarava non esservi luogo a provvedere sull’adottabilità del minore. Ed è qui che interviene come una mazzata a ciel sereno la decisione della Corte d’Appello che decide, di sua sponta, l’affidamento etero-familiare, sebbene il Pubblico Ministero, unico legittimato, oltre ai parenti del minore, non aveva formulato alcuna domanda in relazione all’instaurazione di un procedimento di volontaria giurisdizione e, tanto meno, rispetto alla disposizione di un affidamento etero-familiare del minore, limitandosi a richiedere la sospensione del procedimento di adottabilità ai fini dell’acquisizione di nuove valutazioni ed il ripristino della frequentazione tra il minore e la madre.
A questo punto alla madre non restava che rivolgersi alla Cassazione per contestare l’assurda sentenza della Corte di Appello. Il ricorso è stato quindi presentato dagli studi Francesco Miraglia del foro di Modena e Ulpiano Morcavallo del foro di Roma che recentemente hanno iniziato una proficua collaborazione nel settore della giustizia minorile.
E leggendo il ricorso si scorgono delle ulteriori gravi irregolarità a svantaggio del minore di soli 10 anni che ha sempre chiesto di ricongiungersi alla madre, anche secondo quanto riferito in sede di CTU: “Gli affidatari evidenziavano difficoltà a relazionarsi con [il bambino][…] in quanto D. si ribellava fisicamente, contestava apertamente il loro ruolo, richiamava il potere decisionale della madre … D. affermava di stare bene, pur dichiarando di voler tornare […] a vivere con la mamma, concetto ripetuto in più occasioni anche senza essere sollecitato dalla stessa”. Non si capisce quindi perché la Corte di Appello abbia voluto impedire, illegittimamente come illustrato sopra, il ricongiungimento con la madre.
Un’altra irregolarità riscontrata è la violazione del principio del necessario ascolto del minore, sancito da lungo tempo nell’ambito delle convenzioni sovranazionali in materia. Sebbene il bambino abbia meno di 12 anni, risulta dotato di capacità di discernimento, se è vero che delle sue esternazioni e opinioni, esposte in sede di CTU e di osservazione socio-psicologica, si è tenuto decisivo conto al fine di ravvisare la sussistenza di un solido legame affettivo con la madre e i nonni materni – sì da escludersi l’esistenza del presupposto fattuale per la dichiarazione dello stato di adottabilità – nonché con riguardo all’individuazione di asseriti sintomi di disagio riconducibili alla problematica relazione con la madre.
Oltre a non rientrare nelle sue competenze, la decisione della Corte in merito all’affidamento etero-familiare appare addirittura contraria alla legge. Infatti l’affidamento etero-familiare dovrebbe essere soltanto in funzione di sostegno alla famiglia di origine del minore nell’ottica di una progressiva opera di reinserimento dello stesso minore nella famiglia di provenienza, e dovrebbe prevedere condizioni di frequentazione quanto più possibile assidue tra il minore affidato e i familiari di origine per consentire la conservazione degli affetti familiari e agevolare il suo reinserimento nel contesto familiare originario. La previsione di una frequentazione minima tra il minore affidato e i familiari originari (madre e nonni materni, che sono gli unici soggetti ad avere partecipato costantemente al percorso di crescita del minore) si pone in patente contraddizione con la finalità del disposto affidamento etero-familiare, risultando per conseguenza irragionevole e difforme rispetto al dettato normativo.
Ed infine il giudice non sembra aver tenuto in debita considerazione gli elementi fattuali che gli sono stati presentati. Si sottolinea infatti l’inconsistenza degli elementi sorprendentemente valorizzati dalla Corte che, in definitiva, ha basato la propria decisione su un’affrettata e a-tecnica diagnosi di psicopatologia della madre del minore e sulla supposta sussistenza di un rapporto conflittuale tra quest’ultima e i suoi genitori, nonni materni del bambino, i quali invece in ogni momento dell’istruttoria sono risultati coltivare un profondo legame affettivo con il bambino e con la madre. La Corte invece, in questa sede, non ha preso in considerazione gli orientamenti affettivi del minore esplicitati anche verbalmente, cioè l’intenso e indistruttibile amore nei confronti della madre, che però, paradossalmente, sono stati considerati dal giudice di prime cure per escludere la sussistenza dello stato di abbandono morale. Inoltre rileviamo un’assoluta carenza di esame, da parte del giudice di appello, delle risultanze e degli esiti degli incontri tra il minore ed i nonni materni, il cui effetto rasserenante per il minore avrebbe dovuto condurre a un esito di pronto reinserimento del bambino nell’ambito familiare originario e, quantomeno, presso i nonni predetti.
Siamo certi che la Suprema Corte porterà ordine in questo garbuglio giurisdizionale riportando la vicenda sui binari normativi standard e soprattutto restituendo il minore alla sua famiglia come da lui ripetutamente richiesto. A volte basterebbe semplicemente ascoltare il minore. La legge lo impone, ma a volte i giudici, confusi nei freddi e complessi tecnicismi giuridici, non riescono ad applicarla nella sua semplicità.
 
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www.ccdu.org

19 APRILE 2012: DISCUSSIONE TESI “IL VOLTO DELL’NDRANGHETA” di FRANCESCO MIRAGLIA

19 aprile 2013
In questi anni ho avuto la fortuna di poter svolgere la mia professione con passione, di incontrare persone che mi hanno arricchito molto dal punto di vista umano. Ho collaborato con professionisti che come me, credono fermamente che i bambini e di conseguenza le loro famiglie vadano protette e sostenute, ancor più in un momento delicato come quello che stiamo vivendo. Spesso mi sono ritrovato ad affrontare casi delicati legati anche ad altre problematiche giudiziarie, ho dovuto affrontare processi in cui sembrava che tutto fosse già stato deciso…ho accettato casi “complessi” legati al mondo delle organizzazioni criminali malavitose, ho combattuto spesso in prima linea, risultando ancheuna persona “scomoda”.
Credo che la voglia, di fare, di mettermi in gioco, il desiderio di “giustizia”, la grinta e la caparbietà siano state delle valide compagne di viaggio nel mio percorso di crescita professionale e grazie a loro ho potuto ottenere i risultati che desideravo e anche riconoscimenti inaspettati.
Risultati che sono anche il frutto di un continuo studio, della volontà e necessità di rapportarsi con le Istituzioni, con le leggi, con un sistema giudiziario complesso in continua evoluzione e che richiede quindi sistematici aggiornamenti e tanta preparazione, indispensabile, credo per riuscire, laddove sia necessario, a trovare nuove e originali soluzioni.
Ed è proprio con questo spirito che lo scorso anno ho deciso di iscrivermi al Corso di “Mediazione criminale e intelligence nell’investigazione” promosso dall’Università della Mediazione di Napoli in convezione con l’associazione CSI – Periti Consulenti Forensi, United Nations Academic Impact Member, Academy School e con la collaborazione  del Politecnico Polisa oltre chedell’Assessorato  Affari Istituzionali  del comune di Vibo Valentia.
Il 19 aprile alle ore 15, presso la sala del Consiglio del Palazzo Luigi Razza discuterò la mia tesi intitolata “Il volto della‘Ndrangheta”. A presiedere la Commissione d’esame saranno iProfessori Saverio Fortunato e Edoardo Maria Piccirilli.
Una tesi, che vede come relatore il Prof. Giuseppe Cinquegrana,antropologo criminale, e che verte su un caso che ho personalmente seguito, conosciuto come “Operazione Sybaris”. Si tratta di una delle più importanti operazioni di Polizia ai danni diquesta organizzazione criminale effettuata nel Cosentino jonico e che vide l’uccisione, il 16 maggio 2001, di Vincenzo Boise da parte di due sicari, mentre si trovava in campagna a bordo di un trattore con il fratello. Fondamentali per la risoluzione del caso furono anche le intercettazioni telefoniche delle quali si fa riferimento nel mio lavoro.
 
 

Trento, una sentenza innovativa che restituisce una famiglia a due bambini

L’avvocato Francesco Miraglia, il CCDU e Gabriella Maffioletti di ADIANTUM, esprimono la loro grande soddisfazione per il primo affidamento intra-familiare giudiziale non richiesto dai servizi sociali.

Oggi infatti il Tribunale dei minorenni di Trento ha deciso di affidare due minori di 1 e 3 anni a una zia della madre, che è attualmente ospitata in una comunità di recupero. Da quanto ci è dato sapere, questa è la prima volta che il tribunale accetta questo tipo di collocamento non richiesto dai servizi sociali. Il provvedimento è immediatamente esecutivo e già domani i due bambini in tenera età potranno ritornare a godere dell’affetto di una famiglia e uscire dalla struttura residenziale.
Questa è una sentenza innovativa per il Trentino dato che è la prima volta, per quanto ne sappiamo, in cui si verifica questa eventualità, visto che solitamente questo tipo di affidamento viene proposto dai servizi sociali. In questo caso i servizi, sebbene i parenti avessero comunicato verbalmente la loro disponibilità, non li avevano informati della necessità di richiedere formalmente l’affido dei bambini e il tribunale si era convinto che non fossero interessati, decretando pertanto il collocamento in struttura dei bambini.
Interrogata in merito a ciò, l’assistente sociale incaricata del caso ha affermato che i parenti avrebbero dovuto attivarsi e che lei non aveva il compito di sollecitarli (…). Ci auguriamo che questo sia di monito per i parenti di famiglie che rischiano l’allontanamento dei figli affinché si attivino immediatamente per iscritto. Non è sufficiente comunicarlo verbalmente all’assistente sociale.
La storia di questi bambini era già salita all’onore delle cronache per le modalità di allontanamento, dato che il bambino di soli due anni era stato allontanato dalla madre mentre era in ospedale per partorire la seconda figlia. Un trauma gravissimo sia per la madre e la famiglia sia per il bambino, che non aveva potuto nemmeno salutare la madre. La vicenda aveva anche avuto dei risvolti politici con ben tre interrogazioni e una domanda di attualità presentate dal consigliere comunale Gabriella Maffioletti in merito alle modalità dell’allontanamento, alle scarse informazioni fornite alla famiglia e al mancato utilizzo delle risorse consistenti in una famiglia solida e unita. Questi due bambini hanno dovuto stare per più di un anno in una struttura: un trauma che probabilmente li segnerà per tutta la vita.
Ma questa vicenda è anche la dimostrazione di come un lavoro sinergico di rete può condurre a un esito positivo in situazioni anche apparentemente senza speranza. Grazie all’intervento dell’avvocato Miraglia, tutte le zie del bambino hanno ottemperato alle regolari procedure legali offrendosi di accogliere il bambino. I responsabili della comunità di San Patrignano, contattati da Antonella Flati dell’associazione Pronto Soccorso Famiglia, in stretta cooperazione con il consigliere Gabriella Maffioletti (che in pratica ha svolto le funzioni di assistente sociale) sono riusciti a convincere la mamma ad intraprendere un lavoro serio di recupero. Per non allontanare la mamma dal bambino e su suggerimento del SERT, la mamma è stata collocata presso la comunità di Camparta che ha svolto e sta svolgendo un ottimo lavoro. I famigliari invece, si sono impegnati a frequentare e frequentano regolarmente le riunioni del gruppo di San Patrignano per poter aiutare meglio la mamma nel suo percorso di recupero.
Così, il tribunale non solo ha decretato la revoca della sospensione della potestà genitoriale per la mamma, ma ha anche disposto che potrà vedere i bambini in visite non protette. Se pensiamo che solo un anno fa era stata avviata la procedura di adottabilità possiamo capire che in poco tempo sono stati fatti dei passi avanti prodigiosi. Il consigliere comunale Gabriella Maffioletti – che il 5 e 6 aprile prossimo sarà a Roma assieme ad altri professionisti come relatore del corso intensivo organizzato dall’Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare – ha affermato: “Questa vicenda è un esempio lapalissiano di come, attraverso un lavoro sinergico con lo scopo condiviso di tutelare il diritto del minore a una famiglia, la possibilità di evitare o far cessare gli allontanamenti dalle famiglie sia reale e concreta, anche in casi molto complessi e delicati”.
Oltre al comportamento omissivo dell’assistente sociale, dobbiamo però muovere una critica ai servizi sociali e all’EMAF (Équipe multidisciplinare per l’affidamento familiare). Infatti i servizi (e in seguito l’equipe) erano stati incaricati di valutare questo affidamento intra-famigliare il 29 maggio 2012. Ora siamo a marzo e finalmente abbiamo una decisione definitiva: con un calendario intensivo di incontri e di visite questo si sarebbe potuto e dovuto fare in tempi molto più brevi. Non dimentichiamo che nel frattempo due minori in età tenerissima vivevano lontani dall’affetto di una famiglia in una struttura residenziale.

Fonte: Redazione
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Duro attacco all’Ordine: avvocato assolto dopo sei anni

Il TRIBUNALe: esercitò il suo diritto di critica
L’avvocato modenese Francesco Miraglia è stato assolto dopo sette anni dall’accusa di aver diffamato l’Ordine degli Avvocati Modena per un articolo pubblicati sulla Gazzetta nel quale accusava l’istit..
L’avvocato modenese Francesco Miraglia è stato assolto dopo sette anni dall’accusa di aver diffamato l’Ordine degli Avvocati Modena per un articolo pubblicati sulla Gazzetta nel quale accusava l’istituzione. Il giudice monocratico di Mantova Matteo Grimaldi ha sentenziato che Miraglia ha solo esercitato un diritto di critica, magari in modo pesante ma sicuramente in alcuni punti con un «nucleo di veridicità». La sentenza di assoluzione sarà discussa questa mattina al Consiglio dell’Ordine di Modena che deciderà se appellarsi oppure no. Il caso riguarda un articolo pubblicato sul nostro giornale il 24 gennaio dell’ormai lontano 2006 che commentava l’intenzione del Governo Prodi di abolire gli ordini professionali, «ormai – scriveva Miraglia – considerati inutili carrozzoni corporativi che difendono , non già l’interesse dei cittadini che hanno a che fare con una giustizia lentissima, discriminante e costosissima, ma un gruppo elitario di avvocati che usano l’Ordine in nome e per conto dei propri interessi». L’altro passaggio del suo articolo nel quale l’Ordine ravvisava una chiara diffamazione diceva: «La cosa grave è che per noi avvocati non esistono opzioni nel senso di aderire all’Ordine: siamo obbligati a pagare la tassa e sottostare spesso e volentieri a prepotenze e/o vendette di chi in quel periodo sta ai vertici». «In quel periodo», stando all’espressione di Miraglia, era a capo dell’ordine modenese l’avvocato Picchioni che vide in queste affermazioni una ingiuria al suo operato e a quello del Consiglio. Scattò in seguito la denuncia per diffamazione a mezzo stampa. Nel suo articolo Miraglia indicava come riferimento proprio l’ordine che in quei giorni stava rinnovando il vertice. Tuttavia, il giudice, pur riconoscendo «la gravità delle condotte attribuite» all’ordine, ritiene che Miraglia abbia di fatto esercitato un suo diritto di critica sancito da due articoli della Costituzione (51 e 21). Non solo: il magistrato rileva che la critica «in quanto espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica». Questo limite e l’assenza di attacchi o offese personali fanno sì che «risultino rispettati tutti i limiti dell’esercizio legittimo del diritto di critica essendo ravvisabile nelle espressioni utilizzate un nucleo di veridicità».
Carlo Gregori
04 marzo 2013

Presunti maltrattamenti L'avvocato Miraglia risponde a Flavio Amico

Non è certamente mia intenzione scendere in una disputa personale con il Sig. Flavio Amico, che tra l’altro non ho mai conosciuto.
Ma è opportuno precisare che sul mio conto ci sono solo cronache giornalistiche che lasciano il tempo che trovano e che, sopratutto, non trovano alcun riscontro nel mio casellario penale. È pacifico che, a sfatare ogni dubbio, sono pronto a renderlo pubblico in ogni momento.
Mi chiedo: il Sig. Flavio Amico è altrettanto pronto a pubblicare il suo casellario?
Al contrario di quest’ultimo, infatti, il sottoscritto non ha mai riportato alcun tipo di condanna né per calunnia né per altro qualsivoglia tipo di reato.
Per quanto riguarda l’asserita (mia) difesa legale ad un “pedofilo reggino”, mi preme ricordare al Sig. Amico che sono un avvocato, il cui dovere è quello di garantire la difesa tecnica a qualsiasi persona e che, in ogni modo, personalmente,quando assumo una difesa l febbrao a faccio con convinzione di innocenza del mio assistito,e comunque ho rinunciato al mandato ben prima che il mio assistito fosse raggiunto da una sentenza di condanna in primo grado.
 
E’ inoltre doveroso precisare al Sig. Flavio Amico che il sottoscritto non rappresenta e appartiene ad alcuna associazione, e tanto meno lo stesso vuole atteggiarsi a “paladino dei minori”, ma si limita, a rispondere al mandato conferito dai propri assistiti.
Ritengo a questo punto, che sia alquanto indicativo, rispetto alla veridicità di quanto pubblicato dalla Gazzetta di Parma, l’intervento del Sig. Amico, diretto principalmente a cercare di screditare la mia persona e la mia professionalità, oltre che a giustificare i fatti attribuitigli.

MALTRATTAMENTI IN CASA FAMIGLIA A FIDENZA , VECCHI (PDL) CHIEDE SPIEGAZIONI ALLA REGIONE

 
Com’è possibile che un imputato dei reati di maltrattamento di minori e abuso di mezzi di correzione gestisca una “casa famiglia” nonostante, se non è un caso di omonimia, abbia un passato da brigatista coinvolto nel sequestro Moro e sulle spalle altre condanne per reati contro la persona e una condanna a 18 anni per associazione sovversiva?
Se lo è chiesto il consigliere regionale del PdL Alberto Vecchi, vicepresidente della Commissione Politiche per la Salute e Politiche Sociali della Regione Emilia-Romagna, che in un’interrogazione indirizzata alla giunta Errani ha chiesto che venga chiarita, al più presto, la posizione di Flavio Amico che, insieme alla moglie Margherita Fortisi, gestisce a Fidenza una “casa famiglia” legata all’Associazione onlus “We are here – Noi siamo qui”.
Flavio Amico risulta, infatti,  imputato in un processo davanti al Tribunale di Parma, sede distaccata di Fidenza, per i reati di maltrattamento di minori e abuso di mezzi di correzione a seguito di una denuncia di un educatore in servizio nella “casa famiglia” relativa a due distinti episodi avvenuti nel 2008 e nel 2009, ai danni di due ragazzi allora ospiti della comunità gestita dai coniugi Amico.
“Nonostante il processo a carico – scrive Vecchi – FlavioAmico ha continuato a gestire la comunità familiare a Fidenza e a lavorare come educatore anche nella comunità educativa per minori Ca’ degli Angeli di Tabiano Terme, aperta nel 2009 e recentemente trasferita all’interno di una struttura di accoglienza più ampia, Casa Viburno, nata lo scorso anno sempre per manodell’Associazione “We are here – Noi siamo qui”, di cui la moglie Emanuela Fortisi, è presidente”.
Ma ci sarebbe anche dell’altro. Secondo l’avvocato Francesco Miraglia, legale rappresentante dei genitori di un ragazzino ospitato nel 2010 nella comunità Cà degli Angeli di Tabiano e autore del libro sui diritti violati dell’infanzia “Mai più un bambino”, Flavio Amico avrebbe un passato da brigatista e sarebbe stato coinvolto nel sequestro Moro e per questo condannato a 18 anni di carcere per associazione sovversiva.
“In una lettera molto circostanziata – spiega Vecchi –  l’avvocato Miraglia riporta che nel 1978 Flavio Amico era stato arrestato insieme ad altri esponenti delle Brigate Rosse in via Montenevoso 8, a Milano, nella cosiddetta “prigione del popolo” e, al momento dell’arresto, si era dichiarato “combattente comunista” e, in un’altra occasione, “prigioniero di guerra”. Per il suo coinvolgimento nel sequestro Moro, per la sua appartenenza alla colonna brigatista “Walter Alasia”, che si autodefiniva “irriducibile”, fu condannato a 18 anni di carcere per associazione sovversiva”.
Inoltre risulterebbe che dal 1978 al 1998 Flavio Amico avrebbe collezionato altre condanne, alcune delle quali anche per reati contro la persona, tant’è che sulla sua vicenda personale pare che il Garante perl’infanzia e l’adolescenza, organo istituito nel 2011 presso la Regione Emilia-Romagna, stia compiendo verifiche e accertamenti.
“Saremmo curiosi di sapere – conclude Vecchi – se la Giunta regionale sia o meno a conoscenza di questa vicenda; a meno che non si tratti di un caso di omonimia, come sia stato possibile per Flavio Amico, data la gravità dei precedenti giudiziari, ottenere l’autorizzazione all’apertura e al funzionamento di una “casa famiglia”, usufruire di fondi pubblici, ed occuparsi, come educatore, di minori giá provati da situazioni famigliari particolari; come sia stato possibile, date le denunce e il processo in corso, che le istituzioni preposte al controllo della“casa famiglia” non abbiano attivato le necessarie verifiche e non abbiano sospeso cautelativamente dall’attività Flavio Amico; se la Giunta regionale non ritenga doveroso disporre un immediato controllo sulla “casa famiglia” in questione”.
 

IL CASO DELLE DUE BAMBINE DI TRENTO CHE VOGLIONO STARE CON LA LORO MAMMA APPRODA A CANALE 5

Il 17 gennaio alle ore 9 la mamma di Maria e Giulia insieme all’avvocato Francesco Miraglia saranno ospiti della trasmissione Mattino Cinque condotta da Paolo Del Debbio
 
Non sono cadute nel vuoto le parole di due bambine di Levico Terme che, per Natale, chiedevano al Giudice di Trento di poter restare più tempo accanto alla loro mamma. Non almeno per i giornali, le tv e le radio che hanno ripreso la notizia e che hanno voluto farsi portavoce del loro messaggio.
Una storia che ha toccato il cuore di molti e che anche Mediaset ha deciso di raccontare ai suoi telespettatori all’interno dl programma Mattino Cinque. Sarà infatti Paolo Del Debbio, giornalista e conduttore conosciuto anche per la trasmissione Quinta Colonna, ad intervistare negli studi di Cologno Monzese, la madre di Maria e Giulia e l’avvocato Francesco Miraglia del Foro di Modena, a cui è stato affidata la causa.
La vicenda ha inizio nel marzo del 2010 quando le due minorenni vengono affidate ai servizi sociali della “Comunità Valsugana e Tesino” e “collocate” presso la residenza del padre. La madre ogni settimana può vederle per alcune ore. Il tutto avviene regolarmente fino allo scorso 14 dicembre, quando la piccola Maria, 12 anni, chiede con insistenza alla mamma di poter stare a casa con lei. Quest’ultima espone la questione ai Servizi sociali che decidono di concederle quanto richiesto, malgrado l’assistente di riferimento, R.A. sia in ferie. Ma dopo poche ore gli stessi Servizi sociali decidono di sospendere le telefonate e gli incontri tra la madre e le figlie. Una situazione delicata che genera sofferenza tanto da spingere Maria, già qualche giorno prima, a scrivere una lettera direttamente al Giudice di Trento. Lettera nella quale si sottolineava: “…Visto che dopo tre anni le cose sono cambiate ben poco e non nella maniera desiderata vorrei chiederle se per Santa Lucia o per Natale al posto dei regali ci potrebbe portare un aumento delle ore con la mamma e di poter stare metà tempo con la mamma e metà con il papà. Speriamo che accolga la nostra richiesta anche perché non abbiamo mai capito il motivo del poco tempo che possiamo passare con la mamma. Con lei ci divertiamo tanto e facciamo belle attività (découpage, lavoretti…)”.
La situazione si complica lo stesso giorno quando R.A. rientrata dalle ferie parla al telefono con Maria minacciandola, sembrerebbe, con tali parole: “O torni a casa con il papà o io devo prendere la decisione di metterti in collegio. Il giudice sapendo questa cosa fa del male a te, alla Giulia e alla mamma… Allora vuoi andare in un istituto che sarebbe un luogo alternativo al carcere e non vedere più la mamma…” oltre a offendere la madre stessa. Telefonata che viene comunque messa in viva voce e sentita anche dalle Forze dell’Ordine presenti e che ha spinto la madre a denunciare nelle sedi opportune l’assistente sociale R.A.
La decisione di partecipare alla trasmissione televisiva – spiega l’avvocato Francesco Miraglia – nasce dal desiderio di denunciare pubblicamente una situazione che non può continuare ancora a lungo e che in qualche modo rispecchia ciò che succede in molte altre famiglie all’interno del nostro Paese. Processi, procedimenti, denunce che spesso cadono nel vuoto o che vengono risolti in tempi lunghissimi a discapito, va sottolineato, soprattutto dei bambini e di conseguenza anche dell’intero dell’apparato familiare”.
 
 
 
 

 

Mai più un bambino

Non ci si può occupare di minori e non avere fretta, urgenza, guardare al tempo come alla condanna peggiore. Per questa ragione nasce MAI PIÙ UN BAMBINO: perché abbiamo bisogno di arrivare prima di un adulto abusante, prima di una perizia, prima di una sentenza, di una riforma, di una “volante”.
Abbiamo bisogno di arrivare prima, abbiamo bisogno che tra la richiesta di aiuto e l’aiuto offerto non ci sia nessun tempo…perché noi abbiamo fretta per il silenzio agghiacciante di questi bambini abusati. Non c’è alcuna differenza che siano i nostri figli o i figli di qualcun altro. Tutti i bambini del mondo sono figli nostri! E abbiamo il dovere di rispondere anche a loro: “Sono qua”.
 
“Spostare un bambino dalla famiglia a quant’altro rende: rende dal punto di vista narcisistico della propria professione, rende dal punto di vista di giustificare se stessi e il proprio ruolo e qualche volta, ma purtroppo non solo qualche volta, rende dal punto di vista del potere,  del ricatto e anche a livello economico e addirittura politico. In un periodo in cui psicologi, assistenti sociali, sociologi hanno poca possibilità di avere un posto di lavoro, il creare una casa famiglia o un piccolo istituto significare dare posti di lavoro e quindi avere un grosso potere politico”.
“70 bambini all’anno ricevono un trattamento sanitario obbligatorio e 6.000 vengono ricoverati nei reparti di psichiatria. Nel 20120 i minorenni accolti temporaneamente presso i servizi residenziali familiari e socio-educativi e le famiglie affidatarie sono stati 29.309”. (Francesco Miraglia)