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Morte di Michele Dinoi: la madre si oppone all’archiviazione

 Se fosse vittima di una delle sfide mortali che girano tra i giovani sui social?

TARANTO (16 Ottobre 2020). La morte di Michele Dinoi non può rimanere senza un colpevole: il quale sicuramente c’è, come risulta dalla stessa autopsia. Pertanto la madre del giovane, trovato con la testa infilata tra le sbarre della ringhiera di casa e morto nel 2018, dopo sei mesi di coma, si oppone all’archiviazione e chiede di proseguire le indagini. Qualcuno sa, anzi, forse persino molto più di qualcuno, ma nessuno di questi è mai stato sentito dagli inquirenti. Perché? Eppure stando a messaggi e intercettazioni pare che Michele avesse un debito con un tale, che dopo il ritrovamento del ragazzo si sarebbe allontanato dalla città. «Dove si trovava quel giorno? E nei giorni successivi? Perché nessuno lo ha mai sentito?» si interroga l’avvocato Francesco Miraglia, al quale la madre di Michele si è rivolta per ottenere giustizia per il proprio figlio. «Le indagini non sono state condotte in maniera approfondita eppure, guardando i referti, noi qualcosa che merita di essere approfondita l’abbiamo trovata, prima tra tutte la recente iscrizione di Michele ad un gioco su un canale social. Apparentemente innocuo, ma chi può dirlo se nessuno si è mai preso la briga di verificare? Sarebbe possibile che Michele sia stato vittima di una di quelle sfide mortali, purtroppo assai in voga tra i giovani, che circolano tramite social media. Se quella dell’asfissia fosse stata la prova di ingresso di un subdolo e violento gioco? Queste sono le domande che poniamo al Pubblico ministero richiedendo, su autorizzazione del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Taranto, l’integrazione delle indagini rivolte ad esaminare questi messaggi audio, i file, il gioco e i soggetti coinvolti».

Fermo restando che potrebbe trattarsi di omicidio: un nome spunta da più parti, per un debito che Michele avrebbe avuto con lui. È venuto il tempo di interrogare costui: Michele è morto a soli 18 anni, con tutta la vita davanti, e merita di avere giustizia

Mamma Veronese denuncia il cibo scaduto nella casa famiglia in cui vivono i suoi figli

Mamma Veronese denuncia il cibo scaduto nella casa di famiglia in cui vivono i suoi figli, dopo quasi un anno potrà riaverli con sé.
Verona (13 Agosto 2020). Aveva denunciato la presenza di cibo marcio e scaduto nella casa famiglia veronese in cui era alloggiata insieme ai suoi tre figli. E da allora i bambini sono stati allontanati da lei, quasi per ripicca o per vendetta, dai Servizi sociali di Verona e da nove mesi oramai vivono soli in comunità senza di lei. La donna non si era data per vinta e aveva combattuto per riaverli con sé e finalmente dopo mesi arriva una buona notizia: il Tribunale dei minorenni di Venezia ha concesso ai bambini di tornare a casa, anche se in maniera graduale.

Con la supervisione dei Servizi sociali, la piccina di due anni tornerà subito da mamma e papà, mentre i suoi fratellini più grandi torneranno dapprima per i fine settimana, poi, se le cose andranno bene, torneranno definitivamente a casa. Purtroppo i mesi in comunità, lontani dai genitori e dagli amici, hanno lasciato il segno: il bimbo più grande mostra un certo disagio psicologico, il fratello ha problemi di linguaggio, la piccolina necessita di sedute di psicomotricità.

«Perché infliggere tanta sofferenza a dei bambini, se poi lo stesso Tribunale dei minorenni ha ammesso che stanno meglio con i propri genitori e ha permesso il loro rientro a casa?» domanda l’avvocato Francesco Miraglia, legale dei genitori. «Questo è il classico caso in cui i genitori non devono essere giudicati dai Servizi sociali, bensì sostenuti e aiutati.

E lo dimostra questa famiglia: nel momento in cui i genitori sono stati sostenuti, e si sono sentiti supportati e non giudicati le cose sono migliorare, addirittura con il rientro dei bambini a casa.

Gli assistenti sociali che stanno seguendo la famiglia in questo momento hanno dimostrato la volontà di volerla aiutare veramente, mentre chi si occupava di loro prima, ha voluto punire la madre, allontanandole i bambini, solo per aver denunciato la presenza di cibo marcio e scaduto nella casa famiglia in cui alloggiavano. Felici ora di veder tornare questa famiglia alla normalità, ci si interroga, però, se quegli assistenti sociali, che hanno determinato l’allontanamento dei tre bambini, pagheranno mai per l’ingiustizia che hanno commesso e le sofferenze che hanno inflitto loro. Continueranno ad occuparsi di bambini e di casi così delicati o saranno magari trasferiti in un ufficio a timbrare documenti?».
La vicenda è seguita, in qualità di Consulente Tecnico Forense, anche dalla Prof.ssa Vincenza Palmieri, presidente dell’Istituto nazionale di pedagogia familiare, che ha dichiarato: « Le famiglie possono attraversare momenti difficili ma la soluzione non è mai la disgregazione, che produce, come ho dimostrato in tantissimi casi, danni a volte irreversibili, catastroficamente maggiori rispetto ai “rischi psicoevolutivi IPOTETICI” che si vorrebbero evitare. Servono invece: analisi oggettiva, difesa coraggiosa adeguata progettazione pedagogico-familiare personalizzata. I bambini e gli stessi genitori sono stati sottoposti ad uno stato di tortura continuata quando avrebbero potuto ricevere un vero sostegno genitoriale fatto di azioni e programma e non di “infiniti racconti”. L’idea corretta, per questa famiglia, avrebbe potuto essere “AIUTIAMOLI A CASA LORO”. Lo faremo, a partire da ora, nella ricomposizione  di questo bellissimo nucleo »

E chi ha sbagliato, è il caso che incominci a saldare i conti.

Il Tribunale di Monza ritiene una madre inadeguata solo perché suo padre anni addietro si è suicidato

L’avvocato Miraglia: «Pregiudizio di gravità inaudita. Intervenga il ministero»
MILANO (24 Luglio 2020). Da un anno una mamma lombarda non vede i suoi figli: la decisione, sofferta, l’ha assunta nel tentativo di ridare serenità ai suoi bambini, manipolati a tal punto dal padre, suo ex marito, che rifiutano di vederla, considerandola causa di tutti i loro guai. Ma dopo più di un anno i ragazzi non hanno mutato i loro sentimenti, perché il padre, lungi dal collaborare a far tornare la serenità, perdura nel dipingere la donna come potenzialmente pericolosa per i bambini. Il continuo stato d’ansia li ha molto provati: necessiterebbe quindi un intervento mirato ad allontanare i ragazzi da questa situazione per far ritrovare loro la serenità e per riavvicinarli progressivamente alla mamma. Ma una decisione così importante e urgente per il  loro benessere non viene assunta  dal competente  tribunale ordinario di Monza, che anzi li affida proprio al padre e si affretta a etichettare la madre come inadeguata solo ed esclusivamente sulla base del fatto che il padre della donna si è suicidato alcuni anni fa e che lei potrebbe pertanto comportarsi nel medesimo modo e commettere il medesimo insano gesto.
«Si tratta di un pregiudizio gravissimo» dichiara l’avvocato Francesco Miraglia, «non supportato e persino smentito dalle Consulenze techiche d’ufficio, che valutano la mia assistita come una persona equilibrata e amorevole. Più che adatta, quindi, a svolgere il suo ruolo di genitrice. Non si capisce quindi perché il tribunale, ignorando totalmente le Ctu elaborate dagli esperti da lui stesso incaricati, non decida di salvare questi bambini dalla pessima influenza paterna, affidandoli alla mamma o per lo meno collocandoli temporaneamente in una struttura eterofamiliare. finché non si ristabilisca un clima sereno».
Tanto per comprendere quali condizionamenti psicologici subiscano i due bambini da parte del padre, che costantemente dipinge la madre come persona potenzialmente pericolosa per la loro incolumità, basti sapere che  in un’occasione si presentò a casa della ex consorte a riprendere i figli scortato da una guardia armata di pistola.
«Riterremo responsabile chi ha assunto questa decisione per quanto potrà capitare a questi due bambini» prosegue l’avvocato Miraglia «e mentre da parte nostra abbiamo presentato ricorso alla Corte d’Appello e depositato degli esposti in Procura, chiediamo un intervento urgente da parte degli ispettori del ministero: non si amministra la giustizia sulla base di immotivati, ingiustificati pregiudizi».

Palermo come Bibbiano? Bimbo di tre anni dichiarato adottabile invece di essere affidato ai nonni

La sentenza basata su pregiudizi culturali.
PALERMO (3 luglio 2020). Anche i nonni paterni e i genitori si sono uniti nella richiesta di appello presentata dai nonni materni, rappresentati dall’avvocato Francesco Miraglia, contro la sentenza emanata dal Tribunale dei minorenni di Palermo, che ha dichiarato adottabile un bambino di tre anni: il bimbo è stato allontanandolo dai genitori, ma anche dai nonni, che sarebbero invece perfettamente in grado di crescerlo amorevolmente.
Ai nonni materni, stimati professionisti, il Tribunale non ha voluto affidare il bambino perché avendo “fallito” come genitori adottivi, non sarebbero in grado di crescere il bambino. «La madre del bambino è stata adottata dalla coppia di medici palermitani quando aveva già 13 anni e proveniva da un paese dell’est europeo» racconta l’avvocato Miraglia. «Alla coppia erano stati taciuti i gravi traumi che la ragazzina aveva subito e a nulla sono valsi i loro sforzi, le visite, i ricoveri per ridarle equilibrio e serenità».
Invece i nonni paterni, in quanto stranieri e troppo “pregni della loro cultura” (come si legge nella relazione del consultorio territoriale) non sarebbero adatti a entrare in sintonia con lui. «Il Tribunale ha mancato di riconoscere il pregiudizio latente in questa relazione» dichiara l’avvocato Giuseppina Cicero, legale della madre, «così come pure nell’aver per lungo tempo ignorato la richiesta di nomina di un mediatore culturale, avanzata dal padre del bambino». Quando poi finalmente è stata assegnata una traduttrice, questa proveniva da un altro Paese rispetto al padre del bambino e per di più ha collaborato assai poco proficuamente. E questo ha pregiudicato la comprensione approfondita di tutti i risvolti della questione da parte dei nonni paterni. Per quanto riguarda i nonni materni, la consulenza tecnica d’ufficio richiesta dal tribunale aveva definito il contesto socio culturale del ramo materno come una buona risorsa per il minore. Tuttavia il Tribunale ha emesso alla fine dello scorso anno sentenza di adottabilità, pur essendo l’istruttoria basata su elementi scarsi e non fondati su solide indagini. È chiaro invece che questo bambino sia circondato da tanto affetto da entrambi i rami parentali, in grado pertanto di crescerlo adeguatamente.
Le due famiglie si sono quindi riunite nel presentare appello, per ottenere la revoca dello stato di adottabilità, chiedendo nel frattempo di far ricominciare gli incontri tra il piccolo e i suoi famigliari.
«Ma dove sia il bambino non lo sa nessuno» aggiunge l’avvocato Francesco Miraglia, «non sappiamo dove sia né come stia. Se dovesse capitargli qualcosa di grave e di irreparabile, non sappiamo nemmeno se lo direbbero ai genitori e ai nonni. A chi ha messo al mondo questo bambino non è dato nemmeno sapere se sia vivo o morto! Insisterò finché avrò fiato nel chiedere una revisione del funzionamento dei Tribunali dei minorenni italiani, che troppo spesso basano le proprie sentenze su istruttorie lacunose e relazioni di psicologi, servizi sociali o i consultori che, come in questo caso, sono evidentemente viziate da pregiudizi culturali». Sarebbe opportuno che non si parlasse di discriminazione o razzismo solo per qualche intervista in più o qualche comparsata in più qua e là.
E’ incredibile che nei nostri tribunali le capacità genitoriali vengano valutati attraverso la cultura di provenienza o attraverso lo stigmata: se eventualmente hai sbagliato con il figlio non ti puoi occupare di tuo nipote.
E’ inaccettabile una giustizia basata sul pregiudizio.

Bimbo di Monza reso disabile per incuria: il Tribunale non ricusa il Giudice

 Avvocato Miraglia: «Il bimbo rischia di tessere abbandonato a stesso: intervenga il Governo al più presto»
 
MONZA (9  Giugno 2020). Il Tribunale di Monza non ha ricusato il giudice incaricato della vicenda del piccolo di cinque anni di Monza, in coma, semiparalizzato e ipovedente a causa di un’infezione non curata.
Il Tribunale non ravvisa manchevolezze nell’operato del magistrato, che in realtà, disinteressandosi palesemente delle sorti del piccolo, mai ha ascoltato le richieste presentate dalla madre, che, prove alla mano, aveva più volte chiesto un intervento, visto il profondo stato di incuria in cui il figlioletto versava da quando il giudice glielo aveva tolto per affidarlo esclusivamente al padre. Il giudice non ha assunto alcun tipo di decisione e purtroppo il bambino adesso giace immobile in un letto, privato dall’uso delle gambe e anche della vista.
«Avevamo richiesto la ricusazione del giudice del Tribunale ordinario di Monza» dichiara l’avvocato Francesco Miraglia, legale della mamma del bimbo, «ma il fatto che sia stata respinta la nostra domanda e che il giudice sia ancora come relatore del caso, non significa che abbia fatto un buon lavoro. Eravamo consci che giuridicamente mancavano i presupposti per il suo allontanamento dal caso, ma speravamo che prevalessero il senso di giustizia e l’etica morale. Ma visto cosa sta succedendo nella magistratura, non ci aspettavamo certo che dei giudici prendessero posizione contro un collega. Nella sostanza le cose però non cambiano: non ci fidiamo più di questo giudice, la madre stessa non ha più fiducia nell’operato di questo magistrato, qualunque decisione assumerà in futuro».
Purtroppo però esiste il grave rischio che il bambino venga riaffidato al padre, dal momento che nessun magistrato ha disposto diversamente, finora, nonostante la gravissima condizione in cui si trova. A causa di un’infezione che il padre non aveva curato, a febbraio era stato ricoverato all’ospedale di Bergamo con una Encefalomielite acuta: dopo settimane di coma, il bimbo si è svegliato paralizzato e ipovedente. Adesso è stato trasferito in un centro di riabilitazione di Lecco, dove la madre lo accudisce quotidianamente, con grandi sacrifici perché non è vicino a casa sua, preoccupata dalle sue condizioni: nessuno, al momento, può dire quante funzionalità potrà recuperare il suo bambino, che fino a quattro mesi fa correva, saltava e giocava spensierato.  
«Sarebbe il momento che qualcuno intervenisse seriamente» prosegue l’avvocato Miraglia, «che gli ispettori andassero a vedere come funziona il Tribunale di Monza, che la ministra per la famiglia Elena Bonetti e il ministro per la Giustizia Alfonso Bonafede intervenissero ad occuparsi di questo caso, di questo bambino, già trascurato anche troppo. Dove sono la specchiata onorabilità e l’etica morale che dovrebbe caratterizzare l’operato di un magistrato? Dov’è l’interesse primo verso i bambini che dovrebbe perseguire il tribunale dei minorenni? Dove sono il senso di giustizia e il buon senso che dovevano prevalere nel trattare il caso di questo bambino? Il giudice non si dovrebbe certo dichiarare colpevole, ma dal punto di vista etico e morale ci permettiamo di sollevare più di qualche dubbio sul suo operare: non si può trattare un bambino come un numero di pratica, non stiamo parlando di quote societarie da suddividere. Qui parliamo di un bambino di cinque anni, che ha potenzialmente altri ottant’anni di vita davanti a sé e chissà in quali condizioni. Il giudice ha dimostrato superficialità, non si è mai preoccupato seriamente di questo caso, non ha nemmeno fissato un’udienza per valutare il caso: semplicemente si è dimostrato indifferente alle sorti di questo bambino, che merita invece, giustizia».
 

A causa del coronavirus, negati i diritti umani e fondamentali a centinaia di genitori e figli.

Qualcosa si muove….
……….che in questa ottica il divieto di assembramento non può ritenersi violato dalla presenza in spazi all’aperto di persone ospitate nella medesima struttura di accoglienza ( ad esempio, case famiglia) in tele strutture peraltro, chiunque acceda dall’esterno ( operatori , fornitori, familiari ecc) sarà, comunque tenuto al rispetto di divieto di assembramento dalla distanza interpersonale di un metro e dall’utilizzo occorrenti  presidi sanitari ( mascherine, guanti)

 

Perugia: assistente sociale denunciata per lesioni da una madre

Aveva chiesto che il padre fosse più presente con la figlia: l’hanno tolta a lei per affidarla totalmente a lui, con danni psicologici evidenti per la povera bambina
PERUGIA (18 Marzo 2020). Una relazione che finisce, un rapporto che si interrompe e gli inevitabili conflittualità tra genitori per la gestione della bambina: ma mai una donna si sarebbe aspettata di venire etichettata come pazza e di vedersi togliere completamente la figlia, affidata ora al padre. La bambina risente dello stress e della lontananza dalla mamma, ma l’assistente sociale la dipinge come allegra e felice e, in barba al codice deontologico, descrive il padre come l’unica persona adatta ad occuparsi della piccola. Dallo scorso maggio a questa donna non è consentito avvicinarsi alla figlia, né avere notizie di lei, perché, tornata al suo Comune d’origine con l’assenso iniziale dell’assistente sociale, questa, cambiando le carte in tavola, l’ha denunciata alla Procura minorile, asserendo che il suo allontanamento avrebbe pregiudicato le viste al padre.
La donna ha quindi denunciato l’assistente sociale di Todi per lesioni personali, abuso d’ufficio e falso ideologico commesso da pubblico ufficiale.
«La settimana scorsa abbiamo incontrato l’assistente sociale perché chiarisse la propria decisione» dichiara l’avvocato Francesco Miraglia, legale della donna, «ma non è stata nemmeno in grado di motivare le sue scelte. La sua relazione, che ha stravolto la vita della mia assistita e soprattutto della bambina, è totalmente falsa e chissà su quali basi l’ha fondata, se non è stata nemmeno in grado di motivarcela».
La mamma della bambina era già stata sottoposta a due perizie, che l’avevano entrambe reputata idonea, affettuosa, competente come mamma. La figlia era serena, affettuosa, autonoma, anche per le insegnanti della scuola che allora frequentava. L’ unica cosa emersa, entrambe le volte, era l’intensa conflittualità tra i genitori, che faticavano a trovare punti di convergenza relativamente alla gestione ordinaria e straordinaria della figlia. «Non si comprende allora il motivo per il quale l’assistente sociale incaricata, anziché lavorare in modo da tutelare la minore dalla conflittualità genitoriale, pare quasi abbia alimentato le contese tra padre e madre, esprimendo opinioni personali, orientate a sostenere maggiormente la paternità piuttosto che entrambe le genitorialità, sbilanciandosi a esprimere un giudizio personale nell’indicare il padre come “il genitore più funzionante, che sta facendo un grosso sforzo per garantire alla bambina un adeguato equilibrio”. Peccato che non collimi con la valutazione psicologica redatta dal Servizio Riabilitazione Età Evolutiva e Psicologia Clinica della Usl Umbria 1 di Marsciano, che descrive nella bimba bassa autostima ed alti livelli di ansia e difficoltà nelle relazioni sociali».
Da qui la decisione di denunciare l’assistente sociale alla Procura delle Repubblica di Perugia: nel frattempo l’avvocato Miraglia ha presentato ricorso per la reintegra della responsabilità genitoriale a questa mamma.

Coppia finita tra le maglie del sistema "Bibbiano"

Il giudice ha ravvisato la necessità di una valutazione attenta dei genitori e del contesto familiare, mettendo quindi in discussione la relazione degli assistenti sociali, arrestati nell’operazione “Angeli e demoni”

Avvocato Miraglia: «Si apre la speranza per tutti gli altri casi riconducibili alla medesima inchiesta di Bibbiano»
BIBBIANO (14 Marzo 2020). Vittime del presunto “sistema Bibbiano”, una coppia di giovani genitori sta lottando per riavere con sé la propria bambina: era stata loro strappata e dichiarata adottabile sulla base dalla relazione presentata dall’assistente sociale Francesco Monopoli e dalla dirigente dei Servizi sociali dell’Unione val d’Enza, Federica Anghinolfi, agli arresti domiciliari perché coinvolti e ritenuti, anzi, figure chiave nell’inchiesta denominata “Angeli e Demoni” avviata dalla procura della Repubblica al Tribunale di Reggio Emilia sui presunti affidi illeciti. La coppia si era rivolta all’avvocato Francesco Miraglia, che aveva presentato istanza alla Corte d’Appello di Bologna.
«La Corte ha accolto le nostre istanze» dichiara l’avvocato Miraglia, «ordinando una Consulenza tecnica d’Ufficio che valuti la coppia, le personalità e capacità genitoriali di entrambi e se il contesto familiare sia potenzialmente idoneo ad accogliere la bambina».
La giovane coppia aveva avuto in passato problemi di tossicodipendenza, ma al momento della nascita della loro figlioletta, nel 2016, aveva cambiato vita: la mamma aveva seguito un percorso psicologico e sociale, il padre, totalmente disintossicato da anni, lavora stabilmente. Attorno alla coppia c’è una solida rete familiare: invece la piccola è stata loro strappata e dichiarata adottabile. All’udienza lo scorso 27 febbraio l’avvocato che rappresentava il tutore, e quindi il Comune di Bibbiano, ha rivelato come la decisione sia stata motivata dal fatto che la bimba fosse nata con dei seri problemi di salute, che i genitori non sarebbero stati in grado di affrontare.
«Questo significa che a tutte le coppie cui nasce un figlio con dei problemi di salute, debba venire loro tolto?» prosegue l’avvocato Miraglia. «Ma che nuovo principio si vuole affermare? Finalmente, invece, questa decisione della Corte d’Appello apre uno spiraglio di luce e riaccende la speranza per le tante famiglie incappate in questi Servizi sociali. Non so se esiste un “sistema Bibbiano”, però sicuramente questo è un caso che rappresenta bene il disegno criminale che è stato posto all’attenzione della Procura di Reggio Emilia».
 

Bimbo seguito dai servizi sociali giace in coma e semiparalizzato per incuria

Un’infezione non curata dal padre, cui era affidato, l’ha portato quasi allo stato vegetativo
L’avvocato Miraglia: «Tutti sapevano, giudice in primis, che veniva trascurato, ma nessuno ha mosso un dito»

MONZA (12 Febbraio 2020). Si trova in coma, all’ospedale di Bergamo, il corpo semiparalizzato, nessuna capacità di esprimersi se non con dei versi. I medici non sanno nemmeno se riprenderà mai a parlare e a camminare e se riporterà danni neurologici permanenti. Ha solo quattro anni, il giudice lo ha tolto alla madre perché “lo curava troppo”, affidandolo a un padre che non se ne è mai occupato. Lo ha lasciato sporco e malnutrito per mesi e nei giorni scorsi, pur avendo il piccolo 40 di febbre e la madre, disperata, lo scongiurasse di portarlo dal medico, non se ne è curato affatto. Il bambino è ricoverato adesso in condizioni disperate. «Quanto ha sofferto questo povero bambino?» sottolinea l’avvocato Francesco Miraglia, che difende la mamma «e quanto forse soffrirà ancora, prima che qualcuno finalmente intervenga? Era da mesi che segnalavamo lo stato di pericolo in cui si trovava. Da mesi la nostra consulente di parte, la dottoressa Vincenza Palmieri, sosteneva che il bambino corresse dei rischi per il suo sviluppo e la sua salute, a causa dell’incuria e della decisione assurda, assunta dal giudice, di allontanarlo dalla mamma per affidarlo al padre che vive in un paesino di montagna del Bergamasco, abitato da nemmeno 300 anime, tre bambini appena, la scuola più vicina a venti chilometri». Tanto si è disinteressato il padre di lui che non vivrebbero nemmeno insieme, ma lo avrebbe affidato alla sorella. L’ultima richiesta di intervento da parte della mamma risale a pochi giorni fa, dopo che il tribunale di Monza aveva lasciata inascoltata l’istanza urgente presentata ad ottobre. Con numerose prove fotografiche era stato chiesto nuovamente al giudice di riaffidare il bimbo alla madre: il piccolo versava in uno stato di incuria e malnutrizione da fare pena al cuore. Da quanto era sporco aveva le croste sul collo e aveva sviluppato delle infezioni da funghi alle mani e ai piedini; un vistoso eritema ai glutei era dovuto invece all’assenza di igiene e di pulizia della biancheria che indossava. Il bambino continuava, poi, a perdere peso per la malnutrizione. Qualche giorno fa la mamma si era accorta che aveva la febbre a 40 e aveva chiesto al padre – unico deputato dal tribunale ad occuparsi della salute del bambino – di portarlo dal medico, ma lui non le aveva nemmeno risposto. Adesso un innocente bambino di quattro anni giace in un letto d’ospedale privo della capacità di parlare e di muoversi, con una possibile lesione al cervello che potrebbe lasciargli pesanti strascichi permanenti. «Il giudice sapeva e lo riteniamo responsabile» prosegue l’avvocato Miraglia. «Sapeva dell’incuria, della malnutrizione, della sporcizia, di quelli che sono dei veri e propri maltrattamenti. Sapeva tutto e non ha mosso un dito per questo bambino.  La consulente del tribunale che aveva relazionato sul cambio di collocamento del bambino è molto vicina ad una associazione onlus che addirittura viene presentata come ausiliaria del Giudice. Abbiamo già denunciato la consulente tecnica del tribunale, ma è evidente che i rapporti tra queste figure debbano essere indagati con urgenza, per il bene dei bambini che, è sotto gli occhi di tutti con questa tristissima vicenda, non è certamente la priorità per la quale tutti costoro operano».
A questo punto occorre che chi di dovere intervenga a fare chiarezza su quanto succede nel Tribunale di Monza.

Rende invalida la compagna a suon di botte

Il Tribunale affida a lui il bambino.
 
LECCE (18 Dicembre 2019). Ha passato gli anni della convivenza tra continue botte e vessazioni da parte del compagno “padrone”, che infieriva su di lei anche in presenza del loro figlioletto. Anzi, in un’occasione ha rotto pure il naso al bambino, trovatosi accidentalmente in mezzo alla furia cieca del padre nel corso di una delle sue sfuriate. Dopo la separazione l’uomo ha dato una spinta talmente violenta alla donna, che cadendo si è procurata lesioni tali a una gamba da essere giudicata invalida al 55 percento. Ma il Tribunale dei Minorenni di Lecce cosa fa? Pur in presenza di una situazione simile, di ben tre pendenze sull’uomo per violenza domestica e stalking, pur essendo il bambino palesemente terrorizzato alla sola vista del padre, ebbene ha deciso che prioritario fosse recuperare il rapporto padre-figlio, inserendoli entrambi dentro una comunità. Padre e figlio insieme per ritrovare l’armonia. «Come abbia potuto pensare, il Tribunale, che questo bambino, strappato di punto in bianco dalla sua mamma, dalla sua casa e dalle proprie cose, potesse trovare serenità dentro una comunità di estranei, lo sa solo lui» dichiara l’avvocato Francesco Miraglia, cui la donna si è rivolta per ottenere giustizia. «Io di certo non riesco a capire quale motivazione ci possa essere per giustificare l’assunzione di un simile, ingiusto e ingiustificato provvedimento, tutto a danno del bambino, il quale da quando a giugno è stato portato in comunità, non fa che peggiorare le sue condizioni fisiche e psicologiche. Vive tutto come una punizione ingiustificata. E la madre, vittima delle violenze di quest’uomo, è considerata dal tribunale come il vero “orco”, mamma cattiva che impedirebbe che il rapporto tra padre e figlio sia sereno». La cosa più grave all’udienza di ieri è che il Presidente del tribunale ha addirittura “giustificato” le violenze: “E’ vero che ci sono i procedimenti penali a carico del papà, ma è pur vero che non ci sono condanne”. E ancora più incredibile è stata l’affermazione dello stesso Presidente che ha sostenuto che la frattura al setto nasale del bambino non è colpa del padre ma solo un evento accidentale, se pur in quell’occasione lo stesso bambino aveva cercato di difendere la mamma mentre la stessa veniva aggredita.
Le stesse relazioni dei periti del tribunale  affermano invece che la donna, oltre ad essere madre amorevole, mai si è frapposta tra l’ex compagno e il loro figlioletto. Mai. E’ un’educatrice e conosce bene l’importanza della relazione tra un bambino e il proprio genitore. «Eppure eccola qui» prosegue l’avvocato Miraglia, «privata del suo bambino, costretta a vederlo solo nel corso di incontri protetti, parte lesa in una vicenda nella quale, inspiegabilmente, è l’ex compagno ad uscirne sempre positivamente. Tra l’altro se il Tribunale dei Minorenni ha assunto l’assurdo provvedimento di esiliare questo bimbo in una comunità con il padre, pure il Tribunale penale ci ha messo del suo: a suon di rinvii ci stiamo pericolosamente avvicinando a giugno, termine oltre il quale i reati ascritti all’uomo cadranno in prescrizione. Ci appelliamo al senso di giustizia dei giudici, che assumendo provvedimenti così iniqui hanno danneggiato soltanto il bambino, violando, di fatto, almeno tre convenzioni internazionali: quella di Istanbul, che prevede come in caso di violenza, la tutela dei bambini venga prima dei diritti di custodia e di visita dei genitori; quella di Strasburgo, che tutela i diritti dei bambini; e quella di New York, che prevede come il minore, su questioni che lo riguardano, abbia il diritto di essere ascoltato e di vedere tutelata la propria volontà.