miraglia Tag

  • Sort Blog:
  • All
  • Articoli Recenti
  • Comunicati stampa
  • Design
  • Evidenza
  • GALLERIA
  • In Evidenza
  • L'inchiesta
  • L'indiscreto
  • La giustizia e la mala giustizia
  • La Vetrina
  • Le vostre storie
  • Minori
  • Modern
  • Primo Piano
  • Principale home
  • Psichiatria
  • Scelta di campo
  • Sentenze
  • Senza categoria

Inchiesta “Angeli e demoni”: bisogna verificare i casi giacenti in Corte d’Appello. Avvocato Miraglia: «L’inchiesta non può limitarsi ai fascicoli giacenti al Tribunale dei Minorenni di Bologna»

BIBBIANO (30 Ottobre 2019). In queste ore si sta cercando di minimizzare l’inchiesta “Angeli e demoni” sugli affidamenti di minori nella zona di Bibbiano in Val d’Enza (Reggio Emilia): su 100 segnalazioni dei Servizi sociali al Tribunale per i Minorenni negli ultimi due anni, in 85 casi il tribunale aveva stabilito di lasciare i bambini in famiglia e solo in 15 casi i giudici avevano deciso per l’allontanamento. Di questi, solo in sette casi i genitori hanno presentato ricorso contro le sentenze di allontanamento, tutti successivamente respinti dalla sezione minori della Corte d’Appello.
«E chi ha accertato questi dati?» dichiara l’avvocato Francesco Miraglia, che segue molti casi di allontanamento in Val d’Enza. «Ma soprattutto dalla verifica mancano tutti i casi, compresi molti di quelli che sto seguendo personalmente, che non giacciono al Tribunale dei Minorenni di Bologna, ma che sono già stati trasmessi alla Corte d’Appello. Casi che si riconducono al medesimo “sistema Bibbiano”, che devono essere presi in esame proprio come gli altri. Invito pertanto la Corte d’Appello di Bologna a prenderli tutti in esame e a fare chiarezza anche su di loro».
Tra questi c’è il caso di una giovane coppia che, in effetti, aveva avuto in passato problemi di tossicodipendenza, ma al momento della nascita della loro figlioletta nel 2016 avevano svoltato vita: la mamma ha seguito un percorso, anche psicologico e insieme ai Servizi sociali, mentre il padre si è totalmente disintossicato da anni e ha trovato adesso un lavoro stabile. Attorno alla coppia c’è tutta una rete familiare disposta ad aiutare la coppia e la loro figlioletta. Invece la piccola è stata loro strappata e dichiarata adottabile. «Il collocamento extrafamiliare del minore» prosegue l’avvocato Miraglia, «deve essere inteso quale extrema ratio qualora si trovi in stato di assoluta carenza di assistenza morale e materiale e di indisponibilità di parenti fino al quarto grado. Non è il caso dei miei assistiti, che oltre ad aver ripreso in mano la loro vita, hanno una rete parentale solida e unita. Ma i miglioramenti e l’impegno della madre non sono stati minimamente presi in considerazione dal Servizio sociale, che ha definito i genitori del tutto incapaci di svolgere il proprio ruolo. E guarda caso ad occuparsi di questa bambina sono stati l’assistente sociale Francesco Monopoli e la dottoressa Federica Anghinolfi, agli arresti domiciliari perché coinvolti nell’inchiesta denominata “Angeli e Demoni” dalla procura della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Emilia, e definiti i veri e propri “deus ex machina” delle modalità di verifica di presunti abusi pregiudizi sui minori, con l’unico scopo di allontanarli dalla famiglia di origine. Ecco perché abbiamo presentato istanza alla Corte d’Appello di Bologna per anticipare l’udienza e riprendere i contatti tra la bambina e genitori e perché chiediamo alla medesima Corte di prendere in esami tutti i casi in giacenza».

 

 

 

Brescia: la piccola Angela può rimanere con la mamma

La bimba era stata affidata al padre  in nome della presunta Sindrome da alienazione genitoriale. Avvocato Miraglia: “Sentenza che farà giurisprudenza”
BRESCIA (5 Ottobre 2019). Per lei si erano mossi comitati e pagine social, il suo caso la scorsa primavera aveva fatto scalpore e indignato tutta Italia: la piccola Angela, una ragazzina bresciana di dieci anni, in seguito alla separazione conflittuale tra i genitori era stata allontanata dalla mamma e affidata a un padre, la cui condotta aveva non pochi lati oscuri, in nome di una presunta sindrome non acclarata dalla comunità scientifica, la controversa PAS (Sindrome da Alienazione Parentale), secondo la quale uno dei genitori compromette il rapporto dei figli con l’altro, parlandone male, tracciandone un pessimo ritratto. Sulla base di questa presunta sindrome questa bambina è stata costretta a soffrire per la mancanza della mamma e per la costrizione a frequentare un padre che proprio non voleva vedere. Il tribunale di Brescia non si era limitato soltanto ad etichettare la madre come “alienante” della figura paterna, ma aveva vietato persino che mamma e figlia si parlassero e abbracciassero, sebbene si vedessero tutti i giorni all’interno della scuola che entrambe, per studio e per lavoro, frequentano. E tutto questo nonostante i Servizi sociali fossero concordi nel ritenere la signora una mamma attenta e amorevole: il tribunale di Brescia, però, aveva dato credito a un perito di dubbie capacità, già vent’anni fa oggetto di un’interpellanza al Senato per il suo operato alquanto dubbio. «Una sentenza se non storica, per lo meno importante quella assunta dalla Corte di Appello di Brescia, perché mette da parte sindromi e presunte malattie, ponendo al centro esclusivamente il benessere del minore» dichiara l’avvocato Miraglia, che aveva messo in luce questo controverso caso. La Corte infatti sentenziando il ritorno della piccola Angela con la madre ha enunciato che «per la minore parlano le relazioni dei Servizi sociali, che danno prova di una vera sofferenza della stessa, che va indagata e non classificata»: per la prima volta, quindi, viene tenuta in considerazione la sofferenza dei bambini nell’essere strappati di punto in bianco dai loro genitori. «La Corte d’Appello ha avallato principi fondamentali che potranno essere tenuti in considerazione per future sentenze» prosegue l’avvocato Miraglia. «Siamo pertanto molto soddisfatti e invitiamo i tribunali a guardarsi bene da consulenti che pur di sostenere un’associazione o una teoria, causano soltanto danni ai bambini. I bimbi vanno invece aiutati! Questa sentenza non favorisce un genitore a discapito dell’altro, ma pone al centro della decisione esclusivamente il benessere del minore. Il punto focale della decisione è, come deve essere, solamente il bambino».

Due genitori chiedono aiuto al servizio. Il servizio sociale di Modena la trattiene e non vuole restituirla alla famiglia

MODENA (18 Settembre 2019). Di chi è la colpa? A chi dobbiamo rivolgerci per capire chi ha sbagliato in questa storia? Possibile che per evitare l’espatrio momentaneo di una bimba, figlia di genitori separati, questa venga affidata a una coppia di estranei e il Servizio sociale, dopo quasi un anno, non la faccia rientrare a casa propria? «Ma adesso i Servizi sociali si mettono a portare via i bambini?» tuona l’avvocato Francesco Miraglia. «E per cosa, poi? Per affidarli ad assistenti sociali amici della referente che segue il suo caso? Fosse davvero cosi, come ci hanno riferito, sarebbe un fatto gravissimo».
La piccola ha sette anni ed è nata dalla relazione, poi naufragata, tra un uomo italiano e una donna straniera. I genitori dapprima vivono una separazione alquanto travagliata e conflittuale, per poi riappacificarsi per la tutela della bambina. Nel frattempo, però, la donna manifesta la necessità di tornare al Paese natale per accudire la madre malata: decisione cui il padre della piccola si oppone, temendo la scomparsa della figlioletta. Vengono coinvolti i Servizi sociali di Modena, i quali si rendono disponibili a collocare la bambina, per dieci giorni, ad una coppia.
La madre poco tempo dopo ritorna e i genitori richiedono all’assistente sociale di riavere la figlia con sé, ma, incredibilmente, il servizio sociale risponde ai genitori che oramai la bambina si è ambientata in questa nuova famiglia e che è meglio che rimanga lì.
Ancora più incredibile è quanto risponde il servizio sociale all’Avvocato Miraglia, il quale richiedeva, a fine agosto/inizi settembre, le motivazioni specifiche per cui la bambina veniva trattenuta e soprattutto quale fosse il provvedimento dell’Autorità giudiziaria che disponeva il collocamento della minore in questa famiglia affidataria.
A tal proposito, soprattutto il papà della bambina, attende di sapere se corrisponde al vero che gli affidatari, a diverso titolo, siano dipendenti dello stesso servizio sociale.
Senza dubbio, se fosse vero, per l’ennesima volta non si può che denunciare il mercato sulla pelle dei bambini.
In data 9 settembre il servizio sociale di Modena, tuttavia, oltre a sostenere che oramai la bambina aveva dei punti di riferimento nei genitori affidatari, aveva fatto richiesta al Tribunale per i minorenni di valutare le capacità genitoriali.
Prosegue l’avvocato Miraglia. «Le motivazioni? Non le comprendiamo e non le comprende nemmeno il Tribunale stesso, a dire il vero, visto che per avere il quadro della situazione più chiaro servirebbe una consulenza tecnica. Il Servizio si sarebbe rifatto al decreto del giugno 2018 che prevedeva l’eventualità di un affidamento etero familiare qualora ce ne fosse stata la necessità e non certo perché a dicembre del 2018 i genitori, temporaneamente per 10 giorni, chiedevano la disponibilità del servizio. Ma fino ad ora questa bambina dov’è rimasta? Con una coppia che, a quanto ci avrebbero riferito, sarebbe composta da due operatori sociali, colleghi dell’assistente sociale che si occupa del suo caso. Sarà vero? Magari lo sapessimo: le mie lettere indirizzate ai Servizi sociali di Modena non hanno avuto, finora, la benché minima risposta. Ma dico io: si tratta così una bambina? La si strappa da casa e non la si fa rientrare più senza motivo? Ma si rapiscono così i bambini da casa propria? Chiedo al Presidente del tribunale di intervenire direttamente, viste le controverse disposizioni emanate dai giudici del suo tribunale».

"Invece di parlare, uscite a controllare le vostre comunità"

Dura replica dell’avvocato Miraglia agli amministratori del Comune di Verona
VERONA (20 Agosto 2019). «Ma l’assessore Stefano Bertacco ci fa o ci è?». Non gliele manda a dire stavolta l’avvocato Francesco Miraglia, che dal Comune di Verona si è sentito replicare che sta sollevando i casi di mala gestione degli affidi e delle comunità di accoglienza solo per farsi pubblicità, strumentalizzando a suo vantaggio difficili situazioni dei minori. «A  parte che sono anni che scendo in campo in prima persona proprio sollevando i casi ambigui o clamorosamente finti di affidi facili e adozioni mascherate, sempre e solo per il benessere dei bambini, oltre che per tutelare i loro genitori» prosegue l’avvocato Miraglia.  «Di certo non ho bisogno di pubblicità ed eticamente mai lo farei sulla pelle dei bambini. Detto questo, come si fa a scaricare sul Banco alimentare  la responsabilità del cibo avariato nella comunità “Mamma Bambino” a Verona, asserendo  poi che il cibo si possa tranquillamente consumare dopo 40 giorni dalla data di scadenza? Mi pare  che dal febbraio 2019 (data di scadenza di una confezione di sugo di pomodoro) siano ben passati questi 40 giorni! E come mai, se va tutto bene, ieri si sono presentati quattro ispettori a prelevare uno scatolone e mezzo di merce scaduta? Pare ci fosse anche la Guardia di Finanza fino a metà pomeriggio. E alla consigliera Maria Fiore Adami, che mi accusa di “uscire dal buio per un minuto di gloria” vorrei dire di uscire lei ogni tanto da Palazzo Barbieri e di andare a controllare le comunità dove il Comune di Verona spedisce i cittadini, visto che il cibo scade nelle dispense  e che lei immagino manco sappia dove sono parcheggiate le persone, come la madre di 4 figli alloggiata  a Marghera da mesi, ancora in attesa di provvedimenti, di aiuto concreto e di un percorso di reinserimento. Ma lo sa la consigliera Adami, che presiede la Commissione delle Politiche sociali, che questa donna e i suoi figli sono stati praticamente dimenticati e costretti a vivere tutti in una stanza, lontani da casa propria? Ecco, invece di attaccare chi fa emergere la verità, si adoperi per controllare le strutture e risolvere  i casi di competenza della commissione che lei presiede».

Spunta un altro caso a Bibbiano riconducibile all’inchiesta Angeli e Demoni

»
Bimba sottratta ai genitori, nessuno sa dove sia,  Ad occuparsi del suo caso è stata l’assistente sociale che ha ammesso: “Falsificavo le relazioni”

REGGIO EMILIA (30 Luglio 2019).  Emerge un nuovo caso nell’orrore del sistema in atto da anni al Servizio sociale Val d’Enza del Comune di Bibbiano, scoperchiato dall’inchiesta giudiziaria “Angeli e demoni”. Una famiglia sta vivendo un incubo: dopo anni di relazioni positive, improvvisamente queste cambiano, diventano pesantissime, accusano il padre di abusi.  La bimba sparisce chissà dove. «Ad occuparsi del suo caso è stata, guarda caso, l’assistente sociale indagata nell’inchiesta “Angeli e demoni”» rivela l’avvocato Francesco Miraglia, «la stessa che davanti al giudice per le indagini preliminari ha ammesso che avrebbe falsificato le relazioni, sottoposta a forte pressione da parte dei suoi superiori. Perché non dovrebbe essere così anche per la famiglia che assisto, vista l’incomprensibile assurdità della vicenda?».
In provincia di Reggio Emilia una coppia ha una bimba, il padre lavora, la madre però è fragile e non sa occuparsi con maturità della piccola. Pertanto la bimba vive dapprima in comunità con la mamma, poi viene affidata agli zii e continua a vedere i genitori, che nel frattempo seguono un ottimo percorso di sostegno, tanto che la psicologa e l’assistente sociale che li supportano da anni, restituiscono loro la figlia. Inspiegabilmente, dopo un paio di anni, però, la stessa assistente sociale denuncia al Tribunale dei minorenni che la bambina avrebbe riferito che il padre l’avrebbe toccata. Senza prove, senza riscontri portano via la piccola da casa. Non l’hanno nemmeno riaffidata, come in precedenza, agli zii. Portata via e sistemata in un luogo sconosciuto. Sono anni che la sua famiglia non ha più notizie di lei. «E’ chiaro che anche questo caso sia stato montato ad arte per gli scopi di cui sono indagati vari professionisti nella recente inchiesta, tra cui proprio l’assistente sociale» prosegue l’avvocato Miraglia. «Chiediamo pertanto che la ragazzina torni a casa e, nel frattempo, abbiamo sporto denuncia contro la psicologa e la suddetta assistente sociale, per abuso d’ufficio, falso ideologico, maltrattamento, lesioni personali e, il più grave di tutti, la sottrazione di persona incapace».

Verona: il piccolo Marco torna a casa

Rientrerà in seno all’affettuosa famiglia affidataria da cui i Servizi sociali lo avevano tolto per darlo in adozione ad estranei. Per lui si era mossa un’intera città
VERONA (26 Luglio 2019). Vittoria su tutta la linea: il piccolo Marco, il bimbo veronese di 3 anni, può tornare finalmente nella casa dei genitori affidatari, da cui un’assistente sociale lo aveva strappato il 13 dicembre scorso. La Corte d’Appello di Venezia ha accolto il ricorso presentato dall’avvocato Francesco Miraglia, cui i nonni materni si erano rivolti. Revocata la sua adottabilità, i giudici hanno stabilito che torni di nuovo in seno alla famiglia che per lui (tolto fin da subito alla madre tossicodipendente) era stata l’unica che aveva conosciuto. Famiglia amorevole, disposta anche ad adottarlo, che aveva instaurato un ottimo e sano rapporto con i nonni materni. Ecco, a questo proposito, i giudici hanno anche reintegrato la nonna nelle sue capacità genitoriali, che erano state messe in dubbio dall’assistente sociale in quanto non aveva avuto un polso fermo e autorevole tale da impedire che la figlia (la madre del piccolo Marco) prendesse una brutta strada.
Nonostante Marco vivesse in una situazione serena e tranquilla, di punto in bianco l’assistente sociale ha decretato che per lui sarebbe stato meglio essere adottato da una famiglia diversa, che interrompesse i rapporti coi nonni, che lasciasse gli unici che fino ad ora aveva chiamato mamma e papà. E perché si abituasse meglio al distacco, lo hanno preso di forza, proprio il giorno della festa tanto atteso dai bambini veronesi e portato in comunità, dove il piccolo non si era ambientato e anzi, aveva mostrato evidenti segni di malessere. Il Tribunale dei minorenni di Venezia si era bastato esclusivamente sulla relazione dell’assistente sociale del Comune di Verona per decidere dell’adottabilità di Marco, senza convocare le parti anzi, non si è capito perché, all’insaputa dei legali del piccolo e del suo tutore, era stata convocata un’udienza “carbonara”, alla sola presenza dell’assistente sociale e del giudice onorario per decidere della sua adozione.
«Marco torna quindi in famiglia e di questo non possiamo che essere contenti» commenta soddisfatto l’avvocato Francesco Miraglia, che si è avvalso della competenza della dottoressa Vincenza Palmieri in qualità di Consulente tecnico di parte. «Abbiamo vinto su tutta la linea e questo sta a significare che non c’è soltanto il caso di Bibbiano, ma si profila anche un caso veronese di immotivato allontanamento di un bambino da far adottare a chissà chi. Sulla base della decisione assunta dalla Corte di Appello di Venezia, chiederemo ora la revoca del provvedimento di affidamento e che il piccolo venga assegnato ai nonni materni. Ci rivolgeremo, inoltre, alla Procura perché una situazione simile, un provvedimento assolutamente immotivato e ingiusto come quello assunto da questa assistente sociale, devono essere verificati e sanzionati nelle maniere opportune».

 

Mamma “segregata” in comunità con i figli  L’assessore veronese Bertacco: “Non è affar mio”

VERONA (14 giugno 2019). «Ma come viene amministrata la città di Verona se l’assessore competente ai Servizi sociali, colui che dovrebbe aiutare e sostenere i propri concittadini più fragili, manco si interessa di che fino fanno?». L’avvocato Francesco Miraglia stavolta punta il dito dritto contro l’assessore veronese Stefano Bertacco, cui si era rivolto per chiedere un incontro in merito alla donna, madre di quattro figli, che da quando ha denunciato il marito per violenza sessuale nei confronti della figlia più grande, da tre anni è costretta a vivere segregata in una comunità veneziana, quindi pure lontana dalla sua città, senza un minimo di progettualità, senza aiuto, parcheggiata, lei e si suoi tre figli minori (la maggiore è persino stata allontanata da lei e vive da sola in un’altra comunità) ammassati in quattro dentro un’unica stanza, in una struttura fatiscente. «L’assessore, oltre a non aver voluto ricevermi» prosegue Miraglia, «mi ha risposto scrivendo testuali parole “La gestione della tutela dei minori investe aspetti prettamente tecnici ed amministrativi attinenti agli esclusivi ruoli e competenze della dirigenza e degli assistenti sociali di riferimento, ai quali pertanto potrà rivolgersi per eventuali necessità”. Che, per me, significa “Me ne lavo le mani di dove siano questa madre e i suoi figli e nemmeno mi interessa poiché “tecnicamente” se ne deve occupare qualcun altro. Ma allora, dico io, che ci sta a fare questo assessore? Di chi o di cosa dovrebbe occuparsi se il benessere dei suoi concittadini non è affar suo?».
L’avvocato Miraglia si è rivolto, allora, al responsabile dei Servizi sociali, ottenendo una risposta ancora più “balzana”: il funzionario ha annunciato che la relazione non sarebbe stata redatta prima di settembre, come se questa povera famiglia potesse attendere ancora tre mesi di calvario e “prigionia”: tra l’altro vivono in comunità a spese del Comune di Verona, che paga fior di quattrini per loro. Se tornassero “liberi” il Comune risparmierebbe migliaia di euro. Ebbene, il detto funzionario ignorava completamente che, per l’istanza presentata dall’avvocato Miraglia, il tribunale aveva chiesto di venire informato della situazione della famiglia entro il 2 luglio.
«Ma allora, chi vigila su cosa accade ai cittadini?» si interroga l’avvocato Miraglia. «Chi si occupa veramente delle persone in stato di disagio? Una volta parcheggiate da qualche parte il problema non scompare, anzi! A sparire sono invece le persone in difficoltà, di cui nessuno si occupa, lasciate in un limbo per anni a causa dell’inerzia della burocrazia e per il disinteresse delle istituzioni. Che facciamo? Le nascondiamo in comunità come si fa con la polvere sotto il tappeto, perché sono soltanto un grattacapo? Forse l’assessore e il dirigente dei Servizi sociali dovrebbero rivedere i loro ruoli e le priorità d’intervento».
 

Sappiamo dov’è Anna Giulia». I coniugi Camparini chiedono di rivedere la figlia, data in adozione anni fa, e di riaprire il procedimento. La psicologa che l’allontanò da loro è implicata nell’inchiesta “Veleno”

REGGIO EMILIA (4 giugno 2019). «Sappiamo dov’è Anna Giulia»: Gilda e Massimiliano Camparini hanno trovato la loro figlia, che non vedono da almeno otto anni, essendo stata data in affidamento a una coppia che risiede in una località che il Tribunale dei Minorenni di Bologna ha tenuto segreta. «Vogliamo rivederla, sapere come sta, se si ricorda di noi e che cosa le abbiano detto per convincerla a sopportare l’adozione e l’allontanamento dai suoi genitori. Ma vogliamo anche che si apra di nuovo il procedimento che ce l’ha vista strappare via: la psicologa che, montando accuse false contro di noi, ha convinto il tribunale a darla in adozione, è implicata nell’inchiesta “Veleno”» dichiarano i Camparini.

L’inchiesta dei giornalisti Pablo Trincia e Alessia Rafanelli, pubblicata in sette puntate su Repubblica.it, è una docu-serie investigativa, che ricostruisce il caso dei “Diavoli della bassa modenese”: vent’anni fa, in provincia di Modena, sedici bambini tra i Comuni di Massa Finalese e Mirandola furono allontanati per sempre dalle loro famiglie, accusate di far parte di una setta di satanisti pedofili. Accuse dimostratesi infondate e che i bambini di allora, ormai adulti, svelano nata da dichiarazioni loro estorte. C’è chi ci è morto di crepacuore e chi si è suicidato e i bambini non hanno più rivisto le loro famiglie. Dietro a tutto questo un gruppo di persone, sempre lo stesso, che sarà protagonista, dieci anni dopo, dell’incredibile vicenda di Anna Giulia Camparini.

Al centro dell’inchiesta c’è infatti la psicologa Valeria Donati dell’Asl di Modena, successivamente responsabile di una struttura privata di Reggio Emilia, il CAB (Centro Aiuto al Bambino – Cenacolo Francescano), che ospitava bambini sottratti alle famiglie e successivamente dati in affidamento e adozione.

«Alla luce dell’inchiesta giornalistica, che svela inquietanti scenari, chiediamo che venga rivisto l’intero procedimento di Anna Giulia» commenta l’avvocato dei Camparini, Francesco Miraglia, «nato da una serie di errori clamorosi ammessi da tutti, dai Servizi sociali come dal Pubblico ministero, che si era persino opposto al decreto di adottabilità, tranne che dal Tribunale dei minorenni di Bologna».

Nonostante nel corso del procedimento dinnanzi allo stesso Tribunale fosse emerso come tutti i protagonisti di questa rocambolesca vicenda (l’avvocato tutore di Anna Giulia, il procuratore dei nonni materni che avevano osteggiato il rientro della bambina presso i genitori, e i coniugi affidatari) facessero parte di un sodalizio tra operatori nell’ambito reggiano ed emiliano, la cosiddetta Combriccola del Casale.

«E’ finalmente giunto il momento che si faccia chiarezza» prosegue l’avvocato Miraglia «e che questi due genitori possano tornare a riabbracciare la loro figlia, che ormai ha quasi 14 anni». I genitori hanno presentato un esposto ai Tribunali di Milano, Reggio Emilia e Ancona, e ai Tribunali per i minorenni di Milano e Bologna, che a vario titolo sono entrati in questa vicenda.

La vicenda di Anna Giulia Camparini, che l’avvocato Miraglia ha narrato nel libro “Papà portami via da qui!”, inizia da una perquisizione a casa dei genitori avvenuta nel 2007: si cerca della droga che non viene trovata, tutto viene archiviato, ma i Servizi sociali ritengono non idonea la sistemazione della bambina (la casa viene definita indecorosa, senza che, per altro, nessuno vi abbia fatto un sopralluogo), che viene quindi portata al Centro Aiuto al Bambino (gestito dalla psicologa Donati) e dal 2010 affidata a una famiglia sconosciuta. Verrà adottata due anni fa. A niente sono valse le relazioni dei nuovi assistenti sociali e del pubblico ministero: il Tribunale dei minorenni non ha tenuto conto di nulla, se non delle dichiarazioni della psicologa Valeria Donati e del suo team. E una bambina curata e amata è stata strappata dai suoi genitori e affidata a degli estranei.

L’avvocato Francesco Miraglia e i coniugi Camparini saranno ospiti della trasmissione “Chi l’ha visto?”, che sì è occupata più volte di questa discussa vicenda, a illustrare questi nuovi sviluppi, puntata che andrà in onda il 12 giugno.

 

Picchiata da famiglia affidataria: ragazzina torna a casa

Ha deciso di farsi giustizia da sola ed è tornata a casa.
Trento. Carla (nome di fantasia), la ragazzina che alcune settimane fa sarebbe stata picchiata dalla famiglia affidataria e collocata cautelativamente in una comunità per minori, domenica scorsa è tornata a casa dalla sua famiglia.
Carla manifestava da mesi la volontà di tornare dai suoi cari dato che i motivi che avevano portato al suo allontanamento erano risolti da tempo. Ma i Servizi Sociali non avevano ascoltato la sua richiesta, anzi (come riferito dalla madre) la ragazzina avrebbe affermato che la visita (con la famiglia) programmata da diversi mesi era stata annullata senza riferirglielo, assieme a tutte le visite e incontri programmati, in apparenza per via della denuncia verso la famiglia affidataria.
A quel punto Carla ha deciso di farsi giustizia da sola e come ci scrive la mamma:
“Nella giornata di domenica 14 aprile, mia figlia Carla si è presentata presso la mia dimora di sua spontanea volontà rifiutandosi di recarsi nuovamente alla comunità ove era assegnata. Da prassi io mi sono impegnata ad avvisare l’assistente sociale in più occasioni (durante tutta la settimana) ma lei non ha risposto a nessuna e-mail e nel momento in cui chiamavo mi veniva riferito che era impegnata o assente […]. Giovedì 18, ho contattato la scuola per occuparmi del percorso scolastico di mia figlia per rimettersi in pari con i compagni, e mi è stato riferito che l’assistente sociale ha contattato la scuola riferendo la collocazione attuale della minore e informando che al momento il servizio sociale stesso, non avendo sentito la minore come di dovere, non sapeva valutare come la situazione si evolverà. Mia figlia ha dichiarato di trovarsi bene e di non volersi allontanare ancora da un luogo (casa sua) che la fa stare bene.”
Secondo il sottoscritto  in qualità di avvocato l’avvocato della famiglia,:
“Ancora una volta non si può fare a meno di sottolineare il comportamento quanto meno discutibile dell’assistente sociale, la quale da più di un anno è stata portata a conoscenza del malessere della minore nella famiglia affidataria, successivamente sfociato in veri e propri maltrattamenti. Soprattutto la stessa operatrice era a conoscenza della volontà ferma e determinata della ragazza di voler rimanere nella propria famiglia. Ancora più grave è il fatto che la stessa assistente sociale ha relazionato a tribunale che tutto andava bene. Spero che questa operatrice si occupi di altro ma soprattutto spieghi perché ha voluto in ogni modo tenere lontano questa minore dalla propria famiglia. Di sicuro non è stato per un interesse personale… o no???”

Il Tribunale di Brescia affida un bambina al padre violento

Adduce come motivazione la controversa PAS (Sindrome da Alienazione Parentale)

BRESCIA (4 aprile 2019). Sindrome da Alienazione Parentale o Pas, una condizione secondo la quale un genitore scredita a tal punto l’altro, che i figli, quasi avessero subito un lavaggio del cervello, non vogliono più avere a che fare con esso, lo giudicano negativamente, non vogliono rapportarsi con lui né vederlo.  Una presunta sindrome, ancora non riconosciuta sul piano scientifico. Eppure su questa si è basato il Tribunale di Brescia nello strappare una bambina di dieci anni alla madre cui è sempre stata affidata dopo la separazione dei genitori, per disporne l’affidamento al padre. Un uomo violento, già ricoverato in Psichiatria, e incapace di prendersi cura della bambina, che tra l’altro, terrorizzata da lui e dalla sua violenza, si rifiuta di vederlo fino a star male. Nulla di tutto questo è stato tenuto in considerazione dal tribunale di Brescia, che si è limitato soltanto ad etichettare la madre come “alienante” della figura paterna, a tal punto da vietare persino che mamma e figlia si parlino e abbraccino, sebbene si vedano tutti i giorni all’interno della scuola che entrambe, per studio e per lavoro, frequentano. Quando si incrociano lungo i corridoi e nel cortile devono fingere di non conoscersi: ma è possibile? «Eppure il comportamento alienante di questa madre è stato ampiamente smentito dalle perizie» sottolinea l’avvocato Francesco Miraglia, che tutela la madre e la sua bambina. «Anzi, la madre, come è stato provato anche dagli stessi assistenti sociali e dai periti, si è sempre adoperata perché la bambina continuasse a mantenere un rapporto con il papà. Per tutta risposta l’uomo l’ha accusata di manipolare la figlia contro di lui». Il padre è un convinto assertore della teoria della Pas, molto attivo su questo versante anche sui social. «L’abuso del termine alienazione parentale sta diventando un’arma nelle mani di quei genitori che vogliono sollevarsi dalle proprie responsabilità» prosegue l’avvocato Miraglia, «assumendo loro stessi comportamenti alienanti, pregiudizievoli e manipolatori, a discapito della stabilità emotiva dei figli». Bastava invece leggere le parole che la bambina ha pronunciato a uno psicologo per comprendere il reale motivo di tanto rifiuto a frequentare il padre: da piccola lui la picchiava senza motivo, le diceva che la mamma non le voleva bene e queste parole le hanno fatto tanto male. Anche adesso la sgrida con cattiveria e non si occupa di lei: nel corso delle vacanze, ad esempio, ne affida le cure totalmente a sua cugina. «L’imposizione della frequentazione del padre ha generato un profondo disagio emotivo e uno stato di ansia ogniqualvolta la bambina deve incontrarlo» conclude l’avvocato Miraglia. «Costringerla ora a lasciare la propria casa e la mamma, per vivere unicamente e costantemente con il padre, potrebbe arrecale un danno psicologico inimmaginabile. Lasciarle il tempo di affrontare gli incontri con il padre spontaneamente, senza imposizioni, sarebbe certamente più efficace per un loro graduale, progressivo riavvicinamento. Il tribunale di Brescia deve rivedere il suo pronunciamento prima che sia troppo tardi per la salute fisica e psicologica di questa bambina, tenendo ben in considerazione lo stato psichico di quell’uomo invece di far finta.