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Miraglia: «Indagini superficiali»

 

Strali dal legale di Valerio sul caso del teste morto e “resuscitato”

REGGIO EMILIA. Il caso del presunto ricattato Salvatore Soda dato per morto dai carabinieri e “resuscitato” a fine udienza per bocca del teste Domenico D’Urzo – che lo aveva incontrato poco tempo fa – tiene ancora banco ai margini del processo Aemilia. Un “giallo” innescato dal maresciallo dei carabinieri Emilio Veroni (del Nucleo investigativo di Modena) rispondendo nel controesame a una domanda dell’avvocato Pasqualino Miraglia, difensore di Antonio Valerio che con altri tre è nei guai per questa estorsione. Ora, a scagliarsi contro le ricostruzioni degli investigatori, è Francesco Miraglia, anch’egli legale di Valerio. «Non solo prove indiziarie, ma adesso pure le presunte persone offese che non vengono mai sentite perché date per morte, ma che invece potrebbero essere vive e vegete» scrive in un comunicato Miraglia. «L’ennesima riprova che il processo Aemilia, che si sta svolgendo su presunte estorsioni legate alla ’ndrangheta calabrese a Reggio Emilia, pare tanto basato su indagini superficiali e approssimative. Ne ha dato notizia anche la stampa, della presunta vittima, Salvatore Soda, che i carabinieri non avrebbero sentito come teste in quanto sarebbe morto, ma che un amico, all’udienza di sabato, dice di aver visto non più tardi di dieci giorni fa. Ma come si fa a non appurare se la vittima sia viva oppure no? Il presidente del collegio ha incaricato di verificare questa morte presunta, e ben vengano indagini supplementari: ma non sarebbe stato meglio farle prima? Chissà che adesso, almeno, riusciremo a sapere se le pesanti accuse rivolte al mio assistito, Antonio Valerio, siano o meno fondate su basi accertate. Come mi pare, invece, finora non sia stato. Senza contare che già il maresciallo sentito sabato ha smentito il capo di imputazione nel quale si parlava di un feroce pestaggio, da parte del mio assistito. È talmente grottesco che ci sarebbe da sorridere se non fosse che un processo sommario e indiziario come questo, oltre a costare tempo e denaro pubblico, si sta giocando sulla pelle delle persone accusate, tra cui appunto il mio

cliente. Il grande processo di mafia sbandierato anche mediaticamente come un grande evento, pare sgonfiarsi ad ogni udienza sempre di più. Se non si arriverà ad alcuna condanna – come mi auguro per il mio cliente – il processo Aemilia avrà forse il merito di aver fatto resuscitare trali dal legale di Valerio sul caso del teste morto e “resuscitato”

Aemilia, niente sequestro per l’imputato Valerio

La Corte d’Appello rigetta il ricorso della Direzione distrettuale antimafia che dopo aver ottenuto la sorveglianza speciale puntava alla confisca dei beni
REGGIO EMILIA. La Corte di Appello di Bologna ha rigettato il ricorso della Procura antimafia di Bologna riguardo alla richiesta di una misura di prevenzione patrimoniale a carico di Antonio Valerio, imputato nel processo Aemilia in corso a Reggio. A dare notizia dell’ordinanza è il difensore, l’avvocato Francesco Miraglia, il cui assistito è infatti considerato un associato alla consorteria criminale di matrice ’ndranghetistica attiva a Reggio. Valerio, noto alle cronache anche per essere sopravvissuto all’agguato del killer Paolo Bellini, ha già una misura personale che prevede la sorveglianza speciale per due anni. La Dda, ricorda però Miraglia, con richiesta del 28 luglio 2015 chiedeva l’applicazione – oltre che della misura di prevenzione personale- anche di quella patrimoniale, vale a dire di sequestro e confisca di beni riconducibili a Valerio e ai suoi familiari, residenti a Reggio Emilia.
Fin da subito il tribunale reggiano lo scorso aprile rigettò nel merito l’istanza di sequestro «ritenendo non provati i diversi presupposti dell’adozione stessa, ovvero quello dell’attribuibilità al preposto dei beni intestati ai suoi familiari, quella della provenienza da reato dei beni intestati a Valerio, quello della sproporzione tra i beni a lui intestati e ai suoi proventi leciti, quello, ancora, della pericolosità sociale del preposto all’epoca, i cui beni erano stati acquistati».
In altre parole, conclude l’avvocato – che bolla Aemilia come «un processo mediatico dove tutti sono ’ndranghetisti e tutti sono già “colpevoli” a prescindere» – tribunale e Corte d’Appello «non hanno fatto altro che confermare che nessuna attività illecita e proventi illeciti possono essere riferiti al mio assistito proprio negli anni in cui viene contestato a Valerio una supposta partecipazione ad un associazione criminale».
Antonio Valerio, 49 anni, imprenditore edile di origine cutrese, è uno dei tanti imputati che sono ora nel mirino della procura antmafia, decisa a chiedere le misure di prevenzione per gli imputati di più elevato profilo criminale. Valerio, come detto, ha diversi precedenti ma è soprattutto noto per l’agguato che subì la sera del primo maggio del 1999 nel quale rimase ferito davanti alla casa dove abitava, in via Samoggia. Ad autoaccusarsi, in seguito, fu il killer Paolo Bellini. Questione ritirata in ballo da Bellini stesso durante una delle udienze di Aemilia, in cui il killer ipotizzò una guerra di mafia a Reggio negli anni ’90. Una testimonianza a tutto campo che aveva provocato la reazione di Valerio. Diversi i punti della deposizione contestati dall’avvocato Miraglia, quando il killer ha specificato «che per Valerio

dovevo fare un servizio, l’uccisione di un signore che sarebbe stato responsabile della morte di suo padre». Invece per il difensore: «Come mandante dell’omicidio a cui fa riferimento Belllini, Valerio è stato assolto dal tribunale di Catanzaro per non aver commesso il fatto». (e.l.t.) 
http://gazzettadireggio.gelocal.it/reggio/cronaca/2017/01/24/news/aemilia-niente-sequestro-per-l-imputato-valerio-1.14769070?ref=search

Aemilia, testimoni intimoriti e minacce negate al processo sulla ‘ndrangheta

Aemilia, testimoni intimoriti e minacce negate al processo sulla ‘ndrangheta – Il Fatto Quotidiano

“’Mi stai dicendo che mi vuoi sparare?’ Per noi erano toni amichevoli”. Nell’aula del Tribunale di Reggio Emilia va in scena l’omertà in salsa nordica. Tra accompagnamenti coatti dei carabinieri, un teste sparito negli Usa e il giudice che valuta l’invio degli atti per falsa testimonianza. Insulti dai familiari degli imputati fra il pubblico. Cinque sindaci della provincia hanno deciso di esserci “per far sentire la presenza delle istituzioni”
Davanti al giudice stanno passando i testimoni dell’accusa, ma c’è chi, a pochi metri dalle sbarre dietro cui siedono gli imputati, si rimangia quanto detto in fase di indagine. C’è chi, dopo non essersi presentato, è stato accompagnato in aula dagli uomini dell’Arma. Una delle vittime di diverse estorsioni, un giocatore d’azzardo finito in debito con alcuni degli imputati, pare invece che sia scappato negli Stati Uniti e al proprio avvocato avrebbe dichiarato di non volere tornare in Italia per paura della propria incolumità. È anche a seguito di questi fatti che,durante una delle ultime udienze il presidente del collegio, Francesco Maria Caruso, si era addirittura riservato la possibilità di inviare alla Procura le posizioni di alcuni testimoni apparsi reticenti, per valutare un procedimento per falsa testimonianza.
Gran cornuto, dove sei… Scappi pezzo di merda… vado a scontare con tua moglie”. “Fu solo una battuta volgare”

Come nel caso di Salvatore Palmo Rotondo, un imprenditore cutrese attivo in Emilia, che nel 2012 si era ritrovato a dovere dei soldi di Gaetano Blasco e Antonio Silipo, entrambi considerati dai pm membri della cosca emiliana. In una intercettazione del 2012 Rotondo e Silipo si scambiano parole di fuoco: “Turù io non ho niente da perdere lo sai?”, diceva Silipo. “Tonino ma mi vuoi ammazzare? Vieni e sparami!”. La risposta dell’imputato: “Turù a me come mi vedi sono! io non ho niente da perdere!”. “Tonino ma mi stai dicendo che mi vuoi sparare? vieni e sparami Tonino!”. “Queste sono parole tue sono”. In aula davanti al giudice però Rotondo minimizza: “Era una discussione accesa, ma quelli sono i toni amichevoli che usiamo… Pensi che con Silipo sono andato a prendere il caffè finché non l’hanno arrestato. Per voi sarà una minaccia, per me no”. È a questo punto che il giudice Caruso lo avvisa: “Se la telefonata avrà tenore diverso andrà sotto processo per falsa testimonianza”.
Silipo, che è stato condannato in primo grado a 14 anni nell’abbreviato del processo Aemilia (tra le accuse anche l’associazione mafiosa), è stato assolto per questo fatto specifico. Ma anche le motivazioni dell’assoluzione sono interessanti: secondo il giudice infatti il reato da contestare non era estorsione (perché la somma chiesta a Salvatore Rotondo era effettivamente dovuta), ma quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con la minaccia. Però, secondo il giudice dell’abbreviato, siccome Rotondo non ha mai sporto querela, non si può procedere.

L’incendio si è provocato da solo, colpa della guaina. Il rapporto dei Vigili del fuoco? Non l’ho letto”

Anche frasi del tipo: “Gran cornuto, dove sei… Scappi pezzo di merda… Mi sa che vado a scontare con tua moglie adesso”, in aula sono state minimizzate. “Ma quella non è una minaccia, solo una volgare battuta rivolta a mia moglie”, ha asserito un altro testimone. Il pm aveva appena riportato un passaggio di una intercettazione telefonica del 2011 in cui Antonio Valerio, imputato per associazione mafiosa, estorsione e usura, discuteva con l’uomo per un prestito di poche centinaia di euro non restituito.
Infine, come riportato dalle cronache della Gazzetta di Reggio, anche la testimonianza di Antonio Olivo, ex consigliere comunale del Partito democratico, ha fatto molto discutere: “L’incendio si è provocato da solo, colpa della guaina”, ha risposto Olivo al pm Marco Mescolini, che non aveva fatto in tempo nemmeno a fare la domanda su quel rogo del 2005. Secondo l’accusa il fuoco fu appiccato da uno degli imputati, Gaetano Blasco, che voleva vendicarsi per non essere stato coinvolto in alcuni cantieri. Alla domanda poi se avesse letto il rapporto dei vigili del fuoco su quell’incendio, rapporto portato da Olivo alle assicurazioni, il testimone ha spiegato in aula di non avere letto se la causa fosse o meno dolosa.

Per ‘incoraggiare’ i testimoni cinque sindaci della provincia di Reggio Emilia si sono presentati al processo

Olivo, originario di Cutro, oltre a essere stato in consiglio comunale a Reggio Emilia per 10 anni è un imprenditore edile affermato in città. Il suo nome compare nella carte dell’inchiesta Aemilia non solo per quel rogo. Olivo (che non è mai stato indagato) fu infatti intercettato dai Carabinieri nel 2011 al telefono con Romolo Villirillo. Quest’ultimo, condannato nel 2016 in primo grado per associazione mafiosa nell’abbreviato di Aemilia, è accusato di essere stato uno dei capi promotori della cosca emiliana. Olivo peraltro è lo stesso che nel 2012 – assieme all’allora sindaco e oggi ministro Graziano Delrio (che sarà presto anche lui fra i testimoni) e ad altri consiglieri comunali di origine calabrese – andò a parlare con l’allora prefetto di Reggio Emilia Antonella De Miro. La delegazione si mosse su iniziativa dei consiglieri comunali che lamentavano una criminalizzazione dell’intera comunità cutrese in città (circa 10mila persone) dopo le interdittive antimafia che il prefetto stava emettendo nei confronti delle imprese ritenute legate alla ‘ndrangheta.
Proprio per ‘incoraggiare’ i testimoni, nei giorni scorsi cinque sindaci della provincia di Reggio Emilia si sono presentati nell’aula speciale del processo. Emanuele Cavallaro di Rubiera, Nico Giberti di Albinea, Andrea Carletti di Bibbiano, Andrea Tagliavini di Quattro Castella e Enrico Bini di Castelnovo Monti, accompagnati da alcuni dei loro assessori e da una consigliera provinciale hanno presenziato a una delle udienze. “Il pubblico dà fastidio. Spesso capita di ricevere insulti dai parenti degli imputati. Ma non mollo: bisogna esserci per fare sentire la presenza delle istituzioni”, racconta Bini a ilfattoquotidiano.it. “Continueranno a venire a seguire i processi anche le scuole. Per questo abbiamo voluto che il processo si svolgesse qui e non in un’altra città”.

L’avvocato della difesa: “Dai testimoni risposte imprecise, calabresi accusati a prescindere”

Intanto però arriva una nota dell’avvocato Francesco Miraglia, che difende diversi degli imputati nel processo Aemilia: “In un Paese come il nostro, in cui vale per la presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio, stiamo assistendo in queste ore a un processo mediatico che dipinge già come colpevoli gli imputati in un procedimento giunto soltanto alla fase dibattimentale, tutt’ora in corso, ben lontano da una sentenza”. Tuttavia, secondo Miraglia, i testimoni dell’accusa hanno risposto alle domande “con risposte imprecise, indefinite e per sentito dire”: “Che si tratti di affiliati alla ‘ndrangheta e di operazioni legate alle attività criminose è quindi tutto ancora da dimostrare – ha detto l’avvocato riferendosi agli imputati – e mi pare pertanto che si sia partiti da un presupposto di territorialità, che faccia dei calabresi dei delinquenti a prescindere”.
 
Collegamento a:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/10/29/aemilia-testimoni-intimoriti-e-mi
nacce-negate-al-processo-sulla-ndrangheta/3127899/
 

Processo Aemilia: in dibattimento solo prove indiziarie

Francesco Miraglia, legale di alcuni imputati: «Si sta Facendo un Processo sui” non so “»
 
In un Paese venire Il Nostro, in cui si vale per la presunzione di innocenza Fino al terzo Grado di Giudizio, STIAMO assistendo in QUESTE un minerale delle Nazioni Unite Processo mediatico che Dipinge Già venire colpevoli Gli imputati in un procedimento giunto soltanto alla fase dibattimentale, tutt’ora in corso, ben lontana da Una sentenza.
Parlo del Processo Aemilia, il Che si sta celebrando a Reggio Emilia e il Che sto seguendo in qualità di avvocato di Fiducia di ALCUNI imputati. Lungi da me Mettere in Discussione La Bontà delle Indagini, l’operato delle Forze dell’Ordine e del Pubblico Ministero titolare dell’inchiesta o dei Giudici, i Quali Stanno Facendo Notevoli Sforzi per garantire alle parti i propri Diritti. Ma Il processo E, appunto, Ancora in corso e C’è invece chi ha Già condannato Pubblicamente Gli imputati. Ed e pertanto per correttezza ed onestà Intellettuale Che mi sento in dovere di ricondurre a verità le informazioni Per do Quanto sta accadendo in aula.
In ABBIAMO sentito numerosi testi Mesi Quattro, Citati Dalla Procura, Rispondere con “Non so”, “ABBIAMO supposto”, “Non ABBIAMO Verificato, lo ABBIAMO desunto noi, lo ABBIAMO capito delle intercettazioni telefoniche, Sono calabresi, Sicuramente E così”.
Venite Ho Detto prima non è mia intenzione proporre Una Difesa d’ufficio per i miei assistiti o per gli Altri imputati, MA e fuori di Dubbio Che i testimoni dell’accusa, sentiti dal mese di maggio ad Oggi, Hanno Risposto all’incalzare delle Domande con Risposte impreciso, a tempo indeterminato e per sentito dire. Che si Tratti di Affiliati alla ‘ndrangheta e di operazioni legato alle Attività criminose E quindi tutto Ancora da dimostrare e mi pare pertanto il Che SI SIA Divisori da un presupposto di territorialità, il Che Faccia dei Calabresi dei delinquenti una Prescindere, senza giungere un Processo con dimostrare Certe che giustifichino i capi di imputazione. Un Pregiudizio Gravissimo.
I fatti distorti e non Completi, Che vengono riportati Dalle Cronache, Partono da un errato presupposto di colpevolezza a Prescindere: si rischia di Celebrare un Processo politico-sociale prima Ancora Che Si accertati se effettivamente esista un’organizzazione mafiosa, venire SOSTIENE l’accusa , radicata nel Nostro territorio.
Il mio invito pertanto Quello di riportare Pubblicamente la verità dibattimentale, in attesa della sentenza, qualunque ESSA Sarà.
 
 
 
 

Venerdì 17 Aprile ore 20:45: Sala Consigliare del Comune di Limena

ADOLESCENZE ESTREME “vulnerabili  e/o  onnipotenti”                                              Ecco come è possibile che una bambina con entrambi i genitori viventi che la amano e la vogliono con loro, che non hanno mai fatto niente di male né a lei né ad altri sia diventata “un’orfana consegnata per legge ad altri genitori”.   Dopo la presentazione del libro “Papà portami via da qui!” parleremo di bullismo, di adescamento dei minori tramite internet e dei nostri giovani del perché si diventa bullo e/o vittima.    Saranno presenti: –   Avv. Francesco Miraglia; esperto di Diritto di Famiglia , Diritto Minorile e Criminologia.. –   Prof.ssa Vincenza  Palmieri; Presidente e fondatrice dell’Istituto Nzionale di Pedagogia Familiare , Consulente Tecnico di Parte – Psicologo , Membro ISPCAN –   Avv. Francesco Morcavallo; Dottore in Diritto Civile Italiano ed Europeo . –   Dott. Gianfranco Volpin; Responsabile Polizia Postale di Padova scrittore del libro”Via le mani dai bambini”. –  Cristina  Turetta; Vicesindaco, assessore ai Servizi Sociali. –   Monia Gambarotto; Moderatore  della serata , Ambasciatrice per i Diritti Umani   E con la partecipazione di Ally con il brano “Il più debole” inno INPEF per i Diritti dei Minori.

“Papà…portami via da qui” – Dedicato ad Anna Giulia,7 anni, Cittadina Italiana – (Armando Editore, 2015)

Anna Giulia è cento, mille bambini. E’ ognuno di quei bambini a cui, di punto in bianco, viene sottratto l’abbraccio di mamma e papà. Incomprensibilmente; per lei, per i genitori, per i nonni, per chiunque conoscesse la sua famiglia. “Papà… portami via da qui” è la storia di un’ingiustizia reiterata e quotidiana, la storia di uno strappo, il più colpevole degli strappi, quello che separa un figlio dai propri genitori.
La visita notturna dei Carabinieri, a casa Camparini, nei pressi della via Emilia – per una segnalazione che si rivelerà poi assolutamente infondata – basta a dare il via ad una serie di eventi progressivi e catastrofici, che condurranno i genitori addirittura in carcere e sospenderanno la bambina in attesa, per anni, di sapere se avrà diritto ai suoi genitori, o ad altri, o chissà.
 
Anna Giulia è, dunque, l’emblema di una follia possibile.
Rappresenta la falla di un Sistema che dovrebbe essere infallibile e, invece, non solo può sbagliare, ma può, da solo, esso stesso, ribadire, confermare, affermare con forza e protervia il proprio errore. Un Sistema preoccupato di difendere la propria ragione anche di fronte all’evidenza contraria, un Sistema che dimentica che la “posta in gioco” è di valore incalcolabile: è la vita di una bambina, l’unità di una famiglia.
 
Con encomiabile rigore ed equilibrata onestà nei confronti dei fatti e degli “attori” di questo intricato caso di Cronaca Giudiziaria, che al tempo destò la viva curiosità dei Media, gli Autori – Vincenza Palmieri e Francesco Miraglia – raccontano la vicenda di Anna Giulia e dei coniugi Camparini, tracciandone le linee del destino. Il destino reale, attuale – che si gioca in 50 minuti dietro il vetro oscurato di un “incontro protetto” e nell’aula di un Tribunale – e quello parallelo, che sarebbe loro toccato in sorte naturalmente, se quella maledetta notte non si fosse messo in moto il meccanismo difettoso di una Giustizia ostinata che li ha inghiottiti.
 
E’, dunque, la storia, vera, fedelmente raccontata, dei fatti e degli atti che stanno ancora oggi alimentando il più grande degli errori. Quello perpetrato ai danni di una famiglia come tante, che è stata trascinata in un inferno giudiziario e, soprattutto, ha visto portarsi via ciò che aveva di più caro, la propria figlia.
 
Cosa accade, allora, oggi, nei sogni di ognuno di questi bambini sottratti ai propri genitori? Cosa scrive Anna Giulia sul suo Diario, cercando di mettere ordine in una vita senza punti di riferimento? Quali pensieri, quali margini di scelta possibili agitano le notti insonni di un padre o di una madre che il proprio figlio ha implorato: “Papà…portami via da qui”? E quali sono, dunque, le aberrazioni di un Sistema che dovrebbe garantire prima di ogni cosa il Diritto Fondamentale di ogni Bambino a vivere nella propria famiglia?
 
Per Anna Giulia non il castello dei sogni infantili ma quello delle carte giudiziarie
(Francesco Miraglia)
So che quando mio figlio è nato, e ancor prima, quando lo aspettavo, avevo l’idea che lui fosse mio e io sua e che insieme saremmo stati per sempre
 (Vincenza Palmieri)
Una scrittura convincente, scorrevole e appassionata, quella della Prof.ssa Vincenza Palmieri e dell’Avv. Francesco Miraglia. Con la Prefazione di Federica Sciarelli, che al tempo si occupò del caso durante la trasmissione “Chi l’ha visto”, l’intervista ai coniugi Camparini a firma di Vittorio Bonanni e la postfazione di Francesco Morcavallo, “Papà… portami via da qui” è una luce coraggiosa e dirompente sulle imperfezioni e le colpe di un Sistema che troppo spesso si preoccupa di tutelare se stesso e non i Cittadini che gli sono affidati.
 
Valeria Biotti
 

SVOLTA IMPORTANTE NEL CASO DELLA FAMIGLIA CAMPARINI. ACCOLTO IL RICORSO IN CASSAZIONE

COMUNICATO STAMPA

SVOLTA IMPORTANTE NEL CASO DELLA FAMIGLIA CAMPARINI. ACCOLTO IL RICORSO IN CASSAZIONE PER RIOTTENERE LA PROPRIA BAMBINA

Un ulteriore passo in avanti sembra compiersi nel processo che vede come protagonista la famiglia Camparini che, da oltre sei anni, sta combattendo per riottenere l’affidamento della figlia naturale, A.G. Il prossimo 13 maggio, infatti, la vicenda di AG sarà discussa dalla Corte di Cassazione prima sezione civile in udienza pubblica.
Il ricorso in Cassazione, è stato presentato lo scorso ottobre dall’avvocato Francesco Miraglia, del Foro di Modena, legale dei coniugi, ove ancora una volta si rivendicava la mancanza di qualsiasi presupposto di fatto e di diritto sulla dichiarazione di adottabilità di A. G..
Questa notizia – spiega Gilda Fontana – mi ha provocato mille emozioni. In un primo momento ho avuto un attacco di panico perché ho paura di illudermi per l’ennesima volta. Inoltre temo che questa situazione possa creare disagio a mia figlia. Ma poi, pensando al bene che le voglio, sono positiva. Non provo né rancore, né vendetta per coloro che sono intervenuti in questa vicenda. Ho fiducia nella giustizia nonostante tutto ciò che abbiamo vissuto sulla nostra pelle in questi anni. Mi colma di gioia pensare che c’è qualcuno che finalmente leggerà, con la dovuta attenzione, le carte processuali. Io continuo a lottare, non posso lasciare a metà questa battaglia perché so di avere ragione, non voglio che qualcuno si intrometta nella vita della mia bambina e della nostra famiglia. Nostra figlia ha il diritto di sapere chi è, di conoscere pregi e difetti del suo nucleo familiare. Questa consapevolezza mi dà la forza di continuare a combattere. Credo ancora nella giustizia divina e spero in quella umana grazie anche al coraggio e alla forza che, in questi anni, il mio avvocato mi ha sempre dato, consentendomi di non deprimermi e di andare avanti con dignità”.
“Siamo in un momento delicato e importante del processo, – sottolinea l’avvocato Francesco Miraglia anche perché il fatto che il ricorso sia stato, al momento dichiarato ammissibile e meritevole  di discussione pubblica ci fa ben sperare.
Una tappa importante quindi quella che stanno per vivere i coniugi Camparini, dopo un lungo calvario sia processuale che umano. Una vicenda, iniziata nel 2007, quando il Pubblico Ministero di Reggio Emilia, dott.ssa Maria Rita Pantani, chiede che venga effettuata una perquisizione all’interno dell’abitazione dei coniugi Camparini alla ricerca di sostanze stupefacenti. Durante l’intervento i Carabinieri non rinvengono nulla ma la loro attenzione, invece, si sposta sulla piccola A.G. che, all’epoca, ha due anni. I militari decidono di inviare un’informativa al Tribunale dei Minori di Bologna segnalando la presenza della minorenne e di un “presunto stato fatiscente dell’abitazione”. Come vuole la prassi, intervengono i Servizi Sociali che confermano quando precedentemente affermato dalle Forze dell’ordine pur senza recarsi in loco né tantomeno preoccupandosi di incontrare i genitori per capire la reale situazione familiare. In seguito, il 23 giugno 2008 il Tribunale di Bologna stabilisce che la piccola A.G. debba essere portata in un Istituto dove può vedere regolarmente i genitori sotto il controllo dei Servizi Sociali di Reggio Emilia. E sono proprio questi ultimi ad affermare, in seguito, che la bambina può ritornare in famiglia. Parere che non viene accolto dal Giudice minorile di Bologna. La situazione precipita nel 2010 quando Gilda Fontana e Massimiliano Camparini vengono a sapere che la loro bambina potrebbe essere affidata. Decidono quindi di portarla via dall’istituto in cui è collocata per poi riconsegnarla alle Autorità. Questo gesto li vedrà indagati per sottrazione di minore. A questo punto il Tribunale per i Minorenni di Bologna chiede che vengano fatti nuovi accertamenti. I genitori temono il peggio e il 16 luglio 2010 decidono di scappare in Svizzera con la bambina. Un atto che pagheranno con il carcere.
 

La lettera della mamma di Anna Giulia, bambina strappata alla famiglia per l’arroganza degli adulti

C’è una bambina di 7 anni che non passerà il Natale con i genitori, non scarterà i regali sotto l’albero addobbato di casa sua e non riceverà l’abbraccio dei nonni e degli altri familiari. Chissà dove e con chi sarà, e non sappiamo neppure se le imminenti feste riaccenderanno in lei i ricordi sopiti, e certamente sempre più sbiaditi, della sua primissima infanzia. Eppure questa bimba non è orfana. Ha due giovani genitori che l’amano e che da sempre si battono per riaverla con loro. Stella, così la chiamiamo per proteggere la sua identità, è vittima di un errore, un colossale errore che l’ha strappata ai suoi affetti più cari quando aveva soltanto 3 anni.

La storia è nota ai più: una telefonata anonima avverte che nella casa dove vivono i Gilda e Massimiliano con la loro figlia, c’è della droga. Un blitz notturno dei carabinieri sveglia la famiglia, viene effettuata una perquisizione, ma non viene trovato assolutamente nulla. Solo che intanto, un militare troppo solerte avverte i servizi sociali dicendo che l’abitazione è fatiscente e non è un luogo adatto per una minore. Peccato che si dimentichi di specificare che la casa era a soqquadro perché stavano ridipingendo le pareti. Stella viene portata via dai genitori, che però sono rassicurati dagli assistenti sociali: “è sicuramente un equivoco, fra 15 giorni la riavrete”. Cominciano così gli incontri protetti tra genitori e figlia, perché qualcuno nel frattempo si è ricordato che il papà in passato ha fatto uso di droghe. Peccato che, ancora una volta, ci si dimentichi di spiegare che si tratta di episodi remoti, accaduti 20 anni prima. Alla coppia però, nonostante venga riconosciuta “una genitorialità ricca e affettiva”, la figlia non viene restituita, anzi Stella finisce in un istituto. Dopo varie peripezie giudiziarie, Gilda e Massimiliano decidono di “rapire” la loro bambina e di fuggire con la piccola in Slovenia, dove trascorrono alcuni giorni felici. Poi, convinti dalla nonna paterna, ritornano, affidandosi alla comprensione di chi ha in mano il loro destino. Ma è una fiducia mal riposta perché da allora questi genitori non hanno più rivisto la loro piccina…

Tutti la chiamano Stella e speriamo che una stella arrivi davvero ad illuminare la notte di Gilda e Massimiliano, una notte che dura da quasi 5 anni. Ed ecco la lettera che Gilda ci inviato, una lettera disperata, ma anche di speranza.

E’ grande lo sforzo di rivivere ancora e ancora ormai quasi all’infinito, quelle strazianti emozioni che mi sono entrate, ormai, in ogni singola cellula e con le quali devo convivere quasi fosse una malattia… un dolore cronico dal quale non riesco, non posso, non voglio liberarmi.
Eh sì…. questo sordo male che mi accompagna è ormai l’unica cosa che mi tiene legata a lei… che mi fa essere ancora la mamma di “Stella”, già l’unico modo che mi è rimasto di essere mamma è il dolore puro di questo vuoto che non riesco a motivare a giustificare e di conseguenza non riesco ad elaborare… come si dice, non riesco a farmene una ragione: cerco di analizzare la situazione da ogni punto di vista e quindi mi ripeto all’infinito…. morta non è, e quindi devo essere contenta… male non starà quindi devo esserne contenta…. colpa mia e di Max di certo non è, e quindi devo esserne contenta… la storia è stata più e più volte verificata da tante persone competenti e tutti mi hanno manifestato la loro solidarietà e… quindi devo esserne contenta… ho fatto tutto quanto è stato in mio potere fare e anche di più…. e quindi devo esserne contenta… devo essere grata a quei cari amici e conoscenti che mi si stringono accanto e solidali mi chiedono “come va”… devo esserne contenta, non è da tutti di poter contare sull’affetto di tante persone… devo esserne contenta. Ma così non è; non sarò, non saremo mai contenti, fino a quando non potremo riabbracciare la nostra bambina. Rivoglio, rivogliamo nostra figlia, la nostra vita. Gilda.

Abusi sessuali dentro la Cooperativa sociale Laboratorio Lesignola ? Il processo va avanti

 

 05/07/2012 – 09.15

 Se pur con un rinvio al 16 gennaio 2013 davanti al Tribunale collegiale penale di Reggio Emilia, il processo a carico del Presidente della Cooperativa sociale Laboratorio Lesignola continua. Su di lui pesano gli abusi che furono commessi all’interno della sua comunità tra la fine del 2007 e all’inizio del 2008 ai danni di un bambino che all’epoca aveva 10 anni. Nel procedimento, il minore e i suoi genitori sono rappresentati e difesi dall’avv. Francesco Miraglia di Modena, mentre l’accusa e rappresentata dalla dott.ssa Maria Rita Pantani della Procura della Repubblica di Reggio Emilia.

“Laboratorio Lesignola” di Canossa (RE) è altro capitolo di conduzione irresponsabile in una struttura per minori allontanati dal nucleo familiare. Come tutte le case famiglia, questo comunità viene designata dal servizio sociale, e diligenti operatori dovrebbero provvedere all’educazione dei minori affinchè crescano in un luogo sano, avviarli allo studio ed insegnargli ad affrontare la vita, sostituendo la famiglia in tutto e per tutto quando questa viene giudicata inidonea.

Nella vicenda oggetto del processo, seri professionisti della psicologia ed efficienti operatori sociali hanno sottratto due minori a causa dell’indigenza del loro nucleo familiare, decidendo che questi ragazzi dovevano crescere senza genitori in ambiente sicuramente più idoneo. I due ragazzi, che all’epoca avevano 10 e 6 anni, furono collocati in questa struttura dove subirono vessazioni, violenze fisiche ed attenzioni sessualidi da parte di un altro ospite 17enne. I giovani decisero di non voler più subire, e denunciarono tutto all’assistente sociale referente, ma minimizzò l’accaduto e “archiviò” il caso come frutto di “ragazzate”, non approfondendo i fatti e soprattutto non dando il minimo credito al racconto dei ragazzi.

Dovettero intervenire i genitori, solo in seguito ad un colloquio con i propri figli, per esporre nei confronti di coloro che avrebbero dovuto provvedere alla sorveglianza, e che invece omisero e colpevolmente sottovalutato fatti di questa gravità.

L’avvocato Francesco Miraglia del foro di Modena, presidente del comitato scientifico dell’associazione Pronto Soccorso Famiglia, ha assunto la difesa dei minori ed oggi alla sbarra c’è il responsabile della comunità che in primis avrebbe dovuto provvedere alla sorveglianza sugli ospiti della struttura. Questi, nonostante l’accaduto, ancora oggi ricopre il suo ruolo all’interno della struttura, ma ciò che sorprende ancora più è il fatto che sia l’assistente sociale del comune di Scandiano (che glissò sul racconto dei ragazzi) non sia stata ancora rimossa dalla posizione che attualmente occupa, continuando ad assumersi l’onere di decidere cosa è meglio per i figli degli altri, ed a fronte di una così grave omissione sia ancora la referente del servizio tutela minori.

Poiché i fatti si riferiscono ad alcuni anni orsono, qualcuno potrebbe pensare che i ragazzi siano felicemente tornati a casa… Non è così. Allontanati dal nucleo familiare a causa dell’indigenza dei genitori, il solerte servizio sociale ha preferito affidare i ragazzi ad altra famiglia (a cui attribuisce mensilmente un assegno di sostegno economico) piuttosto che versare la stessa somma ai genitori e permettere a questi ragazzi di crescere in seno alla propria famiglia.