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Il progetto a difesa dei minori “Mai Più un Bambino” diventa giornata internazionale e approda nella casa famiglia di “Capitano Ultimo”

Il progetto “Mai Più un Bambino” a difesa dei minori e delle famiglie che ogni giorno lottano perché i loro piccoli vengano rispettati sia dal punto di vista giudiziario che nel campo sanitario e pedagogico raggiunge un nuovo traguardo. Dopo essere stato oggetto di un libro, scritto dall’avvocato Francesco Miraglia del Foro di Modena, dall’ex Ministro alla Salute Antonio Guidi e dalla presidente dell’Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare (INPEF) Vincenza Palmieri ed edito dalla Armando Editore (2013) diventa un appuntamento annuale con l’istituzione della Giornata Internazionale “Mai Più un Bambino” .
 
 
 
La prima si svolgerà il prossimo 23 giugno dalle 10 alle 18 presso la sede dell’Associazione Volontari Capitano Ultimo presso la Tenuta della Mistica a Roma. Un momento di grande festa quello organizzato dall’Associazione Nazionale dei Pedagogisti, dall’Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare e dalla Casa Famiglia Volontari Capitano Ultimo che prevede vari momenti di incontro e confronto a partire dal workshop dal titolo “Modelli di accoglienza e accompagnamento, Vivere senza Psicofarmaci®, Scambio, lavoro, educazione, criminalità: il valore aggiunto della “differenza”” che vedrà l’intervento dei relatori Vincenza Palmieri, Francesco Miraglia, Francesco Morcavallo, Stefania Petrera, Eleonora Grimaldi, Amelia Izzo, Adele Cagnetta, Padre Rovo, i Carabinieri volontari e i Minori stranieri non accompagnati.
 
 
 
Si tratta di un momento importante – spiega l’avvocato Francesco Miraglia del Foro di Modena, che è stato fin dall’inizio uno dei promotori del progetto – che ribadisce la nostra volontà concreta di lavorare attivamente, insieme ad altri gruppi, associazioni, singole persone affinché i diritti dei bambini vengano riconosciuti. Da sei mesi, stiamo portando in giro per l’Italia un messaggio chiaro: i minori vanno tutelati ogni giorno dell’anno e non solo quando i fatti di cronaca ci ricordano che esistono. Essi vanno seguiti, devono poter continuare a vivere in famiglia qualora le loro singole situazioni lo permettano, oppure essere ospitati in case famiglia che effettivamente ne garantiscano la “tutela” e non che li usino come “businness”. I bambini vanno amati, ascoltati e non sottoposti a trattamenti sanitari obbligatori o riempiti di farmaci. Il fatto che anche l’associazione di Capitano Ultimo, o meglio del Colonnello Sergio De Caprio (noto ai più per aver arrestato Totò Riina nel 1993) abbia deciso di sposare questa causa, ci onora e ci conferma che stiamo lavorando nella giusta direzione”.
Una giornata nella quale si alterneranno anche momenti di animazione come lo spettacolo del “Volo del Falco” o ancora quello curato dagli Artisti per i Diritti umani, i laboratori pratici sulla lavorazione del pane, dei dolci, della pasta e dell’artigianato (curati anche dai Richiedenti asilo), il mercatino etnico e l’esibizione del gruppo musicale “Ghost” con Alex e Enrico Magistri.
 
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Collaborazione tra gli avvocati Francesco Miraglia e Ulpiano Morcavallo per garantire la tutela dei minori in Italia e all’estero.

Occuparmi come avvocato di minori e in particolare di adozioni, affidi è sicuramente un’esperienza arricchente che comporta comunque tanto impegno e dedizione. Non si tratta solo di preparare arringhe, di essere convincenti. Dietro a questa tipologia di argomenti si cela un mondo fatto di sentimenti, aspettative, torti, spesso violenza e sofferenza dove protagonisti non sono solo i bambini ma anche le loro famiglie, fatte di genitori e parenti che hanno bisogno di essere sostenuti, rassicurati e soprattutto aiutati a risolvere i problemi e a non perdersi nei cavilli della giustizia, nelle leggi che non si curano molto dell’aspetto “sentimentale”, “umano” che si cela dietro ad ogni loro storia e con la quale ogni giorno mi confronto. Il desiderio di fare qualche cosa di concreto, la fiducia che ho nella “buona” giustizia, la voglia di collaborare con persone che condividano questo mio pensiero mi ha permesso, nei giorni scorsi, di avviare una collaborazione con l’avvocato Ulpiano Morcavallo, ex Giudice della Corte Suprema di Cassazione. Lavorare insieme, per noi, significa non solo continuare ad aiutare coloro che si trovano in difficoltà ma anche fare sì che vengano apportate a livello nazionale ed europeo delle nuove leggi che tutelino i minori e il loro contesto familiare. Un impegno importante che ci siamo presi e che porteremo anche presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo.

Studio Legale Miraglia:

 

Sede di Modena

Tel. +39 059 822698

Fax +39 059 3366455

Cell. +39 388 1053958 ( solo in casi urgenti)

E-mail: info@francescomiraglia.it

E-mail: segreteria.studiomiraglia@gmail.com

PEC: francesco.miraglia@ordineavvmodena.it

Twitter; @miragliainfo

 

Torino: il tribunale schierato contro il minore? Sentenza paradossale che si oppone al diritto del minore alla propria famiglia

Torino: il tribunale schierato contro il minore?
Sentenza paradossale che si oppone al diritto del minore alla propria famiglia

Torino. Solo pochi giorni fa abbiamo commentato una sentenza ineccepibile del tribunale di Trento che aveva restituito i minori alla famiglia garantendo il loro diritto alla propria famiglia sancito dalla legge italiana, dalla Costituzione e dalle Convenzioni internazionali. Ma sembra che a Torino le cose non stiano proprio così.
Vediamo di sintetizzare questa vicenda che vede la Corte d’appello non solo “schierarsi” contro il minore, ma anche contro le parti e lo stesso Pubblico Ministero competente, arrivando persino a disporre “ex novo” un collocamento etero-famigliare del minore, andando ben oltre le proprie competenze. Infatti, anche un ragazzino al primo anno di giurisprudenza sa che una Corte d’appello non può emettere un decreto ex novo, ma deve solo valutare l’operato del tribunale di grado inferiore, in questo caso il Tribunale dei minorenni.
Non ripercorreremo tutta la storia di questo bambino e della sua mamma. Diciamo solo che per dei presunti problemi psichici della mamma e per degli altrettanto presunti disaccordi della stessa con i nonni materni, il bambino viene collocato presso una famiglia a 100 chilometri di distanza (cosa che puzza molto e solleva il sospetto di un tentativo dissimulato di adozione) arrivando persino a proporre la procedura di adottabilità. Grazie all’ottimo lavoro dell’avvocato Miraglia e dei suoi collaboratori la vicenda viene chiarita, tanto che si dichiarava non esservi luogo a provvedere sull’adottabilità del minore. Ed è qui che interviene come una mazzata a ciel sereno la decisione della Corte d’Appello che decide, di sua sponta, l’affidamento etero-familiare, sebbene il Pubblico Ministero, unico legittimato, oltre ai parenti del minore, non aveva formulato alcuna domanda in relazione all’instaurazione di un procedimento di volontaria giurisdizione e, tanto meno, rispetto alla disposizione di un affidamento etero-familiare del minore, limitandosi a richiedere la sospensione del procedimento di adottabilità ai fini dell’acquisizione di nuove valutazioni ed il ripristino della frequentazione tra il minore e la madre.
A questo punto alla madre non restava che rivolgersi alla Cassazione per contestare l’assurda sentenza della Corte di Appello. Il ricorso è stato quindi presentato dagli studi Francesco Miraglia del foro di Modena e Ulpiano Morcavallo del foro di Roma che recentemente hanno iniziato una proficua collaborazione nel settore della giustizia minorile.
E leggendo il ricorso si scorgono delle ulteriori gravi irregolarità a svantaggio del minore di soli 10 anni che ha sempre chiesto di ricongiungersi alla madre, anche secondo quanto riferito in sede di CTU: “Gli affidatari evidenziavano difficoltà a relazionarsi con [il bambino][…] in quanto D. si ribellava fisicamente, contestava apertamente il loro ruolo, richiamava il potere decisionale della madre … D. affermava di stare bene, pur dichiarando di voler tornare […] a vivere con la mamma, concetto ripetuto in più occasioni anche senza essere sollecitato dalla stessa”. Non si capisce quindi perché la Corte di Appello abbia voluto impedire, illegittimamente come illustrato sopra, il ricongiungimento con la madre.
Un’altra irregolarità riscontrata è la violazione del principio del necessario ascolto del minore, sancito da lungo tempo nell’ambito delle convenzioni sovranazionali in materia. Sebbene il bambino abbia meno di 12 anni, risulta dotato di capacità di discernimento, se è vero che delle sue esternazioni e opinioni, esposte in sede di CTU e di osservazione socio-psicologica, si è tenuto decisivo conto al fine di ravvisare la sussistenza di un solido legame affettivo con la madre e i nonni materni – sì da escludersi l’esistenza del presupposto fattuale per la dichiarazione dello stato di adottabilità – nonché con riguardo all’individuazione di asseriti sintomi di disagio riconducibili alla problematica relazione con la madre.
Oltre a non rientrare nelle sue competenze, la decisione della Corte in merito all’affidamento etero-familiare appare addirittura contraria alla legge. Infatti l’affidamento etero-familiare dovrebbe essere soltanto in funzione di sostegno alla famiglia di origine del minore nell’ottica di una progressiva opera di reinserimento dello stesso minore nella famiglia di provenienza, e dovrebbe prevedere condizioni di frequentazione quanto più possibile assidue tra il minore affidato e i familiari di origine per consentire la conservazione degli affetti familiari e agevolare il suo reinserimento nel contesto familiare originario. La previsione di una frequentazione minima tra il minore affidato e i familiari originari (madre e nonni materni, che sono gli unici soggetti ad avere partecipato costantemente al percorso di crescita del minore) si pone in patente contraddizione con la finalità del disposto affidamento etero-familiare, risultando per conseguenza irragionevole e difforme rispetto al dettato normativo.
Ed infine il giudice non sembra aver tenuto in debita considerazione gli elementi fattuali che gli sono stati presentati. Si sottolinea infatti l’inconsistenza degli elementi sorprendentemente valorizzati dalla Corte che, in definitiva, ha basato la propria decisione su un’affrettata e a-tecnica diagnosi di psicopatologia della madre del minore e sulla supposta sussistenza di un rapporto conflittuale tra quest’ultima e i suoi genitori, nonni materni del bambino, i quali invece in ogni momento dell’istruttoria sono risultati coltivare un profondo legame affettivo con il bambino e con la madre. La Corte invece, in questa sede, non ha preso in considerazione gli orientamenti affettivi del minore esplicitati anche verbalmente, cioè l’intenso e indistruttibile amore nei confronti della madre, che però, paradossalmente, sono stati considerati dal giudice di prime cure per escludere la sussistenza dello stato di abbandono morale. Inoltre rileviamo un’assoluta carenza di esame, da parte del giudice di appello, delle risultanze e degli esiti degli incontri tra il minore ed i nonni materni, il cui effetto rasserenante per il minore avrebbe dovuto condurre a un esito di pronto reinserimento del bambino nell’ambito familiare originario e, quantomeno, presso i nonni predetti.
Siamo certi che la Suprema Corte porterà ordine in questo garbuglio giurisdizionale riportando la vicenda sui binari normativi standard e soprattutto restituendo il minore alla sua famiglia come da lui ripetutamente richiesto. A volte basterebbe semplicemente ascoltare il minore. La legge lo impone, ma a volte i giudici, confusi nei freddi e complessi tecnicismi giuridici, non riescono ad applicarla nella sua semplicità.
 
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www.ccdu.org

Il sistema delle case famiglia in Italia

  
Oggi  in Italia ci sono 32.391 bambini che vengono  collocati elle casa-famiglie o dati in affido a un’altra famiglia, spesso per cause non del tutto giustificate. La mappa di questi bambini “collocati fuori la propria famigliai”  registra:
 

  1. Il 14% dei bambini collocati in questi istituti è straniero;
  2. Sono 15.624 i minorenni collocati in case famiglia;
  3. Sono 16.767 quelli dati in affido familiare;
  4. Il 29.3% è il tassi di crescita degli affidi di minori negli ultimi dieci anni;
  5. È di 2 anni la permanenza media di un bambino in questi orfanotrofi privati;
  6. Il 50% circa dei bambini usciti da questi “posti” torna nella famiglia d’origine;
  7. La retta media di un bambino in comunità varia da una Regione all’altra, a seconda anche del tipo di residenza in cui viene collocato il minore. Numerosi esperti concordano su un costo di 200 euro al giorno.

 
Se si pensa che praticamente non esistono controlli e che nella maggior parte dei casi ci troviamo di fronte a personale impreparato e spesso non idoneo al ruolo di educatore, ne deriva quanto sia importante un netto cambiamento in questo campo e quali responsabilità gravino sui Tribunali dei Minorenni.
 
A conclusione di questo piccolo dedicato al business sui “bambini rapiti dai giudici”, ci sembra importante presentare una mappa regionale del collocamento dei 32.391 bambini, che sono cosi suddivisi:
 
–        Lombardia 4.244
 
–        Provincia di Trento 355
 
–        Provincia di Bolzano 313
 
–        Veneto 1.673
 
–        F.V. Giulia: 619
 
–        Emilia Romagna 2.367
 
–        Valle D’Aosta 57
 
–        Marche 667
 
–        Piemonte 2.624
 
–        Umbria 502
 
–        Liguria 1.258
 
–        Abruzzo 541
 
–        Toscana 2.171
 
–        Molise 64
 
–        Lazio 3.923
 
–        Campania 2.820
 
–        Sardegna 772
 
–        Basilicata 232
 
–        Sicilia 2.984
 
–        Puglia 3.193
 
–        Calabria 1.012
 
–        TOTALE 32.391
 
I periodi di permanenza dei minori accolti presentano una differenziazione notevole. Accanto a bambini e ragazzi che sono in accoglienza da pochi giorni, ce ne sono altri che lo sono da anni.
 
Tra i presenti al 31 dicembre 2010:
 

  • Ø il 9,1% è stato accolto negli ultimi 3 mesi;
  • Ø il 23,8% da 3 mesi a 12 mesi esatti;
  • Ø il 19% da 12 mesi a 24 mesi;
  • Ø il 22% da 24 mesi a 48 mesi esatti;
  • Ø il 26% da oltre 48 mesi.

 
 
 
Quasi inversi sono i dati tra i dimessi nel corso del 2010:
 

  • Ø il 28% è stato accolto per meno di 3 mesi;
  • Ø il 27% da 3 mesi a 12 mesi esatti;
  • Ø il 19% da 12 mesi a 24 mesi esatti;
  • Ø il 16% da 24 a 48 mesi esatti;
  • Ø il 10% da oltre 48 mesi.

 
 
 
In generale tra i dimessi nel corso del 2010 si riscontra che:
 
il 34% rientra in famiglia;
 
il 33% cambia accoglienza;
 
l’8% fa vita autonoma;
 
il 7% va in affidamento preadottivo.
 
 
 
A fine 2010 sono presenti 2.844 neo-maggiorenni (18-21 anni), di cui il 36% è straniero.
 
La presenza straniera sul totale dei bambini e dei ragazzi fuori dalla propria famiglia è cresciuta considerevolmente negli anni passando da poco meno del 10% del 1998-1999 al 22% del 2010. In alcune regioni la loro presenza assume una consistenza particolarmente rilevante: Emilia-Romagna (38%), Toscana (35%), Provincia di Trento (31%), Veneto (31%), Marche (31%).
 
È inoltre da segnalare come poco meno del 21% del totale degli stranieri – ovvero circa il 4% del totale dei “fuori famiglia” – sia costituito da minori stranieri non accompagnati (o, meglio, adolescenti stranieri migranti “soli”), di età media 11-13 anni, stimabili in 4.558 unità. Essi rappresentano il 4,4% del totale dei bambini e dei ragazzi fuori dalla famiglia e, come già detto, un consistente 22% del totale degli stranieri presenti nei servizi residenziali familiari e socio-educativi e presso le famiglie affidatarie.
 
Poco meno di 1 bambino su 10 presenta una qualche forma di disabilità certificata. Nel dettaglio:
 

  • Ø il 7% presenta una disabilità psichica;
  • Ø poco più del 2% una disabilità plurima;
  • Ø poco più dell’1% una disabilità fisica;
  • Ø lo 0,4% una disabilità sensoriale.

 
 
 
La distribuzione secondo l’età di inizio dell’accoglienza dei bambini e ragazzi presenti al 31 dicembre 2010 ha un picco nella classe 6-10 anni, mentre la distribuzione dei presenti a fine anno 2010 fotografati alla stessa data presenta un picco in corrispondenza della classe 14-17 come conseguenza diretta delle durate di permanenza in accoglienza.
 
La Convenzione sui Diritti del fanciullo (ONU, 1989)
 
La normativa italiana poggia a sua volta le proprie basi su un testo internazionale di fondamentale importanza. Si tratta della Convenzione sui Diritti del fanciullo che è stata adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York il 20 novembre 1989 ed è stata ratificata dall’Italia, diventando di conseguenza esecutiva, con la Legge n. 176 del 27 maggio 1991.
 
Questo documento basilare affronta il tema dei diritti dei minori e degli strumenti per la loro attuazione da parte di tutti gli Stati sottoscrittori.
 
Già nel preambolo la Convenzione enuncia l’importanza e il significato della famiglia come unità fondamentale della società per un sano, felice ed equilibrato sviluppo del minore:
 
“Rammentando che nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo le Nazioni Unite hanno proclamato che l’infanzia ha diritto ad un aiuto e ad un’assistenza particolari,
 
convinti che la famiglia, unità fondamentale della società ed ambiente naturale per la crescita ed il benessere di tutti i suoi membri ed in particolare dei fanciulli, deve ricevere la protezione e l’assistenza di cui necessita per poter svolgere integralmente il suo ruolo nella collettività,
 
riconoscendo che il fanciullo, ai fini dello sviluppo armonioso e completo della sua personalità, deve crescere in un ambiente familiare in un clima di felicità, di amore e di comprensione,
 
in considerazione del fatto che occorre preparare pienamente il fanciullo ad avere una sua vita individuale nella Società, ed educarlo nello spirito degli ideali proclamati nello Statuto delle Nazioni Unite, in particolare in uno spirito di pace, di dignità, di tolleranza, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà..”.
 
Il documento risulta di significativa importanza perché, come già sottolineato, riconosce il minore come soggetto titolare di diritti e dichiara la necessità che i Paesi sottoscrittori dispongano strumenti in loro tutela.
 
Altro elemento importante è la definizione della famiglia come luogo naturale più idoneo ad accompagnare la crescita del minore assegnando alle istituzioni la responsabilità di garantirne la tutela e di preservare l’esigibilità del diritto di ciascuno a questa.
 
 
 
La legislazione italiana
 
Secondo quanto sancito dall’art. 4 della Convenzione dei Diritti del fanciullo gli Stati parte hanno dovuto adottare tutti i provvedimenti legislativi, amministrativi e quant’altro, necessari a dare attuazione ai diritti da essa riconosciuti. L’Italia ha emanato una serie di leggi che tutelano i diritti dei minori, tra cui:
 
Legge 28 agosto 1997, n. 285
 
Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza
 
Legge 23 dicembre 1997, n. 451
 
Istituzione della Commissione parlamentare per l’infanzia e dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia
 
Legge 3 agosto 1998, n. 269
 
Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia e del turismo sessuale in danno di minori quali nuove forme di schiavitù
 
Legge 25 maggio 2000, n. 148
 
Ratifica ed esecuzione della Convenzione n. 182 relativa alla proibizione del lavoro minorile e alle azioni per la sua eliminazione, nonché della Raccomandazione n. 190 sullo stesso argomento adottata alla Conferenza dell’Organizzazione Generale del Lavoro del 17 giugno 1999, Ginevra
 
Legge 4 aprile 2001, n. 154
 
Misure contro la violenza nelle relazioni familiari
 
Legge 11 marzo 2002, n.46
 
Ratifica ed esecuzione dei protocolli opzionali alla Convenzione dei Diritti del fanciullo, concernenti la vendita e la prostituzione dei minori, la pornografia rappresentante bambini e il coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati, stipulati a New York il 6 settembre 2000
 
Legge del 20 marzo 2003, n. 77
 
Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, stipulata a Strasburgo il 25 gennaio 1996
 
Legge del 28 marzo 2001, n. 149
 
Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”, nonché al titolo VIII del libro primo del Codice Civile
 
Legge del 31 dicembre 1998, n. 476
 
Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la tutela di minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, stipulata a L’Aja il 29 maggio 1993. Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184 in tema di adozione di minori stranieri.
 
 
 
La Legge 149/2001 al Titolo 1 “Diritto del minore alla propria famiglia” art. 1 recita:
 
“Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto”. L’articolo prosegue affermando al comma 3:
 
“Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie competenze, sostengono, con idonei interventi, nel rispetto della loro autonomia e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, i nuclei familiari a rischio al fine di prevenire l’abbandono e di consentire al minore di essere educato nell’ambito della propria famiglia. Essi promuovono altresì iniziative di formazione dell’opinione pubblica sull’affidamento e l’adozione e di sostegno all’attività delle comunità di tipo familiare, organizzano corsi di preparazione ed aggiornamento professionale degli operatori sociali nonché incontri di formazione e preparazione per le famiglie e le persone che intendono avere in affidamento o in adozione minori. I medesimi enti possono stipulare convenzioni con enti o associazioni senza fini di lucro che operano nel campo della tutela dei minori e delle famiglie per la realizzazione delle attività di cui al presente comma”.
 
La Legge procede per altro in modo molto preciso e stabilisce al Titolo 2 art. 2 lettera l che:
 
“Il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli interventi di sostegno e aiuto disposti ai sensi dell’articolo 1, è affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno”. Aggiunge inoltre che per i minori di età inferiore ai 6 anni è possibile l’inserimento solo in comunità di tipo familiare.
 
Ma chi sono questi minori che vengono tolti alle proprie per essere affidati ad estranei?
 
Si tratta, come si sarà già ben compreso, non di orfani o di bambini abbandonati bensì di figli. Figli con i propri padri e le proprie madri che, una volta tolti alle famiglie d’origine, è come se diventassero “orfani con i genitori in vita”.
 
Vediamo adesso nel dettaglio i dati sui minori accolti in relazione ai loro genitori, dati il più eclatante dei quali è sicuramente quello che ci dimostra che quasi tutti i bambini (95%!) in affidamento extra-familiare hanno una famiglia o almeno un genitore. Infatti:
 
 
 

  • Ø solo l’1% è orfano di entrambi i genitori;
  • Ø l’8% è orfano di padre;
  • Ø il 5% è orfano di madre;
  • Ø un 1% è figlio di genitori ignoti (e ha un decreto di adottabilità o è in attesa di averlo);
  • Ø il 4% circa è in una condizione di presunto abbandono;
  • Ø tutti gli altri accolti (81%) hanno una propria famiglia seppur in grave difficoltà.

 
 
 
Inoltre il bambino nella propria famiglia non è solo, essendoci quasi sempre fratelli e sorelle:
 

  • Ø il 63% dei minori accolti ha fratelli o sorelle;
  • Ø ben il 53% ha 1 o più fratelli o sorelle anch’essi accolti e 1 su 4 proviene da nuclei familiari in cui sono stati allontanati almeno 3 bambini.

 
 
 
La casa-famiglia è una “comunità di tipo familiare con sede nelle civili abitazioni” la cui finalità è l’accoglienza non solo di minori ma anche di disabili, anziani, persone affette da AIDS o con problematiche psico-sociali. Le case-famiglia per minori, in particolare, si occupano (può giovare ripeterlo) dell’accoglienza di questi ultimi “per interventi socio-assistenziali ed educativi integrativi o sostitutivi della famiglia”. Si pongono quindi in alternativa agli orfanotrofi (o istituti) in quanto, a differenza di questi, dovrebbero avere alcune caratteristiche che le renderebbero somiglianti ad una famiglia. In una stessa struttura potrebbero essere accolti anche minori con disagi e difficoltà di diverso tipo.
 
I tratti di maggiore affinità con la famiglia sono i seguenti:
 
–        presenza di figure parentali (materna e paterna) che la eleggono a loro famiglia, facendone la propria casa a tutti gli effetti;
 
–        numero ridotto di persone accolte, per garantire che i rapporti interpersonali siano quelli di una famiglia.
 
La casa inoltre deve avere le caratteristiche architettoniche di una comune abitazione familiare, compatibilmente con le norme eventualmente stabilite dalle autorità sanitarie. Deve inoltre essere radicata nel territorio, il che significa che deve usufruire dei servizi locali (negozi, luoghi di svago, istruzione ecc.) e partecipare alla vita sociale della zona.
 
Ma vediamo nel dettaglio la normativa attuale di riferimento. Le case-famiglia sono regolate dal Decreto 21 maggio 2001 n. 308 della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per la Solidarietà Sociale, Regolamento concernente “Requisiti minimi strutturali e organizzativi per l’autorizzazione all’esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale, a norma dell’articolo 11 della legge 8 novembre 2000, n. 328”. Il Decreto fu dunque emanato anch’esso, al pari della Legge n. 149 che disciplina l’adizione e l’affidamento dei minori, al tempo del Governo Amato (25.04.2000-11.06.2001) retto dalla coalizione politica: Ulivo-PDCI-UDEUR-INDIPENDENTI e, ancora una volta, fu firmato dal Ministro per la Solidarietà sociale Livia Turco, con il visto del Guardasigilli Piero Fassino.
 
Esso fu redatto tenendo conto della seguente normativa precedente:
 
–        articolo 17, comma 3, della Legge 28 agosto 1998, n. 400;
 
–        Legge 8 novembre 2000, n. 328, recante “Legge-quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”;
 
–        in particolare gli articoli 9, comma 1, lettera c), e 11, comma 1, della Legge n. 328 del 2000, che prevedono la fissazione dei requisiti minimi strutturali e organizzativi per l’autorizzazione all’esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale;
 
–        articolo 8, comma 3, lettera f), della medesima Legge n. 328 del 2000 che prevede che le regioni, sulla base dei requisiti minimi fissati dallo Stato, definiscano i criteri per l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza delle strutture e dei servizi a gestione pubblica o dei soggetti di cui all’articolo 1, commi 4 e 5;
 
E inoltre:
 
–        sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del Decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281;
 
–        sentiti i Ministri della Sanità e per gli Affari regionali;
 
–        udito il parere della Sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato, espresso nell’adunanza del 9 aprile 2001;
 
–        vista la comunicazione al Presidente del Consiglio dei Ministri n. DAS/232/UL/749 dell’8 maggio 2001, a norma dell’articolo 17, comma 3, della Legge 23 agosto 1988, n. 400.
 
 
 
Il Decreto elenca prima di tutto le strutture in oggetto che, come specificato nell’art. 7, sono le seguenti:
 
a) strutture a carattere comunitario
 
b) strutture a prevalente accoglienza alberghiera
 
c) strutture protette
 
d) strutture a ciclo diurno.
 
Le strutture a carattere comunitario sono caratterizzate da bassa intensità assistenziale, bassa e media complessità personale, priva del necessario supporto familiare o per la quale la permanenza nel nucleo familiare sia temporaneamente o definitivamente contrastante con il piano individualizzato di assistenza.
 
Le strutture a prevalente accoglienza alberghiera sono caratterizzate da bassa intensità assistenziale, media e alta complessità organizzativa in relazione al numero di persone ospitate, destinate ad accogliere anziani autosufficienti o parzialmente non autosufficienti.
 
Le strutture protette sono caratterizzate da media intensità assistenziale, media e alta complessità organizzativa, destinate ad accogliere utenza non autosufficiente. Le strutture a ciclo diurno sono caratterizzate da diverso grado di intensità assistenziale in relazione ai bisogni dell’utenza ospitata e possono trovare collocazione all’interno o in collegamento con una delle tipologie di strutture di cui ai commi precedenti.
 
Oltre ai requisiti indicati agli articoli precedenti, le strutture di cui al presente articolo devono possedere i requisiti indicati nell’allegato A al presente decreto quale parte integrante.
 
Nel loro complesso tali strutture, come previsto dall’art. 2 del Decreto, sono rivolte a:
 
a) minori per interventi socio-assistenziali ed educativi integrativi o sostitutivi della famiglia;
 
b) disabili per interventi socio-assistenziali o socio-sanitari finalizzati al mantenimento e al recupero dei livelli di autonomia della persona e al sostegno della famiglia;
 
c) anziani per interventi socio-assistenziali o socio-sanitari, finalizzati al mantenimento e al recupero delle residue capacità di autonomia della persona e al sostegno della famiglia;
 
d) persone affette da AIDS che necessitano di assistenza continua e risultano prive del necessario supporto familiare o per le quali la permanenza nel nucleo familiare sia temporaneamente o definitivamente impossibile o contrastante con il progetto individuale;
 
e) persone con problematiche psico-sociali che necessitano di assistenza continua e risultano prive del necessario supporto familiare o per le quali la permanenza nel nucleo familiare sia temporaneamente o definitivamente impossibile o contrastante con il progetto individuale.
 
Oggetto e finalità del Decreto è quindi quello – previsto all’articolo 1comma 1 – di fissare “i requisiti minimi strutturali e organizzativi per l’autorizzazione all’esercizio” di tali strutture e dei servizi da loro offerti.
 
Per le comunità familiari con sede nelle civili abitazioni (le cosiddette “case-famiglia”) il Decreto prevede inoltre dei “requisiti specifici”. Le case-famiglia necessitano dunque, ai sensi di legge, di una “doppia garanzia”: quella di base, comune a tutte le strutture, e quella specifica, riferita ad esse soltanto. Esiste, in sintesi, un sistema di “doppia tutela” degli utenti. Ciò significa che la legge era perfettamente consapevole che fosse indispensabile, di conseguenza, anche un “doppio controllo”, essendo “doppi” i rischi e i danni in cui sarebbero potuti incorrere gli utilizzatori di servizi e strutture di casa-famiglia
 
Ma chi è, nel concreto, che deve verificare ed eventualmente integrare i requisiti minimi fissati dalla legge e i requisiti specifici appositamente previsti? Chi è, in poche parole, che deve esercitare codesta “doppia tutela”, assumendo la posizione giuridica di “doppia garanzia”?
 
Sono le Regioni. Lo specifica il c. 2 dell’art. 2: “Ai sensi dell’articolo 11, comma 2, della legge n. 328 del 2000, le regioni recepiscono e integrano, in relazione alle esigenze locali, i requisiti minimi fissati dal presente decreto, individuando, se del caso, le condizioni in base alle quali le strutture sono considerate di nuova istituzione e le modalità e i termini entro cui prevedere, anche in regime di deroga, l’adeguamento ai requisiti per le strutture già operanti”.
 
Sono quindi le singole Regioni che – previa verifica dei requisiti minimi fissati dalla legge nazionale – devono controllare di propria iniziativa e sotto la propria responsabilità le case-famiglia già esistenti e autorizzare l’eventuale apertura delle nuove. Le case-famiglia per minori, infatti, devono soddisfare anche requisiti organizzativi, in questo caso non “standard” ma stabiliti dalle singole Regioni di appartenenza.
 
Ciò viene ulteriormente specificato negli artt. 3 e 4. Nell’art. 3 (“Strutture di tipo familiare e comunità di accoglienza di minori”) si precisa che “le comunità di tipo familiare (…) accolgono fino ad un massimo di sei utenti (…) minori o adolescenti (…)” e “devono possedere i requisiti strutturali previsti per gli alloggi destinati a civile abitazione”. Lo stesso art. 3 precisa però che “per le comunità che accolgono minori, gli specifici requisiti organizzativi, adeguati alle necessità educativo-assistenziali dei bambini e degli adolescenti, sono stabiliti dalle Regioni”. E, fra i criteri organizzativi, le Regioni possono stabilire anche accorpamenti tra più comunità.
 
È proprio vero, però, che sono le Regioni a verificare ogni singola casa-famiglia? Niente affatto… perché a verificare, a decidere, ad autorizzare sono i Comuni.
 
 
 
 
 

Avv. Francesco Miraglia

 

Mai più un bambino

Non ci si può occupare di minori e non avere fretta, urgenza, guardare al tempo come alla condanna peggiore. Per questa ragione nasce MAI PIÙ UN BAMBINO: perché abbiamo bisogno di arrivare prima di un adulto abusante, prima di una perizia, prima di una sentenza, di una riforma, di una “volante”.
Abbiamo bisogno di arrivare prima, abbiamo bisogno che tra la richiesta di aiuto e l’aiuto offerto non ci sia nessun tempo…perché noi abbiamo fretta per il silenzio agghiacciante di questi bambini abusati. Non c’è alcuna differenza che siano i nostri figli o i figli di qualcun altro. Tutti i bambini del mondo sono figli nostri! E abbiamo il dovere di rispondere anche a loro: “Sono qua”.
 
“Spostare un bambino dalla famiglia a quant’altro rende: rende dal punto di vista narcisistico della propria professione, rende dal punto di vista di giustificare se stessi e il proprio ruolo e qualche volta, ma purtroppo non solo qualche volta, rende dal punto di vista del potere,  del ricatto e anche a livello economico e addirittura politico. In un periodo in cui psicologi, assistenti sociali, sociologi hanno poca possibilità di avere un posto di lavoro, il creare una casa famiglia o un piccolo istituto significare dare posti di lavoro e quindi avere un grosso potere politico”.
“70 bambini all’anno ricevono un trattamento sanitario obbligatorio e 6.000 vengono ricoverati nei reparti di psichiatria. Nel 20120 i minorenni accolti temporaneamente presso i servizi residenziali familiari e socio-educativi e le famiglie affidatarie sono stati 29.309”. (Francesco Miraglia)

L’Onorevole Alessandra Mussolini convoca a Roma la famiglia Camparini e il loro avvocato Francesco Miraglia

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Anna Giulia, i genitori in Parlamento

 

 

Il deputato Alessandra Mussolini ha convocato giovedì 15 novembre la famiglia e il loro avvocato in Commissione parlamentare per l’infanzia

 

Massimiliano Camparini e Gilda Fontana, i genitori di Anna GiuliaMassimiliano Camparini e Gilda Fontana, i genitori di Anna Giulia

REGGIO EMILIA – Il deputato Alessandra Mussolini ha convocato giovedì 15 novembre a Roma la famiglia Camparini e il loro avvocato, Francesco Miraglia, per approfondire la loro vicenda/caso di malagiustizia che, come si ricorderà, ha come protagonista una bambina emiliana, che oggi ha 7 anni, e i suoi genitori. Scrive l’avvocato Francesco Miraglia, difensore della famiglia Camparini: “Una vicenda ricca di colpi di scena, diritti minorili violati, dolore, amarezza, gesti estremi e che, dopo essere approdata nelle aule di tribunale e in televisione, suscita ora l’attenzione della Commissione parlamentare per l’Infanzia ed in particolare di uno dei suoi componenti, Alessandra Mussolini”.
“Da questo caso – spiega l’avvocato Francesco Miraglia del foro di Modena – si evince chiaramente come spesso vi siano delle gravi disfunzionalità all’interno dei tribunali minorili italiani. Una situazione che va sicuramente denunciata in quanto la malaprassi  spesso destabilizza e può distruggere interi nuclei familiari e lasciare sui minorenni segni incancellabili, come lo dimostra, ahimè, questa storia. Una situazione quella dei miei assistiti insostenibile: da oltre due anni non vedono e non hanno alcuna notizia della loro figlia. In appello è stata loro confermata la sentenza di primo grado con l’accusa di sequestro di persona con l’aggravante della parentela. Procederemo a fare ricorso in Cassazione, mentre per quel che riguarda l’adottabilità della piccola, il procedimento è ancora aperto e stiamo aspettando che venga fissata l’udienza davanti alla Suprema Corte”.

I genitori di Anna Giulia durante una puntata di "Chi l'ha visto?"

I genitori di Anna Giulia durante una puntata di “Chi l’ha visto?”
La storia dei coniugi Camparini e della loro bambina inizia nel 2007, quando il pubblico ministero di Reggio Emilia, Maria Rita Pantani, chiede che venga perquisita la loro abitazione. Si cercano prove su un traffico di sostanze stupefacenti. In casa non viene trovato nulla, ma la presenza della piccola A.G., che allora ha due anni, porta i carabinieri a inviare una informativa al Tribunale dei Minori di Bologna. In questa circostanza, le forze dell’ordine segnalano un “presunto stato fatiscente dell’abitazione”.
“A questo punto – spiega l’avvocato Francesco Miraglia – intervengono i servizi sociali che confermano lo stato inadeguato dell’abitazione ma sicuramente senza effettuare effettivamente un sopralluogo in quanto, in realtà, la famiglia Camparini vive in una villetta con un bel giardino”.
La procedura va avanti d’ufficio, non vengono effettuati ulteriori controlli né sull’abitazione né tantomeno sui genitori della piccola A.G. Poi, il primo colpo di scena. Il 23 giugno 2008, il Tribunale di Bologna stabilisce che A.G. debba essere collocata in un Istituto.
La bambina entra così in Istituto dove vede regolarmente i genitori. Incontri che avvengono sotto l’osservazione dei servizi sociali di Reggio Emilia. Il referente dei suddetti servizi afferma che la bambina deve tornare subito con i genitori. Di parere opposto invece il giudice minorile di Bologna.
La situazione per mamma e papà Camparini si complica quando questi ultimi vengono a sapere che la loro figlia potrebbe essere affidata. Spinti dalla disperazione, nel marzo del 2010, decidono di portare via A.G. dall’Istituto di suore nel quale si trova e denunciano la loro storia ai media (la notizia, tra l’altro, viene ripresa anche dalla trasmissione “Chi l’ha visto” di Rai 3). Un gesto che essi definiscono “dimostrativo” e che li spinge, dopo cinque giorni, a riconsegnare alle autorità competenti la bambina. A questo punto i Camparini vengono indagati per sottrazione di minore ma restano fuori dal carcere. Il Tribunale per i Minorenni di Bologna chiede che vengano fatti ulteriori accertamenti tecnici sui genitori, che questa volta, sentendosi braccati e temendo di non vedere più la loro piccola, decidono di scappare verso la Svizzera con la loro figlia. E’ il 16 luglio 2010. Una fuga che non porta buoni frutti. Massimiliano Camparini e Gilda Fontana, infatti, vengono arrestati e portati in carcere con l’accusa, questa volta, di sequestro di minore con l’aggravante della parentela. Qui resteranno sette mesi. E la piccola A.G.? Viene nuovamente portata in Istituto.

Vivere senza psicofarmaci: è nato il comitato etico multidisciplinare

 

VIVERE SENZA PSICOFARMACI E’ POSSIBILE

 
Vivere senza psicofarmaci è possibile. Questo quanto sostengono un gruppo di professori e ricercatori italiani, guidati dalla Professoressa Vincenza Palmieri, presidente dell’Istituto Nazionale di Pedagogia familiare, che dal 2004 ha applicato, prima a Catania poi a Roma, il programma “Vivere senza psicofarmaci”. Un progetto la cui validità ed efficacia è data dagli importanti risultati raggiunti nel corso degli anni su giovani pazienti e adulti provenienti dall’Italia, dal Nord Europa e dagli Stati Uniti.
Un programma quindi innovativo quello di “Vivere senza psicofarmaci” che segue un iter specifico come ci spiega la stessa Professoressa Palmieri:  “Si tratta di un progetto semplice nella sua applicazione in quanto la dismissione degli psicofarmaci è solo l’ultimo gradino di un percorso più ampio che si attua sul paziente, sulla sua famiglia e sul contesto ambientale nel quale la persona è inserita. Tra gli aspetti innovativi vanno sicuramente ricordati la possibilità per l’utente di poter essere ricoverato presso il proprio domicilio e di poter disporre di una formazione specifica che coinvolge i genitori e i parenti nella fase di svezzamento e di aiuto alla persona. Visti i traguardi raggiunti, ora puntiamo a far sì che il Programma esca dal nostro Istituto e si applichi, attraverso uno specifico protocollo, nella Sanità Pubblica e che i risultati ottenuti siano estesi alla comunità scientifica e sanitaria anche perché, ci tengo a sottolinearlo, questo progetto va nella direzione, intrapresa dal Governo, della standing review e della riduzione della spesa farmaceutica”.
Risultati che sono stati presentati lo scorso 7 luglio in concomitanza alla formalizzazione del Comitato Etico Multidisciplinare e che ha visto anche la partecipazione dell’onorevole Antonio Guidi che ha sottolineato: “Ritengo che un approccio senza psicofarmaci nell’infanzia sia una buona prassi di civiltà.  Si tratta di un metodo rivoluzionario quello proposto da questo Progetto ben consci di quanto spesso sia più facile ingoiare una pillola che mettersi  in discussione o prendere delle gocce piuttosto che creare delle dinamiche positive”.
Il Programma “Vivere senza psicofarmaci” si avvale di uno specifico Comitato Etico Multidisciplinare che rappresenta un vero e proprio organo di garanzia, di approccio scientifico e di multidisciplinarietà alla materia e il cui fine è anche quello di permettere l’estensione sociale del Progetto. Il gruppo di lavoro è costituito da  esperti quali:la Prof.ssa Vincenza Palmieri, l’On. Antonio Guidi, già Ministro della Famiglia e Sottosegretario alla Sanità,  il  Prof. Giuseppe Gulino, epidemiologo, Professore presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Torino e Direttore sanitario dell’azienda ospedaliera Als Torino4, il Dott. Giovanni Cozzula,  consulente igienico sanitario di Torino, la Dott.ssa Benedetta Massa, medico odontoiatra di Roma, il Dott. Antonio Spadaro, specialista in Neurologia e Neurochirurgia di Roma, il Dott. Massimo Lucchetti,cardiologo, Primario presso la  casa di Cura Villa Pia di Roma, l’Avvocato penalista e dei Minori  Eleonora Grimaldi, la Dott.ssa Tiziana Mandarino, medico di base di Roma – Testaccio,  l’avvocato penalista Francesco Miraglia esperto in diritto di famiglia e diritto minorile del Foro di Modena, il Dott. Pier Bonici, Formatore, il Dott. Gepi Prete, Medico Chirurgo.
Nei prossimi mesi il Comitato lavorerà attivamente per tutelare da una parte i bambini che sono sempre più oggetto di attenzione da parte delle case farmaceutiche e i giovani spesso vittime della doppia diagnosi psichiatrica, dall’altra per contrastare qualsiasi forma di abuso psichiatrico sui minori, compresi quelli ricoverati presso le Case Famiglia, sulle donne e su tutti coloro che sono vittime di informazioni sbagliate e di inganni terapeutici.Il tutto mentre pone in essere un intenso programma che vedrà la sua realizzazione sin dai primi giorni di settembre.
 
 
Ecco il link al video:
http://www.youtube.com/watch?v=SD5_gb_p3M0&feature=youtu.be
 
 

Roma; il salotto letterario; Ridateci i Nostri Figli.

 
Presentazione del libro”Ridateci i nostri figli” di Nunzia Manicardi e Francesco Miraglia.
  Ancora una volta Nunzia Manicardi affronta con grande tempismo e decisione uno dei temi di più scottante e cruda attualità: quello dei bambini sottratti “senza giusta causa” e “senza giusto motivo” alle proprie famiglie per decisione del Tribunale dei Minorenni.In “RIDATECI I NOSTRI FIGLI! Storie di bambini sottratti alle famiglie raccontate dal loro avvocato FRANCESCO MIRAGLIA” la scrittrice modenese analizza gli inquietanti motivi (o, meglio, “non motivi””) di scelte così devastanti e lo fa innanzitutto raccontando alcuni casi giudiziari trattati dall’avvocato Francesco Miraglia. Casi drammatici e ancora irrisolti che hanno tenuto impegnata per mesi e mesi la cronaca nazionale diventando lo specchio spietato di una situazione assurda. Primo fra tutti quello della piccola Anna Giulia Camparini di Reggio Emilia, che senza il suo intervento sarebbe stata già da tempo data in adozione dopo che i genitori disperati per ben due volte l’avevano “rapita” dall’istituto di religiose a cui era stata consegnata per volontà giudiziaria nonostante l’assoluta assenza di riscontri negativi a loro carico.“Situazioni pregiudizievoli”, “incapacità genitoriale”, “assenza di una rete genitoriale adeguata”, “problematiche sanitarie”, “altre situazioni pregiudizievoli per il minore”… Questi, come ben sintetizza la Manicardi, sono i “non motivi” contro i quali l’avvocato Miraglia si sta battendo in tutta Italia: una serie immensa di casistiche tutte definite da giudizi soggettivi, non sorretti da dati o fattori certi e documentati.
 
 

Minorenni e Facebook: insidia o risorsa?

Modena 4 maggio 2012 

Indubbiamente internet è una grande potenzialità conoscitiva per i ragazzi. Il Ministro Profumo, addirittura, propone di finirla con le traduzioni di latino a casa e invece di incrementare le abilità di utilizzo della rete per trovare li risorse conoscitive crescenti, magari lavorando in gruppo.

Però internet può diventare una insidia, come la cronaca ci insegna, con tanti casi di adescamento di minorenni via chat, e non solo nelle città del nord, anche vicino a casa nostra.
Il copione è sempre lo stesso: la presa viene inizialmente adescata sui social network, dove ci si scambiano foto e video sempre più provocanti; poi il carnefice, pena la diffusione del materiale compromettente, ricatta la vittima, costringendola a spingersi oltre, prima via webcam e poi dal vivo; quasi sempre protagonisti sono minorenni, i ragazzi e le ragazze hanno spesso paura che i propri genitori scoprano quanto stia loro succedendo e sottostanno agli abusi degli adescatori senza scrupoli.
E’ successo a Cerignola dove la vittima, una tredicenne della stessa età di tre dei suoi cinque aguzzini, è stata sequestrata e violentata. Di   RECENTE ANCHE A Frascati una 17 enne è stata adescata da uno studente universitario che l’aspettava in un bagno pubblico, per fortuna la ragazzina e i genitori ci hanno mandato i carabinieri, che lo hanno arrestato per tentata violenza sessuale e violenza provata ai danni di una minorenne.
A Como è stato arrestato  il 31 enne ex allenatore di calcio accusato di violenza sessuale  nei confronti di due giovani calciatori: i contatti venivano soprattutto via Facebook, con approcci abbastanza espliciti nelle chat in cui tra l’altro l’uomo, concluso il contatto chiedeva di cancellare sempre la cronologia.
Secondo Eurispe- Telefono Azzurro  il 14% dei ragazzi si è imbattuto in contenuti  contesti potenzialmente pericolosi, il 12% dichiara di esserne stato turbato. Pornografia, bullismo, sexting (messaggi  immagini a sfondo sessuale inviati da coetanei), incontri offline con persone conosciute online, contenuti inneggianti anoressia, odio, droghe, suicidio, internet addicction, riguardano una fetta altissima del campione. Dal 2001 la polizia postale ha chiuso 177 siti web con contenuti pedopornografici, l’11 per cento dei minori ha dichiarato di aver avuto contatti con pedofili, o con persone sospette, durante la navigazione in Rete. Il 25 per cento degli utenti on line ha inoltre subito un tentativo di accesso non autorizzato alle proprie informazioni. Su Facebook, pur di avere  più amici possibile, i ragazzi dichiarano di proporsi a sconosciuti. Le ragazze sono le più assidue frequentatrici, alla ricerca di amici sconosciuti.
Quale l’approccio corretto alla questione da parte degli educatori e dei genitori? Innanzitutto non servono atteggiamenti allarmistici che rischiano solo di amplificare la potenzialità mitologica della rete e di Facebook. Occorre parlarne, parlare con gli esperti e soprattutto prendere in seria considerazione la cosiddetta media education che deve diventare una priorità dei percorsi formativi della scuola italiana. Per questo la società Italiana di pediatria ha promosso un manifesto per un uso positivo e sicuro del web, una serie di “proposte concrete” da sottoporre a governanti ed educatori. Tra queste, rendere la banda larga disponibile ovunque, mettere una lavagna interattiva multimediale in ogni classe, integrare i materiali didattici con gli e-book, avvicinare i bambini all’uso del pc fin dalle elementari, promuovere la formazione sulle nuove tecnologie di insegnanti e genitori, favorire le lezioni sul web. Ossia, direzionare la curiosità dei bambini sulle risorse della rete, e distoglierla da quelle inutili, che sono poi anche quelle destrutturanti ed insidiose.
Bisogna organizzare secondo un mio parere un apposito servizi di consulenza gratuita per associazioni e singoli sulla media education e sull’uso corretto di internet, con pedagogisti, psicologi e sociologi che organizzeranno incontri formativi e colloqui singoli.