Roma: mamma sinti tredicenne potrà riavere la bambina
La Corte d’Appello annulla la sentenza di adottabilità
ROMA (24 ottobre 2024). Sentenza annullata: la tredicenne sinti potrà riavere la sua bimba, che le era stata tolta appena nata per essere dichiarata adottabile. La Corte di Appello di Roma ha accolto il ricorso presentato dalla famiglia della ragazzina, tramite l’avvocato Miraglia: nessuno era stato informato della dichiarazione di adottabilità della piccola e soprattutto alla giovane mamma non è stata offerta la possibilità – prevista per legge – di riconoscere la figlia, una volta raggiunti i 16 anni di età.
«Una bella vittoria – dichiara l’avvocato Miraglia, che annuncia –: abbiamo denunciato l’assistente sociale e il giudice relatore al tribunale di Perugia, auspicando che il gip li rinvii a giudizio, in quanto è ormai chiaro, e sancito anche dalla sentenza d’appello, che hanno palesemente violato la legge».
La vicenda risale al 2023, quando la giovane mamma tredicenne era ancora incinta della sua bambina. Gli assistenti sociali la spediscono a vivere in una casa famiglia fino al momento del parto, avvenuto a maggio, dopo il quale non le viene data la possibilità di stare con la figlioletta se non per una manciata di giorni. Con l’ inganno, fingendo di portarla a fare una visita di controllo, affidano la neonata a una famiglia. Nel frattempo, con una celerità inusuale – 28 giorni appena – il Tribunale per i Minorenni di Roma emana la sentenza di adottabilità della bambina, adducendo un presunto “stato di abbandono” della piccola.
In realtà la neo mamma ha attorno a sé l’intero nucleo familiare che la supporta, ma soprattutto accade qualcosa di contrario ad ogni principio legislativo: in pieno spregio della legge 184/83 alla mamma non viene concessa la possibilità di poter attendere i 16 anni per riconoscere la figlia. E per giunta a nessuno dei familiari è stato comunicato l’avvio del procedimento di adottabilità. La ragazza invece avrebbe dovuto mantenere la bimba con sé in seno alla sua famiglia, fino al compimento di 16 anni e poi diventarne madre a tutti gli effetti.
Sulla base di queste aperte violazioni della legge, all’udienza della Corte d’Appello, svoltasi lo scorso 17 settembre, i giudici hanno accolto il ricorso, dichiarando la nullità della sentenza di adottabilità del Tribunale per i Minorenni di Roma, confermando però il collocamento della bimba presso la famiglia affidataria, per non causarle dei traumi, fintantoché non si compia il processo di graduale avvicinamento della piccola alla madre naturale e possano stare finalmente insieme.
Questa vicenda solleva una questione ancora più ampia: il problema della giustizia non riguarda solo i grandi casi , ma anche le persone comuni, spesso appartenenti alle fasce più deboli della società. In questo caso specifico, i giudici e gli operatori coinvolti sembrano aver agito con una grave negligenza. Se ignoravano le norme, si tratta di una questione di incompetenza, ma se, al contrario, erano pienamente consapevoli delle leggi e hanno scelto deliberatamente di non applicarle, ci troviamo di fronte a un problema ancora più preoccupante. Questo atteggiamento potrebbe addirittura far pensare che tali violazioni siano avvenute perché la vicenda riguarda una famiglia Sinti? È un interrogativo scomodo, ma che merita di essere posto, perché il diritto deve essere uguale per tutti, indipendentemente dall’origine etnica o sociale.