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Ragazzino di Perugia reso orfano della mamma

L’avvocato Miraglia: «Qualcuno intervenga prima che per questo bambino sia troppo tardi». Il sindaco ad oggi ha ignorato ogni accorato appello
 
PERUGIA (30 Aprile 2020). A volte i provvedimenti assunti dai Tribunali dei minorenni risultano incomprensibili: invocano la tutela dei minori, ma senza tenere in realtà in considerazione lo stato di salute psicofisico dei bambini, la loro incolumità, i campanelli d’allarme che lanciano, ignorando persino le consulenze tecniche da loro stessi richieste. Come è accaduto a un ragazzino dodicenne di Perugia, che il Tribunale ha affidato al padre, persona chiaramente disturbata dal punto di vista psichiatrico. La decisione sarebbe stata assunta “per il bene del bambino”. «Ma quale bene, se lo hanno affidato a un padre chiaramente disturbato, come dimostrato dalla consulenza tecnica richiesta dal tribunale stesso» dichiara l’avvocato Francesco Miraglia, al quale la mamma del ragazzino, disperata, si è rivolta, per cercare di salvare suo figlio. La donna non lo vede né lo sente da due anni e a nulla sono valse le istanze al tribunale e persino l’aver scritto direttamente al sindaco di Perugia, per tentare di risolvere la situazione, che potrebbe diventare drammatica. Il tribunale di Perugia, che avrebbe dovuto intervenire nell’interesse del bambino e proteggerlo, di fatto lo ha abbandonato a se stesso, costringendolo a casa del padre, genitore violento ed abusante, mentre la mamma è stata allontanata senza un motivo, perché “si impone il rispetto della volontà del minore”, come recita il decreto: ma il bambino, all’epoca decenne, che volontà autodeterminante cosciente e consapevole avrà mai potuto esprimere? Inoltre, nonostante il giudice abbia sospeso l’esercizio della responsabilità genitoriale di entrambi i genitori e abbia nominato un tutore, alla fine però ha lasciato il ragazzino con il padre, mentre la madre è stata allontanata completamente dalla sua vita, impossibilitata ad avere ogni forma di contatto visivo e fisico con lui, impedita pure a sentirlo telefonicamente. Per sapere come sta deve scrivere al tutore, che laconicamente liquida le sue domande con un “sta bene”. Nessun percorso è stato avviato per far riprendere i rapporti tra il ragazzo e sua madre, nessun provvedimento è stato posto in essere per ricomporre la situazione. Nulla.
La donna si è rivolta quindi al sindaco di Perugia, per chiedere di sbloccare questa vicenda, che ha reso orfano di madre un ragazzino che la mamma invece ce l’ha e gli vuole pure tanto bene. Ma la risposta del sindaco non è mai arrivata, il primo cittadino non si è degnato di rispondere. «Nessun pare avere a cuore la vicenda di questa madre e soprattutto di questo ragazzo» prosegue l’avvocato Miraglia. «La condizione in cui vive è talmente grave, che ha cominciato a manifestare segni di comportamenti psicotici lui stesso ed è pertanto necessario innanzitutto toglierlo al padre e fargli riprendere i rapporti con la madre, prima che sia troppo tardi. In questa vicenda, oltre a negare i propri diritti a un genitore, si è trascurato il benessere del ragazzino, che dovrebbe essere invece il fine primo di ogni decisione assunta da un Tribunale dei Minorenni. Che invece in questa vicenda ha agito come se il minore non esistesse, non fosse una persona, non avesse dei sentimenti. Ignorando persino i molteplici segnali di malessere che sta lanciando. Ma nell’interesse di chi il tribunale sta operando? Non certo quello di questo ragazzino».

La sorellina affidata ai nonni, il fratellino per Tribunale per i Minorenni di Venezia deve andare in adozione  

VENEZIA (5 Ottobre 2019). Una giovane madre che cerca di rimettersi in carreggiata dopo alcuni errori commessi in gioventù. La donna va aiutata ed è giusto che i suoi bambini, nel loro interesse, vengano affidati a chi possa occuparsi di loro in maniera adeguata. Nulla da eccepire. Però perché la figlia maggiore può stare con i nonni materni, mentre il figlioletto più piccolo è stato dato in affidamento ad estranei e ora addirittura dichiarato adottabile? Sulla base di una consulenza redatta da un perito che invita addirittura a troncare i rapporti del piccolo con la famiglia di origine, quasi a volergli “resettare” la memoria, cancellandone l’identità. Perché? «Ce lo domandiamo pure noi e infatti con i genitori, i nonni materni e paterni e le zie siamo ricorsi alla Corte d’Appello di Venezia» spiega l’avvocato Francesco Miraglia, cui l’intero nucleo familiare si è rivolto, per contrastare la decisione assunta dal Tribunale dei minorenni veneziano. «Perché nonostante il bambino abbia una vasta e affidabile famiglia, viene affidato ad estranei che, pare, ricevano mille euro al mese per prendersene cura? I provvedimenti dei Tribunali dei minorenni devono tenere in considerazione il benessere dei bambini, salvaguardando per quanto possibile i loro rapporti con la famiglia di origine, affidandoli in primis ai parenti. E questo bambino ha nonni sia materni che paterni e zie amorevoli cui poteva venire affidato. A maggior ragione per il fatto che già la sorella maggiore vive con i nonni  materni , che lui stesso frequenta e con i quali ha istaurato un ottimo e affettuoso rapporto. A tal punto che la famiglia affidataria quando è andata in vacanza lo ha lasciato ai nonni. Perché allora devono essere buoni per una nipotina e per l’altro no? Ma ancora più insensato è il suggerimento del consulente tecnico della Corte di appello, noto professionista padovanoc,  secondo il quale il bambino deve essere dato in  adozione, addirittura tagliando totalmente i ponti con la famiglia, invece di garantirgli un supporto nell’ottica di farlo rientrare poi in senso al proprio nucleo familiare. A parte l’assurdità del provvedimento suggerito dal consulente, ci domandiamo perché dei nonni possano essere buoni per allevare una nipotina e non il suo fratellino, togliendo a quest’ultimo il diritto di vivere nella propria famiglia, come previsto, peraltro, dalla legge».

Altro clamoroso caso riconducibile all’inchiesta "Angeli e Demoni"

La psicologa Valeria Donati ha adottato una bambina dopo essere stata allontanata dalla mamma e dopo averla “accusata” di aver fatto prostituire le figlie.

REGGIO EMILIA (9 luglio 2019).  domani a “Chi l’ha Visto” un altro clamoroso caso che di diritto entra nell’inchiesta “Angeli e demoni”. La citata inchiesta ha scoperchiato il  vaso di Pandora e tra i tutti i mali che ne sono usciti continuano ad emergere storie di soprusi, ingiustizie e interessi ai danni di famiglie fragili, sempre con l’intento di allontanare i bambini da casa e farli adottare a persone vicine e amiche. Questo caso, a dir poco clamoroso, risale al 2006 e riguarda  la psicologa Dott.ssa Valeria Donati: dopo aver tolto a una donna marocchina le figlie, accusando la stessa di averle abusate e di averle fatte prostituire, ha adottato lei stessa, single,  una delle bambine. «L’altra sarebbe stata, guarda caso, adottata da una famiglia che abita a due isolati di distanza da lei» rivela l’avvocato Francesco Miraglia, che ha accolto questo ennesimo caso.

Anche questa storia grida giustizia: inizia nel 2006, allorché una donna di origine marocchina, sposata a un uomo italiano, arriva al pronto soccorso con le sue bambine (avute da un precedente matrimonio con un uomo tunisino) di 8 e 5 anni. Il marito le ha picchiate e i medici riscontrano nella più grande dei segni sul collo, alla piccina delle ecchimosi alla fronte e a un ginocchio. Trattandosi di bambine maltrattate, i medici sono scrupolosi e controllano anche altro: la cartella clinica riporta per entrambe “genitali intatti”. Una dicitura importantissima, alla luce dell’incubo in cui cadrà successivamente questa donna.

Le figlie le vengono tolte e alloggiate la più grande presso una famiglia, la piccola nella comunità Cenacolo francescano. La madre chiede di riaverle con sé e quando diventa insistente (siamo nel 2009) l’assistente sociale del Comune di Reggio Emilia e la Dott.ssa Valeria Donati boccano tutto, sospendono gli incontri protetti madre e figlie asserendo all’Autorità giudiziaria che le bambine avevano paura di incontrare la mamma e che addirittura, le stesse, avrebbero riferito che la mamma le costringeva a prostituirsi.

«Dopo quattro anni?» sottolinea l’avvocato Miraglia, «se lo sono ricordato dopo quattro anni? Ma se alla visita del 2006 era risultato che non avessero lesioni riconducibili ad abusi di natura sessuale! E fino a quando la mamma non aveva richiesto con forza il rientro delle figlie a casa, nessuno ha mai parlato o fatto riferimento ad abusi sessuali o ad altri abusi». Successivamente, nel 2010, un medico legale, addirittura e solo attraverso dei ragionamenti logici, sosteneva che probabilmente le bambine erano state oggetto di abusi sessuali. Di fatto, confermava la versione della Dott.ssa Donati e dell’assistente sociale. Tutto si conclude con una condanna da scontare,  a carico di questa mamma, di anni 6 e mesi 8 di reclusione.

Ma ancora più clamoroso è il proseguo della vicenda. Innanzitutto la bambina più piccola viene adottata dalla psicologa Donati che, dopo aver “accusato” la madre, ha pure gestito il caso. La maggiore sarebbe stata adottata, invece, da una coppia che abita a pochi metri di distanza dalla residenza della psicologa. Ma entrambe le adozioni sono state decretate pur avendo le bambine un padre, che non è mai stato contattato e messo al corrente della loro adottabilità. Anzi, nel momento in cui, venutone e conoscenza, si è appellato chiedendo di annullare le adozioni, la sua richiesta è stata respinta. «Siamo di fronte a una serie di abusi verso questi genitori e di palesi, conclamate irregolarità, che hanno dell’incredibile» conclude l’avvocato Miraglia.

Alla luce di quanto sta emergendo dall’inchiesta, sarà adita immediatamente l’autorità giudiziaria, non solo per chiedere la revocatoria della sua condanna penale, ma anche per fare chiarezza su eventuali intrecci, connivenze e conflitti di interessi tra assistenti sociali, coordinatrice, CAB, Cenacolo Francescano e Tribunale per i Minorenni.

 

A 3 anni tolto a chi  l'ha cresciuto «Così  si abitua all'adozione»

14.12.2018

Forse, non è stata la festa magica che hanno avuto i suoi «fratelli piovuti dal cielo», quelli con cui ha vissuto dai suoi 8 mesi fino a quando il Tribunale dei minori di Venezia, in ottobre, ha messo sulla sua vita il timbro di «bambino in stato di adottabilità». Marco (nome di fantasia) ha solo 3 anni ed è già un numero: per i giudici lagunari è il «caso» 118 del 2018.
È di Verona e anche in Comune, così come all’Ulss 9, c’è un fascicolo a suo nome gonfio di carte. E’ nato da una ventenne con seri problemi di salute a cui i giudici hanno sospeso ancora nel 2016 la «responsabilità genitoriale» in quanto incapace di occuparsi del figlio (inesistente pure il papà che non l’ha riconosciuto ed è scappato appena nato). Ha due nonni materni (ancora giovani, under 60, e quindi con un’età compatibile per crescere il nipote), uniche figure positive nella sua già difficile vita: due mesi fa le assistenti sociali hanno avviato l’iter concluso in modo drammatico, con la sentenza di adottabilità del piccolo.
«Doveva andare diversamente e invece è stato un incubo», si disperano i familairi del piccolo Marco attraverso il loro avvocato, Francesco Miraglia di Roma, «abbiamo presentato ricorso in appello a Venezia, a gennaio ci sarà l’udienza, intanto ce l’hanno portato via perchè, hanno detto, si deve abituare al distacco. Ma scherziamo? Ma si gioca così con i bambini? Non è orfano, ha una mamma che si sta curando per tornare prima o poi ad occuparsi di lui e, non dovesse farcela, ci siamo noi, i suoi nonni, che non chiediamo altro che averlo in affido». Poi, l’urlo disperato: «Vogliamo assolutamente riabbracciare il nostro nipotino, vogliamo crescerlo e fargli capire che una famiglia ce l’ha, chi può pensare che sia più felice con degli estranei che con noi, che sia meglio per lui fare il Natale in Comunità che in casa tra i suoi affetti, i suoi giochi, le sue abitudini? Ma cosa costava lasciarlo tranquillo, povero bambino, almeno sotto le feste e aspettare il ricorso di gennaio? Ci sono i suoi regali di Santa Lucia ad aspettarlo in salotto, e anche quelli del 25 dicembre, glieli daremo, deve essere per forza così…». La storia di Marco è complicata. Attraverso un tira-molla durato mesi passato attraverso varie fasi – dalla giovane mamma giudicata «inadeguata» nel ruolo genitoriale, al collocamento nella famiglia disponibile ad accudirlo fino a soluzione dello stato di emergenza, dai nonni che hanno chiesto al Tribunale di essere scelti come affidatari del nipote fino invece alla nomina di un tutore legale – il risultato è che Marco è rimasto «da solo», a tre anni, schiacciato dalla sentenza numero 118 del 2018: è in Comunità, da alcuni giorni ormai, in attesa di adozione.
Ieri, la grande festa dei giocattoli di Santa Lucia, se l’è passata lì, in mezzo ad altri «casi» come il suo: via dalla sua casa, dai suoi tre fratellini «affidatari» e da quelli che ha imparato a chiamare «mamma e papà», senza i suoi nonni, lontano da tutti i suoi punti di riferimento. L’avvocato Miraglia è agguerrito. «A Venezia hanno giustificato la scelta spiegando che così il bambino si abitua all’adozione. Ma scherziamo?», sbotta, «il Tribunale dei minorenni strappa un piccolo di tre anni ai nonni e alla famiglia affidataria e lo mette in Comunità perchè così si tempra e comincia a capire quale sarà il suo destino? Ma questa è cattiveria pura, questa è crudeltà, questa non è tutela dei minori ma un modo per opprimerli». Poi, in un crescendo di rabbia: «Qual è la ratio nella scelta di stravolgere la vita di una creatura nata già sotto una stella poco buona, finalmente messa in sicurezza grazie a dei genitori affidatari e in stretto contatto con i nonni materni, sbattendolo in una struttura educativa?». Miraglia non usa mezzi termini: «La cosa più incredibile è che tutto ruota attorno al giudizio dei Servizi sociali di Comune e Ulss che hanno giudicato la nonna incapace di occuparsi di lui perchè vent’anni fa non è stata una madre ferma e autorevole con la figlia. Sembra una barzelletta se non fosse che di mezzo c’è il piccino che fino a ieri dormiva nel suo letto e oggi si trova circondato da perfetti sconosciuti».
L’avvocato conclude puntando il dito contro «Tribunale dei minorenni nato con lo scopo di tutelare i bambini e non con quello di opprimerli. Questa vicenda è una beffa per tutti: i nonni avevano chiesto aiuto all’assessorato per un sostegno e la risposta è stata invece quella di dare il piccolo ad una famiglia, con la quale per fortuna hanno da subito instaurato buoni rapporti. Poi, altra decisione improvvisa: Marco con i genitori collocatari non può stare per sempre, non può neanche tornare dalla nonna perchè appunto non ha mostrato polso fermo con la figlia vent’anni fa, quindi non resta che la comunità “così si abitua prima a staccarsi da loro, visto che una volta adottato non li rivedrà mai più”». L’assessore comunale al Sociale Bertacco è altrettanto amareggiato: «Ciò che ha fatto il Tribunale di Venezia è crudele, si trattava di aspettare l’appello. Il bimbo non può certo star bene dove è adesso, sbattuto di qua e di là a 3 anni, ma che modo di agire è questo?». L’avvocato Miraglia gli risponde invitandolo a recitare il mea culpa e lancia un appello al sindaco Sboarina «perché si informi su ciò che accade nella sua civilissima città».