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Padre rinviato a giudizio per pedofilia

padre rinviato a giudizio per pedofiliaSi complica la situazione del padre, ma anche dell’assistente sociale e della psicologa di Piazzola sul Brenta che stanno costringendo un bambino di Padova a incontrare il padre
Si complica la situazione del padre, ma anche dell’assistente sociale e della psicologa di Piazzola sul Brenta che stanno costringendo un bambino di Padova a incontrare il padre
 
Comunicato Stampa
Dopo l’udienza preliminare del 24 ottobre 2013, il tribunale ha rinviato a giudizio il padre accusato di pedofilia fissando l’udienza per il 12 marzo 2014 collegio C. La vicenda era salita all’onore delle cronache perché una psicologa e un’assistente sociale del Consultorio di Piazzola sul Brenta avevano costretto il bambino a continuare a vedere il padre, malgrado le accuse di abusi. E avevano persino prospettato alla madre che “se il figlio non avesse incontrato il padre l’alternativa sarebbe stata l’allontanamento dalla famiglia”. Dopo il recente rinvio a giudizio la situazione delle due professioniste, che il 9 giugno erano state querelate dell’avvocato Francesco Miraglia del foro di Modena “a causa del loro comportamento lesivo, pregiudizievole e dannoso” verso il figlio della sua assistita, si complica ulteriormente.
In seguito alla decisione del tribunale, Il Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani, che da anni si batte contro gli abusi giudiziari nei confronti dei minori generate dalla discrezionalità delle perizie psichiatriche e delle valutazioni psicologiche, ha annunciato che si presenterà come parte civile nell’eventuale procedimento contro le due professioniste. “Questa è l’ennesima dimostrazione che l’incontro tra psicologia/psichiatria e giustizia può causare dei danni indicibili, come nel caso di questo bambino costretto a vedere il suo presunto carnefice sulla base di astratte teorie psicologiche. È nostro dovere riportare la giustizia sui binari corretti!” ha affermato Silvio De Fanti, Vicepresidente del Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani. “Nel recente convegno di Milano ‘Psichiatria e distorsione della Giustizia’, organizzato dal CCDU e dalla sezione italiana della LIDU – Lega Internazionale per i Diritti dell’Uomo, infatti, il prof. Morris Ghezzi, ordinario di Filosofia e Sociologia del Diritto all’Università degli Studi di Milano, ha sostenuto che il giudice non è più peritus peritorium – esperto degli esperti, che ascolta i pareri dei periti ma poi si riserva di fare una valutazione indipendente – ma ha ceduto la funzione di controllo sociale alla medicina, e alla psichiatria in particolare.”
“Mi auguro che questo contribuisca a chiarire la situazione affinché a questo bambino venga restituita un po’ di serenità visto che fino adesso per le decisioni del Tribunale per i Minorenni di Venezia e del servizio sociale di Piazzola, ha dovuto incontrare quel papà rinviato a giudizio per abusi sessuali come se niente fosse. Certo che ci riserveremo in tutte le sedi di denunciare quei giudici che nonostante tutto hanno contribuito ad aggravare la situazione psicofisica di questo bambino.” ha commentato l’avvocato Francesco Miraglia, legale della mamma

Caso Anna Giulia: il processo è da rifare daccapo

imagesREGGIO EMILIA – Nuovo colpo di scena nella vicenda di Anna Giulia Camparini, la figlia di Massimiliano Camparini e Gilda Fontana che lo scorso maggio la Cassazione ne aveva disposto l’adottabilità, rigettando il ricordo dei coniugi.
Il processo si è trascinato per 6 lunghi anni (oggi la bimba ha 8 anni e frequenta la terza elementare, seguita dall’avvocatessa Sabrina Tagliati, sua tutrice) e proprio quando si pensava fosse terminato, si è invece scoperto che è da rifare con prima udienza fissata per il prossimo 5 dicembre.
“Nei casi di adozione – ha affermato il legale difensore della famiglia, l’avvocato Francesco Miraglia del foro di Modena – dopo la decisione della Cassazione, il tribunale per i Minori emette il decreto di pre-adozione che comporta quindi che il minore possa essere effettivamente adottato. Lo stesso deve poi verificare se sussistano ancora i criteri perché ciò avvenga. In questo caso, ho deciso di impugnare il decreto affinché il tribunale valuti a oggi se l’adozione sia ancora nell’interesse della bambina”.
Miraglia ha quind aggiunto che “ancora una volta mi preme sottolineare come questi genitori, che sono stati sempre giudicati irresponsabili, in realtà stiano dimostrando quanto desiderino questa figlia”.

Gazzetta di Modena «Denunciò l’ex compagno per abusi sui figli Ora non può più vedere i propri bambini»

gazDenunciò per abusi sessuali sui propri tre figli il compagno, attualmente a processo. Ora però, nei confronti di una donna modenese di 44 anni, il Tribunale per i minorenni di Bologna ha emanato un…
Denunciò per abusi sessuali sui propri tre figli il compagno, attualmente a processo. Ora però, nei confronti di una donna modenese di 44 anni, il Tribunale per i minorenni di Bologna ha emanato un decreto disponendo l’allontanamento dei minori, che potrà vedere solo una volta ogni quindici giorni. Lo segnala il legale della donna, Francesco Miraglia: «Ci troviamo di fronte – scrive in una notal’avvocato – ad una situazione surreale. Invece di sostenere questa madre che in modo coraggioso ha preso una decisione per il bene dei suoi figli», tribunale e servizi sociali di Modena «sembrano quasi volerla “punire” non rendendosi conto che i provvedimenti presi non contribuiscono certo ad aiutare questa famiglia, a ritrovare un proprio equilibrio, visto il vissuto delicato da cui provengono». Il 18 luglio il legale ha chiesto per la propria cliente la costituzione di parte civile nel processo davanti al Tribunale di Modena, che vede imputato l’ex compagno, con un’udienza fissata per il 31 ottobre.
Ricostruendo la vicenda, l’avvocato spiega che la donna aveva avuto due figli da una precedente relazione, quindi nel 2004 iniziò il rapporto con il nuovo compagno e nel 2006 c’era stata la nascita del terzo bambino «e la situazione comincia a precipitare». Nel 2009 la Procura aprì l’inchiesta sugli abusi: «In un’occasione la madre scopre uno dei figli in atteggiamenti intimi con il compagno e viene a conoscenza che tra di essi sono avvenuti anche dei rapporti sessuali».
Nel frattempo il tribunale per i minori – che nel 2010 tolse la potestà genitoriale alla donna – ha disposto l’allontanamento dei figli e i servizi sociali hanno collocato i due più grandi in due strutture diverse, per «incompatibilità di carattere». Miraglia punta il dito anche contro i servizi sociali di Modena: «Incredibile che la stessa assistente sociale a cui questa madre più volte si era rivolta per denunciare i sospetti di abuso, rimanendo completamente sorda alle preoccupazioni di questa madre, continui a svolgere la propria attività con il benestare del servizio sociale come se nulla fosse successo».

Gli educatori devono andare in ferie. Bambino di Trento che vive in casa famiglia non può tornare a casa a vedere i genitori In

L’avvocato Francesco Miraglia: “Un fatto inspiegabile e che può essere punito penalmente”.
Il consigliere comunale Maffioletti e il consigliere provinciale Firmani presenteranno un’interrogazione sulla vicenda affinché venga fatta chiarezza.

I nostri educatori devono andare in ferie, pertanto il bambino non potrà rivedere i suoi genitori e rimarrà in comunità”. Una situazione a dir poco “imbarazzante”, quella in cui si è trovato l’avvocato Francesco Miraglia del Foro di Modena, legale del piccolo Sandro di 11 anni, che nei giorni scorsi si è sentito rispondere in questo modo dai Servizi sociali di Trento dopo che il provvedimento era stato stabilito dal Tribunale per i Minorenni di Trento, organo competente in materia e le cui decisioni non sono confutabili.
Un no deciso che ha portato il legale, specializzato in Diritto di Famiglia e Diritto penale – a far notare agli interessati come questo provvedimento andasse contro la legge: “in riferimento alla citata istanza, come già preannunciato al servizio sociale, non sono assolutamente d’accordo, in quanto è stato emesso un decreto e bisogna pretendere la sua totale applicazione. Eventuali problemi di organizzazione o quant’altro poco interessano al minore “fuori” dalla propria famiglia da quasi tre anni”.
Ma vediamo di chiarire la vicenda. Sandro, un bambino di Trento, vive da quasi tre anni in una casa famiglia collocata sul territorio. Verso la fine di marzo il servizio sociale che si occupa del bambino chiede una proroga affinché il minorenne rimanga ancora nella struttura fino a quando il consulente tecnico d’ufficio, che svolge la funzione di ausiliario del giudice, non stabilisca le condizioni psicologiche del minorenne e le capacità dei genitori di occuparsi di lui.
In una relazione precedente, risalente all’aprile 2012, lo stesso ente aveva formulato un parere negativo sul rientro definitivo del bambino in famiglia in quanto, a suo giudizio, il rapporto di Sandro con uno dei genitori, continuava a dimostrarsi critico e le altre figure che componevano la famiglia non sembravano potersi prendere cura, in modo adeguato, di quest’ultimo. Proponevano quindi che gli stessi genitori intraprendessero un percorso terapeutico personale, che per il minore venisse disposto un sostegno di tipo psicologico e infine che il bambino potesse, sotto la supervisione di un educatore, rientrare in famiglia in giorni e orari stabiliti”.
Disposizioni che, tranne per il rientro, erano state seguite. All’inizio del mese di maggio, il Tribunale per i Minorenni aveva disposto che il bambino potesse vedere i genitori.
Il problema è nato quando – spiega l’avvocato Miraglia – quando dalle carte si è dovuti passare ai fatti. I servizi sociali mi hanno comunicato che per la prima settimana prevista per il rientro di Sandro in famiglia era presente un educatore. Poi per le due settimane successive il servizio non sarebbe stato effettuato in quanto il personale doveva prendere ferie”.
Lo scorso 4 giugno, il Tribunale per i Minorenni di Trento, presieduto dalla dott.ssa Gattiboni, ha dato ragione all’avvocato Miraglia ribadendo e quindi disponendo “che l’avvio della fase di sperimentazione dei rientri settimanali pomeridiani del minore a casa  dei genitori avvenga a partire dal mese di giugno corrente”. Un richiamo che speriamo venga finalmente accolto dai Servizi sociali per il bene del piccolo Sandro.

Torino: il tribunale schierato contro il minore? Sentenza paradossale che si oppone al diritto del minore alla propria famiglia

Torino: il tribunale schierato contro il minore?
Sentenza paradossale che si oppone al diritto del minore alla propria famiglia

Torino. Solo pochi giorni fa abbiamo commentato una sentenza ineccepibile del tribunale di Trento che aveva restituito i minori alla famiglia garantendo il loro diritto alla propria famiglia sancito dalla legge italiana, dalla Costituzione e dalle Convenzioni internazionali. Ma sembra che a Torino le cose non stiano proprio così.
Vediamo di sintetizzare questa vicenda che vede la Corte d’appello non solo “schierarsi” contro il minore, ma anche contro le parti e lo stesso Pubblico Ministero competente, arrivando persino a disporre “ex novo” un collocamento etero-famigliare del minore, andando ben oltre le proprie competenze. Infatti, anche un ragazzino al primo anno di giurisprudenza sa che una Corte d’appello non può emettere un decreto ex novo, ma deve solo valutare l’operato del tribunale di grado inferiore, in questo caso il Tribunale dei minorenni.
Non ripercorreremo tutta la storia di questo bambino e della sua mamma. Diciamo solo che per dei presunti problemi psichici della mamma e per degli altrettanto presunti disaccordi della stessa con i nonni materni, il bambino viene collocato presso una famiglia a 100 chilometri di distanza (cosa che puzza molto e solleva il sospetto di un tentativo dissimulato di adozione) arrivando persino a proporre la procedura di adottabilità. Grazie all’ottimo lavoro dell’avvocato Miraglia e dei suoi collaboratori la vicenda viene chiarita, tanto che si dichiarava non esservi luogo a provvedere sull’adottabilità del minore. Ed è qui che interviene come una mazzata a ciel sereno la decisione della Corte d’Appello che decide, di sua sponta, l’affidamento etero-familiare, sebbene il Pubblico Ministero, unico legittimato, oltre ai parenti del minore, non aveva formulato alcuna domanda in relazione all’instaurazione di un procedimento di volontaria giurisdizione e, tanto meno, rispetto alla disposizione di un affidamento etero-familiare del minore, limitandosi a richiedere la sospensione del procedimento di adottabilità ai fini dell’acquisizione di nuove valutazioni ed il ripristino della frequentazione tra il minore e la madre.
A questo punto alla madre non restava che rivolgersi alla Cassazione per contestare l’assurda sentenza della Corte di Appello. Il ricorso è stato quindi presentato dagli studi Francesco Miraglia del foro di Modena e Ulpiano Morcavallo del foro di Roma che recentemente hanno iniziato una proficua collaborazione nel settore della giustizia minorile.
E leggendo il ricorso si scorgono delle ulteriori gravi irregolarità a svantaggio del minore di soli 10 anni che ha sempre chiesto di ricongiungersi alla madre, anche secondo quanto riferito in sede di CTU: “Gli affidatari evidenziavano difficoltà a relazionarsi con [il bambino][…] in quanto D. si ribellava fisicamente, contestava apertamente il loro ruolo, richiamava il potere decisionale della madre … D. affermava di stare bene, pur dichiarando di voler tornare […] a vivere con la mamma, concetto ripetuto in più occasioni anche senza essere sollecitato dalla stessa”. Non si capisce quindi perché la Corte di Appello abbia voluto impedire, illegittimamente come illustrato sopra, il ricongiungimento con la madre.
Un’altra irregolarità riscontrata è la violazione del principio del necessario ascolto del minore, sancito da lungo tempo nell’ambito delle convenzioni sovranazionali in materia. Sebbene il bambino abbia meno di 12 anni, risulta dotato di capacità di discernimento, se è vero che delle sue esternazioni e opinioni, esposte in sede di CTU e di osservazione socio-psicologica, si è tenuto decisivo conto al fine di ravvisare la sussistenza di un solido legame affettivo con la madre e i nonni materni – sì da escludersi l’esistenza del presupposto fattuale per la dichiarazione dello stato di adottabilità – nonché con riguardo all’individuazione di asseriti sintomi di disagio riconducibili alla problematica relazione con la madre.
Oltre a non rientrare nelle sue competenze, la decisione della Corte in merito all’affidamento etero-familiare appare addirittura contraria alla legge. Infatti l’affidamento etero-familiare dovrebbe essere soltanto in funzione di sostegno alla famiglia di origine del minore nell’ottica di una progressiva opera di reinserimento dello stesso minore nella famiglia di provenienza, e dovrebbe prevedere condizioni di frequentazione quanto più possibile assidue tra il minore affidato e i familiari di origine per consentire la conservazione degli affetti familiari e agevolare il suo reinserimento nel contesto familiare originario. La previsione di una frequentazione minima tra il minore affidato e i familiari originari (madre e nonni materni, che sono gli unici soggetti ad avere partecipato costantemente al percorso di crescita del minore) si pone in patente contraddizione con la finalità del disposto affidamento etero-familiare, risultando per conseguenza irragionevole e difforme rispetto al dettato normativo.
Ed infine il giudice non sembra aver tenuto in debita considerazione gli elementi fattuali che gli sono stati presentati. Si sottolinea infatti l’inconsistenza degli elementi sorprendentemente valorizzati dalla Corte che, in definitiva, ha basato la propria decisione su un’affrettata e a-tecnica diagnosi di psicopatologia della madre del minore e sulla supposta sussistenza di un rapporto conflittuale tra quest’ultima e i suoi genitori, nonni materni del bambino, i quali invece in ogni momento dell’istruttoria sono risultati coltivare un profondo legame affettivo con il bambino e con la madre. La Corte invece, in questa sede, non ha preso in considerazione gli orientamenti affettivi del minore esplicitati anche verbalmente, cioè l’intenso e indistruttibile amore nei confronti della madre, che però, paradossalmente, sono stati considerati dal giudice di prime cure per escludere la sussistenza dello stato di abbandono morale. Inoltre rileviamo un’assoluta carenza di esame, da parte del giudice di appello, delle risultanze e degli esiti degli incontri tra il minore ed i nonni materni, il cui effetto rasserenante per il minore avrebbe dovuto condurre a un esito di pronto reinserimento del bambino nell’ambito familiare originario e, quantomeno, presso i nonni predetti.
Siamo certi che la Suprema Corte porterà ordine in questo garbuglio giurisdizionale riportando la vicenda sui binari normativi standard e soprattutto restituendo il minore alla sua famiglia come da lui ripetutamente richiesto. A volte basterebbe semplicemente ascoltare il minore. La legge lo impone, ma a volte i giudici, confusi nei freddi e complessi tecnicismi giuridici, non riescono ad applicarla nella sua semplicità.
 
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Duro attacco all’Ordine: avvocato assolto dopo sei anni

Il TRIBUNALe: esercitò il suo diritto di critica
L’avvocato modenese Francesco Miraglia è stato assolto dopo sette anni dall’accusa di aver diffamato l’Ordine degli Avvocati Modena per un articolo pubblicati sulla Gazzetta nel quale accusava l’istit..
L’avvocato modenese Francesco Miraglia è stato assolto dopo sette anni dall’accusa di aver diffamato l’Ordine degli Avvocati Modena per un articolo pubblicati sulla Gazzetta nel quale accusava l’istituzione. Il giudice monocratico di Mantova Matteo Grimaldi ha sentenziato che Miraglia ha solo esercitato un diritto di critica, magari in modo pesante ma sicuramente in alcuni punti con un «nucleo di veridicità». La sentenza di assoluzione sarà discussa questa mattina al Consiglio dell’Ordine di Modena che deciderà se appellarsi oppure no. Il caso riguarda un articolo pubblicato sul nostro giornale il 24 gennaio dell’ormai lontano 2006 che commentava l’intenzione del Governo Prodi di abolire gli ordini professionali, «ormai – scriveva Miraglia – considerati inutili carrozzoni corporativi che difendono , non già l’interesse dei cittadini che hanno a che fare con una giustizia lentissima, discriminante e costosissima, ma un gruppo elitario di avvocati che usano l’Ordine in nome e per conto dei propri interessi». L’altro passaggio del suo articolo nel quale l’Ordine ravvisava una chiara diffamazione diceva: «La cosa grave è che per noi avvocati non esistono opzioni nel senso di aderire all’Ordine: siamo obbligati a pagare la tassa e sottostare spesso e volentieri a prepotenze e/o vendette di chi in quel periodo sta ai vertici». «In quel periodo», stando all’espressione di Miraglia, era a capo dell’ordine modenese l’avvocato Picchioni che vide in queste affermazioni una ingiuria al suo operato e a quello del Consiglio. Scattò in seguito la denuncia per diffamazione a mezzo stampa. Nel suo articolo Miraglia indicava come riferimento proprio l’ordine che in quei giorni stava rinnovando il vertice. Tuttavia, il giudice, pur riconoscendo «la gravità delle condotte attribuite» all’ordine, ritiene che Miraglia abbia di fatto esercitato un suo diritto di critica sancito da due articoli della Costituzione (51 e 21). Non solo: il magistrato rileva che la critica «in quanto espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica». Questo limite e l’assenza di attacchi o offese personali fanno sì che «risultino rispettati tutti i limiti dell’esercizio legittimo del diritto di critica essendo ravvisabile nelle espressioni utilizzate un nucleo di veridicità».
Carlo Gregori
04 marzo 2013

La lettera della mamma di Anna Giulia, bambina strappata alla famiglia per l’arroganza degli adulti

C’è una bambina di 7 anni che non passerà il Natale con i genitori, non scarterà i regali sotto l’albero addobbato di casa sua e non riceverà l’abbraccio dei nonni e degli altri familiari. Chissà dove e con chi sarà, e non sappiamo neppure se le imminenti feste riaccenderanno in lei i ricordi sopiti, e certamente sempre più sbiaditi, della sua primissima infanzia. Eppure questa bimba non è orfana. Ha due giovani genitori che l’amano e che da sempre si battono per riaverla con loro. Stella, così la chiamiamo per proteggere la sua identità, è vittima di un errore, un colossale errore che l’ha strappata ai suoi affetti più cari quando aveva soltanto 3 anni.

La storia è nota ai più: una telefonata anonima avverte che nella casa dove vivono i Gilda e Massimiliano con la loro figlia, c’è della droga. Un blitz notturno dei carabinieri sveglia la famiglia, viene effettuata una perquisizione, ma non viene trovato assolutamente nulla. Solo che intanto, un militare troppo solerte avverte i servizi sociali dicendo che l’abitazione è fatiscente e non è un luogo adatto per una minore. Peccato che si dimentichi di specificare che la casa era a soqquadro perché stavano ridipingendo le pareti. Stella viene portata via dai genitori, che però sono rassicurati dagli assistenti sociali: “è sicuramente un equivoco, fra 15 giorni la riavrete”. Cominciano così gli incontri protetti tra genitori e figlia, perché qualcuno nel frattempo si è ricordato che il papà in passato ha fatto uso di droghe. Peccato che, ancora una volta, ci si dimentichi di spiegare che si tratta di episodi remoti, accaduti 20 anni prima. Alla coppia però, nonostante venga riconosciuta “una genitorialità ricca e affettiva”, la figlia non viene restituita, anzi Stella finisce in un istituto. Dopo varie peripezie giudiziarie, Gilda e Massimiliano decidono di “rapire” la loro bambina e di fuggire con la piccola in Slovenia, dove trascorrono alcuni giorni felici. Poi, convinti dalla nonna paterna, ritornano, affidandosi alla comprensione di chi ha in mano il loro destino. Ma è una fiducia mal riposta perché da allora questi genitori non hanno più rivisto la loro piccina…

Tutti la chiamano Stella e speriamo che una stella arrivi davvero ad illuminare la notte di Gilda e Massimiliano, una notte che dura da quasi 5 anni. Ed ecco la lettera che Gilda ci inviato, una lettera disperata, ma anche di speranza.

E’ grande lo sforzo di rivivere ancora e ancora ormai quasi all’infinito, quelle strazianti emozioni che mi sono entrate, ormai, in ogni singola cellula e con le quali devo convivere quasi fosse una malattia… un dolore cronico dal quale non riesco, non posso, non voglio liberarmi.
Eh sì…. questo sordo male che mi accompagna è ormai l’unica cosa che mi tiene legata a lei… che mi fa essere ancora la mamma di “Stella”, già l’unico modo che mi è rimasto di essere mamma è il dolore puro di questo vuoto che non riesco a motivare a giustificare e di conseguenza non riesco ad elaborare… come si dice, non riesco a farmene una ragione: cerco di analizzare la situazione da ogni punto di vista e quindi mi ripeto all’infinito…. morta non è, e quindi devo essere contenta… male non starà quindi devo esserne contenta…. colpa mia e di Max di certo non è, e quindi devo esserne contenta… la storia è stata più e più volte verificata da tante persone competenti e tutti mi hanno manifestato la loro solidarietà e… quindi devo esserne contenta… ho fatto tutto quanto è stato in mio potere fare e anche di più…. e quindi devo esserne contenta… devo essere grata a quei cari amici e conoscenti che mi si stringono accanto e solidali mi chiedono “come va”… devo esserne contenta, non è da tutti di poter contare sull’affetto di tante persone… devo esserne contenta. Ma così non è; non sarò, non saremo mai contenti, fino a quando non potremo riabbracciare la nostra bambina. Rivoglio, rivogliamo nostra figlia, la nostra vita. Gilda.

Papà accusato di abusi ma mamma è sotto accusa

Coinvolte due corti: la donna accusa l’ex compagno di violenza sul figlio di 9 anni Ma per il Tribunale dei minori potrebbe essere lei ad aver manipolato il piccolo
Bambini contesi, strapazzati, abusati nel cuore e nella mente, quando non anche nel corpo. Sono tanti e silenziosi. Ormai è evidente: la vicenda del minore di Cittadella è solo la punta di una realtà fatta di liti laceranti e infinite.
Strappato il velo della vergogna, ora i casi vengono alla luce, l’uno più sconvolgente dell’altro, perché il peggio sembra non avere mai fine. Oggi è la storia di un bambino di 9 anni, che la madre, M. 39 anni, padovana, corre il rischio di vedersi strappare per affidarlo a una casa-famiglia, qualora il bambino non iniziasse un percorso di avvicinamento al padre. Che però è indagato per pedofilia. Proprio nei confronti del figlioletto: gli abusi sarebbero iniziati quando questi aveva poco più di tre anni.
Un caso dell’alienazione genitoriale su cui nell’ultima settimana siamo stati così dettagliatamente informati e di cui, anche in questo caso, parla il consulente del Tribunale dei minori? Forse. Eppure il bimbo non è l’unico ad accusare il padre di molestie. Come lui, prima di lui, la sorellastra del piccolo che sostiene di essere stata costretta a guardare film porno e a fare la doccia davanti al patrigno (accusa archiviata) proprio quando accompagnava il fratello a trovare il genitore. E ancora, la cuginetta, figlia del fratello del padre e di cui lo stesso genitore riferisce in più occasioni, molestata sessualmente quando era piccola. Tutti plagiati?
In questo quadro si colloca anche il rinvio a giudizio della nonna paterna che tra qualche mese dovrà rispondere di minacce ai danni della ex nuora.
Nella vicenda coinvolto, necessariamente, anche il Tribunale dei minori: dopo la denuncia della madre, nel 2008, e lo stop repentino delle visite, nel 2010 il giudice, su ricorso del padre, incarica l’Usl di attuare un percorso di graduale ripresa dei rapporti padre-figlio, tenendo conto delle problematiche psicorelazionali evidenziate dalla terapeuta del bimbo e attivando un percorso di sostegno alla genitorialità per il padre che lo accompagni verso l’acquisizione di una responsabilità genitoriale. Il Tribunale dispone, inoltre, che il servizio offra a entrambi i genitori un percorso di revisione della loro vicenda tale da rapportarsi nell’interesse del figlio. Gli incontri protetti hanno inizio contro il volere del bambino che appare turbato: ci sono registrazioni audio in cui lo si sente piagnucolare e rifiutarsi di scendere dalla macchina, mentre la madre lo sollecita, rincuorandolo. Al terzo appuntamento, il piccolo si sblocca e “vomita” addosso al padre le accuse di violenza, scrivendole su fogli di carta: allucinanti, qualora in sede penale trovassero conferma. Addebiti che il piccolo ripeterà successivamente nel corso di un lungo incidente probatorio: «Si tratta di accuse precise e circostanziate» conferma l’avvocato Francesco Miraglia, che rappresenta la mamma.
A giorni, si attende la formulazione delle richieste del pubblico ministero. Tuttavia, se possibile, c’è una sentenza che preoccupa ancora di più la madre del bambino, ed è quella del Tribunale dei minori che, spiega il legale della donna, tra le possibili soluzioni – che non potendo prescindere dalla pronuncia del Tribunale penale – prospettano per il bambino otto mesi in carico ai servizi sociali per il riavvicinamento al padre, con l’ulteriore possibilità di una collocazione in una casa-famiglia: «È vergognoso che di fronte a un quadro di questo tipo si prospettino questo tipo di soluzioni senza valutare il necessario approfondimento» attacca l’avvocato.