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Due bimbi in fuga dalla comunità: «Vogliamo tornare con chi ci ama»

Due bimbi in fuga dalla comunità: «Vogliamo tornare con chi ci ama

VICENZA –  Una 12enne vicentina e un bimbo veneziano di 7 anni sono fuggiti ieri sera dalla comunità in cui  erano stati alloggiati per ordine del Tribunale per cercare di tornare a casa. La bambina se ne è andata assieme all’amichetto arrivando fino a casa sua, distante poco meno di 2 km, rifiutandosi poi di tornare nella struttura. «Voglio stare a casa mia e con chi mi ama», le sue parole. A raccontare la triste vicenda è il Comitato dei cittadini per i diritti umani, 
Paolo Roat, responsabile nazionale del Comitato tutela Minori del Comitato dei cittadini per i diritti umani precisa che «i genitori hanno avvertito immediatamente gli operatori della comunità che si sono precipitati a casa della famiglia. Il bimbo ha poi spiegato di essere scappato perché gli avevano promesso di tornare dalla mamma già nel  gennaio scorso ma poi non avevano mantenuto. Ha anche raccontato anche di essere stato strappato dalla sua famiglia per la conflittualità tra la mamma e il papà in sede di separazione. Alla fine ha comunque accettato di tornare in comunità mentre la bambina no».
In mattinata – inoltre – il padre della 12enne ha chiamato i servizi sociali per chiedere aiuto: la ragazzina si rifiutava di andare a scuola per paura di essere portata via con la forza. L’assistente sociale e la psicologa si sono quindi recate a casa della famiglia per parlare con la 12enne, ma la ragazza ha rifiutato categoricamente di tornare in struttura, riaffermando la sua paura di tornare a scuola dove teme di essere presa e portata via con la forza. Comprensibilmente i Servizi le hanno hanno concesso di restare a casa in vista di un’analisi più approfondita della situazione.
Nel pomeriggio di oggi – mercoledì – il papà si è recato presso gli uffici dei Servizi Sociali, ricevendo dei segnali di apertura. Quella di Chiara, secondo il Comitato, era una fuga annunciata. Aveva già manifestato ripetutamente il desiderio di tornare a casa, e solo pochi giorni fa era scappata, assieme a un’altra ragazza più grande, solo per essere riacciuffate poco dopo nel centro di Vicenza e riportate in comunità. Nel mese di giugno del 2016, la vicenda di Chiara e dei suoi due fratelli (collocati nella sua stessa comunità) era stata riportata dalla stampa. I tre bambini erano stati prelevati a scuola e allontanati dalla famiglia. Come riportato dalla stampa, secondo la psicologa e i Servizi Sociali, i ragazzi erano in condizioni di disagio per «malnutrizione, maltrattamenti, difficoltà relazionali». Per la famiglia invece si trattava di esagerazioni e dichiarazioni non corrispondenti alla realtà familiare: «I servizi sociali si stanno accanendo contro di noi, ci hanno preso di punta, hanno creato un caso dal niente».
Nel decreto di allontanamento, il tribunale aveva disposto anche la valutazione delle capacità genitoriali e il mantenimento dei rapporti tra genitori e figli a discrezione dei Servizi Sociali. Fin da subito i Servizi hanno disposto un regime di visite protette peggiore del “carcere duro” cui sono soggetti i criminali più efferati: una sola visita di un’ora alla settimana, senza nessuna intimità tra genitori e figli, e sotto il controllo costante di un operatore. In seguito questo regime è stato addirittura inasprito, passando a una visita di un’ora ogni 15 giorni. Bizzarra la motivazione: secondo i Servizi, i bambini soffrivano troppo a causa del distacco dai genitori. È probabile che questo regime, eccessivamente crudele nei confronti dei bambini, abbia spinto la ragazza a fuggire. «Questa vicenda è l’ennesima dimostrazione della superficialità di certi servizi di tutela minorile».
Denuncia l’avvocato Francesco Miraglia: «I genitori stanno seguendo le prescrizioni del tribunale e hanno accettato e ripetutamente richiesto il percorso di valutazione delle capacità genitoriali. Eppure questo percorso è iniziato solo dopo 8 mesi con un primo incontro presso il Csm in data 21 dicembre 2016. Dopo questo incontro, i genitori non hanno ancora ricevuto nessun calendario per il prosieguo del percorso. Nel frattempo sono passati nove mesi e i figli stanno soffrendo enormemente e hanno manifestato a più riprese la volontà di tornare a casa. Possibile che si debba arrivare al punto in cui una ragazzina, per poter tornare dai suoi cari, debba mettere in pericolo la sua vita, vagando da sola in città? Ci rivolgeremo al Tribunale e chiederemo che i bambini vengano ascoltati al più presto e che si trovi una soluzione che tuteli sia i bambini che il loro diritto all’affetto dei genitori».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Mercoledì 8 Febbraio 2017, 17:22

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"Basta dare psicofarmaci a mio figlio» Il giudice le sospende la patria potesta

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IL CASO

La lotta di una madre bassanese. Per il tribunale dei minori non riesce a gestire il sedicenne

IL CASO
«Basta dare psicofarmaci a mio figlio»
Il giudice le sospende la patria potestà
La lotta di una madre bassanese. Per il tribunale dei minori non riesce a gestire il sedicenne
BASSANO DEL GRAPPA (Vicenza) – «Non voglio che imbottiscano mio figlio di psicofarmaci: così non lo aiutano ». È la battaglia di una madre. Lei bassanese di 40 anni. Il figlio, un adolescente problematico che il tribunale dei minori di Venezia ha appena deciso di togliere al genitore e trasferire in una comunità protetta. Il motivo? La donna aveva protestato coi medici del reparto di psichiatria del San Bassiano, dove il ragazzo era stato ricoverato dopo aver detto (ubriaco) di volersi uccidere. Ed è proprio in seguito a quella discussione che la donna si è vista sospendere la patria potestà. Un provvedimento che ha toccato anche il papà, che però è sempre stato molto assente. Risultato, il minore è stato affidato ai servizi sociali dell’Ulss 3 e trasferito in una comunità educativa. A denunciare la vicenda è il Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani, che commenta: «La decisione dei medici e del tribunale apre la strada a possibili violazioni dell’articolo 32 della Costituzione che sancisce la libertà di cura».
Il primo ricovero nel reparto di psichiatria del ragazzino, con disagi e sintomi depressivi, è durato un mese. A cui ne sono seguiti altri due, di 15 giorni circa. «La madre ha tentato di opporsi all’uso di uno psicofarmaco » spiega la onlus che, in un comunicato, si spinge a dire che il minore «ha rischiato di morire a causa degli effetti collaterali di un farmaco». Per l’associazione, «l’ospedale, invece di comprendere le legittime contestazioni della donna, si è rivolto al Tribunale che le tolto la patria potestà senza alcun reale processo». E questo nonostante la 40enne, a metà aprile, avesse alla fine accettato di firmare il consenso informato alla somministrazione degli psicofarmaci, come risulta dai documenti sanitari. A maggio la notifica del provvedimento del tribunale dei minori che si fonda proprio sull’ «opposizione della madre alla terapia farmacologica ritenuta in questo momento necessaria dai medici», motivando con il fatto che «pur riconoscendo i problemi del figlio non riesce a gestirlo». Disperata, la donna si è rivolta all’avvocato Francesco Miraglia che si è avvalso della consulenza del dottor Paolo Cioni, psichiatra di fama internazionale, e si è rivolto poi alla onlus. «La mamma non è contro i farmaci, semplicemente non vedeva alcun miglioramento – spiega il legale – il ragazzo era sempre più intontito… È incredibile che, se un genitore chiede spiegazioni sugli effetti collaterali dei farmaci assunti dal figlio, senza tra l’altro ottenerle, il tribunale gli sospenda la potestà genitoriale senza neppure avviare un’istruttoria».
L’avvocato contesta anche il fatto che l’adolescente sia stato ricoverato in un reparto per adulti. «Com’è possibile che una Regione così all’avanguardia sotto il profilo sanitario, non abbia un reparto per ragazzi con simili problemi? Se verranno riscontrate delle ripercussioni chiederemo i danni». Secondo Miraglia, «il minore pochi giorni fa è stato ricoverato nuovamente al pronto soccorso a causa degli effetti collaterali del farmaco che è costretto ad assumere contro la sua volontà ». L’udienza in tribunale per discutere il caso è fissata a luglio. «Ma passeranno almeno 4-5 mesi prima che venga emesso un nuovo provvedimento – onclude il legale – il che significa che il 16enne continuerà ad assumere quei farmaci…».
Benedetta Centin
22 giugno 2013© RIPRODUZIONE RISERVATA